A una prima, veloce e superficiale lettura, La gatta di Giovanni Pascoli (1885, Poesie varie) ci appare come un delizioso componimento di genere bozzettistico che ha per protagonista questo bellissimo animale domestico, e in effetti è così, ma solo in parte.
Le immagini e il linguaggio sono semplici ed immediati, tuttavia il significato della poesia va bene al di là della descrizione in sé. Il gesto tenerissimo di una vecchia e logora gattina che, con l’intento di metterlo al sicuro, affida il proprio cucciolo alle cure del poeta, spinge quest’ultimo a considerare quanto sia smisurato l’amore materno, negli animali come negli esseri umani.
Analizziamo il testo de La gatta dal punto di vista metrico e critico.
“La gatta”: testo della poesia
Era una gatta, assai trita, e non era
d’alcuno, e, vecchia, aveva un suo gattino.
Ora, una notte, (su per il camino
s’ingolfava e rombava la bufera)
trassemi all’uscio il suon d’una preghiera,
e lei vidi e il suo figlio a lei vicino.
Mi spinse ella, in un dolce atto, il meschino
tra piedi; e sparve nella notte nera.
Che nera notte, piena di dolore!
Pianti e singulti e risa pazze e tetri
urli portava dai deserti il vento.
E la pioggia cadea, vasto fragore,
sferzando i muri e scoppiettando ai vetri.
Facea le fusa il piccolo, contento.
“La gatta”: parafrasi della poesia
Era una gatta vecchia e malconcia, senza padrone e che aveva un gattino.
Un giorno, di notte (dal camino si sentiva il rumore forte della bufera), mi fece uscire di casa il suono di un lamento (miagolio) e vidi la gatta e il suo cucciolo accanto a lei.
La gatta spinse con dolcezza il cucciolo tra i miei piedi e sparì nel buio.
Che notte oscura e colma di dolore!
Il vento portava da luoghi lontani pianti, singhiozzi, risate folli e urla angosciose.
E la pioggia cadeva fragorosamente, abbattendosi sui muri e sbattendo contro i vetri.
Il gattino, felice, faceva le fusa.
“La gatta”: analisi metrica e figure retoriche
La gatta è un sonetto canonico, di impronta petrarchesca, che si compone di 14 versi endecasillabi piani suddivisi in quattro strofe: due quartine e due terzine.
Le quartine sono a rima incrociata (ABBA); le terzine a rima replicata (CDE).
Varie le figure retoriche presenti, fra le quali spiccano espressioni onomatopeiche molto ricercate e d’effetto (“s’ingolfava e rombava la bufera”; “scoppiettando ai vetri”), un climax molto efficace (“pianti singulti risa pazze tetri urli”) e alcuni arcaismi (“trassemi, cadea/facea, sparve, singulti”).
“La gatta”: analisi della poesia
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Scritta nel 1885, La gatta confluisce in seguito nelle Poesie varie, raccolte e pubblicate nel 1913 da Maria, sorella del poeta.
Siamo di fronte a un quadretto di genere solo in apparenza semplice, ma in realtà sapientemente strutturato sotto ogni aspetto, contenutistico, linguistico, metrico e fonico.
Il linguaggio si snoda abilmente fra termini di uso comune e altri aulici, come i numerosi arcaismi, mentre il sovrapporsi di immagini meramente descrittive ad altre con marcati richiami sonori (onomatopee) restituisce un insieme di rara suggestione.
La gatta, come la maggior parte delle liriche pascoliane, si origina da una circostanza casuale ma da essa trae lo spunto per riflessioni che si spingono molto al di là e al di sopra di essa.
Il comportamento dell’animale, nello specifico, induce l’autore a meditare sull’amore materno, convincendosi che esso sia probabilmente il sentimento più radicato e forte fra tutti quelli in dotazione al mondo animale e umano.
In una notte a casa mentre fuori infuria la tempesta, Pascoli sente provenire dall’esterno un miagolio lamentoso e, dopo aver aperto la porta per vedere cosa stia accadendo, si trova davanti una gatta randagia anziana e malandata in compagnia del suo cucciolo. La micia, con affettuosa risolutezza, spinge il piccolo tra le gambe del poeta, dopodiché sparisce nel buio.
In pratica, preoccupata che il figlio possa non sopravvivere allo spaventoso temporale in atto, pensa a metterlo in salvo affidandolo ad un uomo di cui, evidentemente, sente di potersi fidare.
Il gesto, che commuove tanto Pascoli quanto il lettore, è tipico di una madre che per natura antepone il benessere della prole al proprio. Il testo inoltre, presenta chiari riferimenti personali. Innanzitutto ha un andamento metaforico dall’inizio alla fine: la scena si svolge in un ambito cupo e tormentato e nella tempesta è facile ravvisare un nesso figurato, neanche troppo velato o misterioso, con gli affanni e i dispiaceri della vita.
C’è poi, onnipresente nella produzione pascoliana, la casa, intesa come "nido" che protegge e rasserena: fra le sue mura l’autore è al sicuro dalla pioggia battente che imperversa, così come da ogni altro eventuale pericolo esterno. Ed è qui, nel posto che gli è più caro, che egli lascia entrare il gattino, il quale, ormai rifocillato, al caldo e coccolato, gli fa le fusa.
Dopo il grigiore e la desolazione iniziali, quindi, La gatta si chiude con un verso di infinita dolcezza che apre uno spiraglio di speranza: è sempre possibile che un raggio di sole giunga ad illuminare il buio intorno a noi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La gatta” di Giovanni Pascoli: parafrasi, analisi e figure retoriche
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