Il 30 maggio 1960 si spegneva a Peredelkino, nei pressi di Mosca, lo scrittore russo Boris Pasternak. Scrisse un unico romanzo, il suo capolavoro Il dottor Zivago e non ritirò mai il Nobel. Visse gli ultimi anni in condizioni di degradante isolamento, sacrificando persino la propria opera alla Madre Russia perché mai avrebbe accettato di vivere lontano dalla sua patria, per lui sarebbe stato uguale a morire. La fine lo colse, nonostante tutto, con il sorriso sulle labbra perché non aveva tradito sé stesso.
Dopo la sua morte il giornalista l’ja Grigor’evič Ėrenburg scrisse:
Credo sia morto contento perché, almeno fuori, hanno pubblicato Il dottor Zivago, e perché pensava di avere ragione.
Lo ricordiamo con una sua splendida poesia che celebra la sua voglia di vivere: In ogni cosa ho voglia di arrivare (1956), così scriveva Pasternak dandoci un’importante lezione etica, morale ma, soprattutto, umana.
Vi proponiamo anche il titolo originale in alfabeto cirillico, in omaggio allo scrittore che ebbe sempre a cuore la sua madrepatria: Во всем мне хочется дойти, letteralmente “Vorrei andare in fondo a tutto”.
Boris Pasternak e il ruolo del poeta nella società
Non si tratta, come molti pensano, di una poesia motivazionale: l’autore la dedicò a un tema che gli stava profondamente a cuore, il ruolo del poeta della società. Perché prima che scrittore Boris Pasternak fu poeta, fu sempre poeta, la sua poesia nasceva da una peculiare sensibilità artistica sbocciata grazie allo studio della composizione musicale: ogni poesia si intesse come un’armonia, risponde a regole sinfoniche.
Pasternak scrisse “In ogni cosa ho voglia di arrivare” nel 1956, un periodo delicato della sua vita in cui tutti gli avevano voltato le spalle. Ogni esponente dell’ambito letterario era divenuto il suo avversario, e questo atteggiamento ispirò all’autore una profonda riflessione sul ruolo della creatività e sull’essenza della sua arte.
Durante la vita di Pasternak In ogni cosa ho voglia di arrivare non fu mai pubblicata, ma apparve per la prima volta nel 1961 nella sua raccolta postuma di poesie.
Scopriamo testo e analisi dei suoi versi.
In ogni cosa ho voglia di arrivare di Boris Pasternak: testo
In ogni cosa ho voglia di arrivare
sino alla sostanza.
Nel lavoro, cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.Sino all’essenza dei giorni passati,
sino alla loro ragione,
sino ai motivi, sino alle radici,
sino al midollo.Eternamente aggrappandomi al filo
dei destini, degli avvenimenti,
sentire, amare, vivere, pensare,
effettuare scoperte.Oh, se mi fosse dato, se potessi
almeno in parte,
mi piacerebbe scrivere otto versi
sulle proprietà della passione.Sulle trasgressioni, sui peccati,
sulle fughe, sugli inseguimenti,
sulle inavvertenze frettolose,
sui gomiti, sui palmi.
Dedurrei la sua legge,
il suo cominciamento,
dei suoi nomi verrei ripetendo
le lettere iniziali.I miei versi sarebbero un giardino.
Con tutto il brivido delle nervature
vi fiorirebbero i tigli a spalliera,
in fila indiana, l’uno dietro l’altro.Introdurrei nei versi la fragranza
delle rose, un alito di menta,
ed il fieno tagliato, i prati, i biodi,
gli schianti della tempesta.Così Chopin immise in altri tempi
un vivente prodigio
di ville, di avelli, di parchi, di selve
nei propri studi.Giuoco e martirio
del trionfo raggiunto,
corda incoccata
di un arco teso.(Tradotto da Angelo Maria Ripellino)
In ogni cosa ho voglia di arrivare di Boris Pasternak: analisi e commento
La poesia si compone di dieci strofe, costruite sul pentametro giambico, il suo verso preferito che si rifà alla tradizione shakesperiana. Pasternak dà così all’intero componimento una struttura ariosa, facendolo apparire come una spontanea successione di pensieri ad alta voce. La poesia si muove costantemente in avanti, incalzata dal suo ritmo, come un treno che avanza sulle rotaie.
Si tratta di un esempio di lirica filosofica, studiata nelle scuole russe, perché si propone come una dissertazione sulla natura del pensiero creativo.
A un’analisi più attenta In ogni cosa ho voglia di arrivare ha una struttura tripartita:
- Nelle prime tre strofe il poeta descrive la propria anima, sé stesso, la sua vita e il suo modo di creare “cercando la mia strada nel tumulto del cuore”.
- Nella seconda parte (successive tre strofe) analizza la passione che lega tra loro le persone “le trasgressioni, i peccati, le fughe”. Dice che vorrebbe scrivere della cosa più sfuggente: l’incostanza delle passioni umane.
- Infine nelle ultime tre strofe intesse una profonda metafora che lega la creatività artistica alla coltivazione di un giardino. I versi diventano una sinestesia capace di riflettere il vasto e cangiante universo della realtà. La poesia che nasce è il traguardo, la corda dell’arco tesa da cui scoccherà il futuro.
Le parole lavorano in armonia, in perfetto accordo, per esprimere l’essenza delle idee del poeta. Pasternak si serve di un linguaggio evocativo e densamente metaforico, come dimostrano certe espressioni: “l’essenza dei giorni”, “aggrappandomi al filo dei destini”; “vivente prodigio”.
Nel finale emerge chiara come luce la metafora che dà senso e significato all’intero componimento:
I miei versi sarebbero un giardino.
Nelle strofe iniziali del componimento Pasternak ripete spesso le parole “essenza”, “sostanza”, “midollo”, esponendo una convinzione che non vale solo per la poesia ma anche per la vita: ricorda che il suo fine, come uomo e come artista, è quello di non accontentarsi della superficie ma di analizzare in profondità, di cogliere il nocciolo segreto delle cose. Con umiltà ammette di non essere ancora in grado di farlo, ma ciononostante non rinuncia a provarci. La sua ricerca personale si lega quindi alla sua ricerca poetica: Pasternak ci dimostra che le poesie non sono semplicemente “parole in rima”, ma una sinestesia profonda di suoni, colori, accordi, profumi come rivela la splendida metafora del giardino.
Infine prende come proprio modello d’artista un compositore, Chopin - il che ci rimanda al passato di Pasternak in ambito musicale e al nesso tra musica e poesia che caratterizza le sue opere. Secondo l’autore Chopin è l’artista che più di ogni altro ha superato il confine tra realtà e immaginazione, fondendole insieme in un ritratto speculare.
Tramite questo riferimento a Chopin e alla sua musica, fatta di sonate brevi e raffinate, spesso intense, intime e personali come testimoniano i preludi e i notturni, Boris Pasternak vuole offrire al lettore una rappresentazione della propria arte. Spiega che le sue opere sono l’ostinata ricerca del senso profondo delle cose, da qui “il gioco e il martirio” che comporta la difficoltà di comporre poesia.
Il finale rimane sospeso, Pasternak non ci offre soluzioni, ma si congeda con l’immagine della poesia come una corda tesa rivolta al futuro, un arco pronto a scoccare parole nuove. La formula segreta della vita non ci viene rivelata, forse non è ancora stato raggiunto l’agognato scopo della ricerca. L’autore del Dottor Zivago si ferma a un passo dal rivelarci soluzioni certe, convinzioni morali, convinzioni inoppugnabili. Non ci consegna il mistero dell’essere porgendolo come un trofeo, ma lo cela sapientemente tra le parole, nelle pieghe nascoste dei versi:
sentire, amare, vivere, pensare,
effettuare scoperte.
La lezione di vita di Boris Pasternak a ben vedere è tutta qui, racchiusa nella sua descrizione d’anima. Questo il suo comandamento che propone come una sfida a sé stesso, il segreto profondo della vita sta nel tentativo di arrivare “alla sostanza delle cose”. Non abbiamo dubbi sul fatto che lui vi sia riuscito, abbia vissuto pienamente; ci riusciremo noi?
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “In ogni cosa ho voglia di arrivare sino alla sostanza”: la poesia di Boris Pasternak
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