Tramite un’ambasciata dello psicologo e neuropsichiatra Marcello Cesa-Bianchi (1926–2018), docente universitario ed allievo di padre Agostino Gemelli, nell’inverno del 1986 riuscii a conoscere e a intervistare Cesare Musatti (1897-1989), il primo grande studioso italiano di Psicoanalisi e leader del movimento psicoanalitico italiano nel primo periodo del dopoguerra.
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Dopo gli studi di matematica e filosofia all’Università di Padova, Musatti si orientò verso la psicologia, diventando assistente di Vittorio Benussi ed ebbe il merito di aver diffuso in Italia la Psicologia della Gestalt. Importante fu il suo Trattato di Psicoanalisi pubblicato da Einaudi nel 1949.
Nel 1944, nel periodo dell’occupazione nazista, si trasferì a Ivrea, ospite dell’amico Adriano Olivetti. Con il suo sostegno fondò un centro di psicologia del lavoro. Ricoprì anche l’incarico di direttore della Scuola Allievi Meccanici.
L’emerito prof. Franco Ferrarotti, che era stato uno dei collaboratori di Adriano Olivetti, durante la preparazione di questo articolo mi ha ricordato la sua lunga amicizia con Cesare Musatti:
In Italia, fu forse il primo studioso delle ripercussioni psicologiche del macchinismo industriale sugli operai della Olivetti. A Milano ero spesso suo ospite e mi fu di grande aiuto nel valutare coloro che ambivano a collegarsi con me, quale primo cattedratico di sociologia.
Chi era Cesare Musatti
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Nel 1967 Musatti assunse la direzione dell’edizione italiana delle opere di Freud che vennero pubblicate dalla Boringhieri.
Nel 1980 vinse il Premio Internazionale Viareggio-Versilia, assegnato a personalità di fama internazionale che hanno speso la vita per la cultura, l’intesa tra i popoli, il progresso e la pace.
Musatti scrisse anche libri di letteratura, tra cui Il pronipote di Giulio Cesare.
Il libro è una raccolta di 26 storie, ricordi, riflessioni e incontri della vita di Musatti. Il libro è stato scritto “per divertimento” dall’autore e si caratterizza per l’umorismo e la saggezza che lo pervadono.
Si occupò anche di cinema con i saggi Psicologia degli spettatori al cinema, La visione oltre lo schermo, Tecniche di magia e realizzazione filmica, La mia gemella psicoanalisi ha un fratellino maggiore, ora contenuti nel volume Scritti sul cinema (Editore Testo & Immagine, 2000). Pubblicò articoli sulla rivista “Cinema Nuovo” di Guido Aristarco, dove si ricordano la stroncatura del pasoliniano Salò e l’apprezzamento di Novecento, accanto al contributo dedicato a Zabriskie Point e allo scritto sull’umorismo ebraico nell’opera di Woody Allen.
Partecipò insieme ad Alberto Moravia ai Comizi d’amore, un film inchiesta sui temi della sessualità, divorzio, omosessualità, la prima volta e prostituzione diretto da Pier Paolo Pasolini.
Intervista a Cesare Musatti
L’intervista mi fu rilasciata nella sua casa milanese di Porta Lodovica e fu pubblicata con il titolo “L’educazione, tra equilibrio e ipnosi” nel marzo 1987 sulla rivista “Malvagia”.
Durante l’intervista rimasi ammaliato dal lettino nell’angolo del suo studio e ricordai anni dopo il suo surreale dialogo con Freud dal titolo “Sigmund Freud sul divano analitico” pubblicato su il libro Il pronipote di Giulio Cesare.
Musatti: Professore, Herr Professor, si corichi pure sul lettino e cerchi la posizione che le è più comoda.
Freud: Non si sta male su questo lettino, Però veramente comodo non è. È troppo stretto, e non si può scegliere una posizione; la posizione è in certo modo troppo obbligata.
Con un occhio rivolto a quel lettino iniziai l’intervista e lo dico con molta nostalgia, ci divertimmo.
- Alcuni considerano la democrazia la grande illusione e la grande sconfitta dei moderni. Secondo lei professor Musatti i doni della democrazia sono il cibo avariato degli dei, lo scarto che esiste tra il sogno democratico ed il risveglio democratico?
La democrazia è un ideale, che come tutti gli ideali, rischia di essere un ideale astratto. Una democrazia perfetta non si realizza mai: è una aspirazione. Tutte le utopie riguardanti una organizzazione sociale razionale e perfetta non sono realizzabili; quindi, ci può essere una tendenza alla democrazia, una volontà democratica, una volontà di realizzare quanto più possibile di democrazia. Ma gli uomini non sono uguali gli uni agli altri: ci sono i prepotenti e ci sono i prepotenti di natura, non per cattiveria. Ci sono alcuni individui che non esercitano questa prepotenza ma piuttosto subiscono l’azione altrui. Allora la parità degli uomini non si può realizzare e, anche se non esistessero le differenze economiche, le differenze di tensioni nella società e, se tutto fosse organizzato in modo perfetto, gli uomini sono diversi gli uni dagli altri: ci sarebbero sempre degli individui che prevaricano e degli individui che subiscono l’azione altrui.
- Un vecchio antidemocratico come Gustave Le Bon sosteneva che in democrazia l’educazione consiste nel ripetere e nell’obbedire, in un atto di fede; ma pure Dewey o Capitini, che antidemocratici non erano, riconoscevano che una tale educazione è la trama di una democrazia pervertita.
Qual è la sua opinione?
Ma qui l’educazione non ha a che fare con la democrazia! L’educazione è il problema della trasmissione di determinate modalità di comportamento. Quest’ultime sono dei condizionamenti che si notano anche fra gli animali, cioè anche gli animali educano i loro piccoli a comportarsi in un determinato modo. In una vita consorziata per forza di cose esistono queste situazioni. In un individuo è oppressivo questo, ma è oppressivo nel senso che c’è una difesa soggettiva da una azione troppo coercitiva, quindi c’è un equilibrio tra l’obbedienza e la rivolta. Nei rapporti interumani, indipendentemente dalle posizioni autoritarie, questo equilibrio tra l’accettazione e il rifiuto è un equilibrio che fa parte della condotta individuale. Per cui, si possono trarre delle conclusioni nei confronti dello Stato: lo Stato è per gli individui quello che è la famiglia per i bambini. Allora il bambino troppo ubbidiente non va bene e un bambino che non accetta assolutamente gli inviti dei genitori non va bene neanche quello. L’educazione consiste in un equilibrio di un certo rispetto dell’autonomia e della libertà e di una certa accettazione di determinate regole.
- Il giusto mezzo aristotelico!
Sì, un giusto mezzo, un equilibrio!
- Quando l’educatore diventa un agente autoritario e istruisce alla cultura del silenzio e all’amore per la morte, quali sono i meccanismi di difesa che può adottare l’educando?
In questo caso non c’è che la rivolta.
- Franco Fornari sosteneva che la “politica, come pratica decisionale umana, contiene vistosi elementi ipnotici”, secondo lei si può affermare che il consenso è sempre coercizione, perché la coercizione comprende sia la costrizione (il castigo) sia l’allettamento (il premio) ?
C’è un accenno a una parola ipnotico e qui bisogna intendersi, perché l’ipnosi è un mezzo di trasmissione molto antico che precede quelle che sono le comunicazioni verbali e il linguaggio articolato che noi troviamo nel mondo animale. Nel mondo animale gli inviti ai comportamenti vengono trasmessi per via extra verbale, in una forma che nel nostro linguaggio umano corrisponde all’attività ipno-suggestiva. Ora, elementi di questo genere nella vita collettiva ci sono: fra gli uomini non c’è una comunicazione solo verbale ma c’è una forma di comunicazione che ha anche caratteri preverbali e, quindi, suggestivi ed ipnotici.
- Perciò la richiesta di consenso si avvale anche dello strumento dell’ ipnosi?
Ma certo! Quando diciamo “Duce sei tutti noi!” questo è la realizzazione di una azione di tipo ipno-suggestivo, che poi ha determinati caratteri particolari perché la suggestione chiama la suggestione, cioè: un inizio di azione suggestiva esercitata su alcuni elementi della collettività produce immediatamente per imitazione una azione a valanga.
- Secondo padre Balducci, Lei avrebbe affermato che entro il prossimo decennio ci sarà la conflagrazione atomica, non crede che proprio sulla paura e sul ricatto di questo evento si concretizzerà la forza del totalitarismo del terzo millennio?
Io non mi ricordo di averlo detto…ma padre Balducci è anche paradossale e quando lui dice dei paradossi io rispondo con dei paradossi. L’umanità è in una situazione molto difficile, ma io non lo so se ci sarà o no la guerra atomica. Se ci sarà indubbiamente io credo che aveva ragione Einstein quando diceva che la quarta sarà combattuta con pietre e bastoni. Noi dobbiamo tener conto del fatto che a differenza del progresso tecnologico dei secoli passati, oggi sono aumentate enormemente le possibilità nel modo di vivere, le condizioni di vita, le comunicazioni via satellite, il telefono in macchina.
- Ma questo desiderio di onnipotenza non è anche una regressione?
Non è un desiderio. Effettivamente si è realizzato un boom nell’acquisto di mezzi tecnici che ha modificato radicalmente la nostra vita. Però c’è un piccolo particolare: il segreto di fabbricazione di questi mezzi è un segreto che è in possesso di un numero limitatissimo di persone. Oggi si fabbricano i computer e non si conosce più la tavola pitagorica. Alla Olivetti ci sono dieci teste che sanno come funzionano i computer, gli altri non lo sanno, e non parliamo poi degli operai che non sanno neppure che cosa sia l’elettronica. C’è una alienazione totale: la gente fabbrica cose senza sapere come sono fatte. Questo porta come conseguenza che la civiltà dei computer crolli con estrema facilità. Se consideriamo le civiltà mesopotamiche che hanno avuto una durata limitata e che poi scompaiono nella sabbia del deserto e ci chiediamo perché sono scomparse. Come mai una civiltà così tecnicamente sviluppata scompare ad un certo momento? Scompare perché il segreto di questa civiltà è in mano a poche persone che, in un conflitto, sono morte. Se si pensa che con la caduta dell’impero romano scompare la capacità di costruire un arco. I Longobardi hanno conquistato l’Italia ma non erano capaci di costruire un ponte, e i ponti romani erano lì ma non hanno capito come erano costruiti. Non sapevano fondere i metalli. Abbiamo dovuto aspettare il Rinascimento perché si riscoprisse il modo per fondere i metalli. Allora c’è questo fatto: se lo sviluppo di una civiltà è nelle mani di pochissimi individui, quando costoro scompaiono la civiltà crolla. Ecco perché aveva ragione Einstein: una guerra atomica potrebbe veramente portare alla scomparsa della stessa civiltà che conduce alla guerra atomica.
- Professore, Lei ha parlato di un patrimonio culturale che hanno pochissime persone. Possiamo così paragonarlo al segreto della vita e quindi affermare che questi signori diventano forti e si sentono immortali?
Una certa tendenza a questo esiste, però, io non credo che i tecnici possano creare una dinastia che domina il resto dell’umanità. Le cose sono troppo intrecciate: fino a poco tempo fa si pensava al mondo europeo o al mondo dei bianchi, ma oggi esiste una situazione ormai tale di diffusione dei segreti della civiltà che non esiste più una casta che possa dominare il mondo.
- Ritornando al discorso della democrazia, possiamo immaginare che la democrazia sia una grande mamma e che tutti, sia i socialisti che i capitalisti, vogliano avere questa mamma perché essa è il serbatoio di tutte le risorse politiche ed economiche e che, proprio per questo, ci sia uno scontro tra i socialisti e i capitalisti, tra il dominatore e il dominato?
- Lei dice socialisti, ma non si tratta di questo. C’è indubbiamente una lotta di classe, è una realtà; però, la lotta di classe non è più quella di una volta, perché non c’è più una classe operaia. I bisogni sono, comunque, sempre gli stessi.
Sì, gli uomini sono sempre gli stessi ma non c’è più una classe operaia. In fondo la teoria marxista deve essere sottoposta a una forte correzione, perché non esiste più una classe lavoratrice e una classe che possiede il capitale e che domina, quindi, la società attraverso il capitale. Non c’è più il padrone terriero e le mondine. Tutto è cambiato e si è attenuato il divario.
- Perché le risorse sono state meglio distribuite?
Perché la classe operaia ha fatto notevoli conquiste e la classe padronale ha dovuto modificarsi creando il capitale anonimo, quindi non c’è più il capitalista…
- Non c’è più il padrone?
Sì, in fondo Agnelli è un amministratore che beneficia di una posizione di privilegio però, in sostanza, lavora come lavoravo io. È molto interessante questa modificazione delle classi: non che sia scomparsa la lotta di classe, c’è ancora ma si svolge in forme molto diverse. Oggi le divisioni di classe sono molto ridotte e c’è un passaggio da una classe all’altra sia in senso ascensionale sia in senso discendente. Oggi non è vergogna se il figlio di un avvocato fa il tassista.
- Professor Musatti, se non sono indiscreto, mi parli di un suo atto di obbedienza e uno di disobbedienza.
Di disobbedienza me ne viene in mente uno, ma di obbedienza non saprei.....
- È sempre stato disubbidiente?
No. Io ho un senso di colpa nei confronti di mia padre perché una volta l’ho imbrogliato. È una storia complicata. Io ero uno studente di Matematica, ma poi volli passare a Filosofia, perché i miei interessi matematici non riguardavano la Matematica ma solo i Principi della Matematica che in quella facoltà non erano affrontati. In quella Facoltà c’era un professore di Filosofia Teoretica che si occupava di quella che oggi si chiama Epistemologia. Allora decisi di cambiare Facoltà, ma a quei tempi questo era possibile solo con l’autorizzazione paterna e poi c’erano dei vincoli con la leva militare. Così feci un accordo con mio padre pur di mantenere fede agli obblighi di leva e al desiderio di mio padre che io facessi il militare nel Genio o nell’Artiglieria. Con l’iscrizione a Filosofia era invece automatico andare in Fanteria. Così mi iscrissi anche all’Istituto Nautico perché questa era l’unica possibilità di non andare in Fanteria. Ma poi, scoppiata la guerra, gli iscritti alla leva di mare non venivano chiamati e allora io mi autodenunciai scrivendo una lettera anonima alle autorità militari perché non volevo rimanere a casa quando i miei coetanei erano già al fronte. Mio padre credette a una denuncia di qualche compagno invidioso e io non confessai mai a mio padre questa cosa. Questo è un atto di disobbedienza a mio padre che ancora mi pesa.
- E un atto di obbedienza?....in che cosa consiste l’obbedienza ?
Nella tolleranza dell’altro, nell’accettazione del disagio. Tollerare le condizioni della vita, cioè accettare le condizioni dell’esistenza e della non- esistenza, la vita e la morte.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Cesare Musatti, lo psicoanalista filosofo che fu anche scrittore
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