Neri Pozza nella collana Narratori delle Tavole edita “Il mio cane del Klondike” (2017, pp. 208, euro 16,00) di Romana Petri, traduttrice, editrice e critica letterario, nonché vincitrice di numerosi premi come il Premio Mondello, il Rapallo Carige, il Grinzane Cavour e il Bottari Lattes.
Romana Petri, nata a Roma ma vive attualmente tra questa città e Lisbona, in queste pagine descrive le vicende di un incontro particolare che sembra scritto nel destino.
“La storia che ti voglio raccontare, invece, è quella di un cane selvaggio, di un abbrutito spesso in preda a spasimi suoi incomprensibili che lo rendevano anche un po’ ottuso. Un cane binario e bipolare, un sofferente psichico, un disadattato. Un cane nero”.
Lei è una giovane insegnante alle prese con un lavoro precario, lui uno di quei cani portati a casa per compiacere un bambino subito dopo il rientro dalle vacanze e poi, l’anno successivo, buttato in strada con un collare d’acciaio che nel frattempo si è fatto un po’ stretto. In una afosa giornata di settembre, una di quelle che aspetta una pioggia già in ritardo, i due s’incontrano. Osac, il cane, è riverso a terra contro il marciapiede, più morto che vivo. Lei, la donna, sta per salire in macchina, ma quando lo nota, si ferma e decide di prenderlo con sé.
“Potevo prenderlo, curarlo e cercargli un padrone. Ma chi l’avrebbe voluto un cane così? Era già grande, poteva avere più di un anno”.
Osac però non è un cane come gli altri: è ingombrante, indisciplinato, scontroso e selvatico, senza mezze misure e sembra arrivare direttamente dal selvaggio Klondike. Osac non è, tuttavia, un cane da slitta. È uno di quei cani indomabili che vivono sempre fuggiaschi, che sentono il mitico “richiamo della foresta” e faticano a lasciarsi addomesticare. Il terrore dell’abbandono si è riversato negli occhi dell’animale, dandogli un’aria forsennata, infernale. Un animale primitivo che non riesce ad accettare interferenze nel rapporto esclusivo e assoluto che instaura con la sua salvatrice, amata in modo morboso, senza riserve.
“Il cane complicato prevede un sentimento di salvataggio. Se lo avevo salvato fisicamente, avrei continuato a farlo, nonostante ogni appello, anche per l’anima sua. Magari avrei dannato la mia, ma la sua dovevo salvarla a tutti i costi. La mia vita era cambiata decisamente in peggio, ma dietro a quell’incontro c’era un segno del destino, si era trovato sulla mia strada, era dunque roba che mi apparteneva”.
Ma la notizia di una gravidanza inaspettata stravolgerà, nuovamente, la vita del cane del Klondike.
Dopo aver dato voce alla figura del padre ne “Le serenate del Ciclone” (Neri Pozza, 2015) Romana Petri, autrice dell’indimenticabile “Ovunque io sia” (BEAT, 2012), torna a raccontarsi attraverso gli occhi di un altro “gigante” buono. È il selvaggio Osac, un cane che, con la sua furia ribelle, sembra uscito da un libro di Jack London. Non è quindi un caso che l’autrice pone come esergo del testo un brano de “Il richiamo della foresta”, uno dei romanzi più belli di questo scrittore d’avventura dalla vita vagabonda:
“Lo dominava l’impeto della vita, la marea dell’essere, la gioia perfetta di ogni muscolo, di ogni giuntura, di ogni tendine, poiché questo era il contrario della morte, era ardore e violenza, si esprimeva nel movimento, nello sfrecciare esultante sotto le stelle…”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: In libreria “Il mio cane del Klondike” di Romana Petri: la storia di un gigante buono
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