Ricorrono oggi ventisei anni dalla morte di Nazareno Fabbretti, nato nel 1920 a Iano, in provincia di Pistoia, e morto il 25 ottobre 1997 a Salice Terme. Membro dell’Ordine dei Frati Minori, insieme a don Primo Mazzolari, don Milani, padre Davide Turoldo e padre Ernesto Balducci, è considerato un precursore del Concilio Vaticano II.
Oltre all’insegnamento della letteratura italiana si è dedicato all’attività di scrittore e giornalista. Ha svolto inchieste e servizi in Europa, Asia, America Latina e Stati Uniti.
Ha pubblicato una cinquantina di libri, tra cui: Don Mazzolari, don Milani, i “disobbedienti”, Simon Weil, sorella degli schiavi, Il sogno e il mare, Francesco, Antonio di Padova. Il romanzo di una vita e Chiara, riediti di recente da Edizioni Terra Santa.
Francesco Bova, pedagogista e scrittore, ha avuto il piacere di intervistare Nazareno Fabbretti nel settembre 1983 presso il Convento di Santa Maria delle Grazie di Voghera.
Ecco di seguito il loro interessante dialogo che ha toccato temi tuttora molto attuali, quali la necessità del disarmo, il pericolo dell’atomica e i diritti dell’uomo.
Cosa direbbe oggi Fabbretti sulla guerra in Ucraina e il conflitto tra Palestina e Israele?
Intervista a Nazareno Fabbretti
a cura di Francesco Bova, settembre 1983
- I lager nazisti, Hiroshima e l’abbattimento del jumbo Sudcoreano sono i simboli di un’obbedienza aberrante; una catena di “obbedisco” che parte, in nome di qualcosa, da uno Stato maggiore all’ufficiale e via via arriva al soldato semplice.
L’obbedienza cieca rientra nello schema mentale del militare o, forse, è l’assunto pedagogico di una società militarizzata e, dunque, allevata nella violenza?
È l’assunto di una società sacralizzata prima di tutto, dove tutto era sacro: la legittima difesa, la guerra santa, la crociata (la mezza lunata a pari sangue nella nostra storia) e con una disponibilità e passività evidente come la società, dai “secoli bui” a quelli dei lumi, era particolarmente recettiva di questa struttura nella struttura. Diventava una struttura morale e una struttura di giustificazione.
L’obbedienza era la firma a tutta questa modificazione della libertà, in buona fede - se non consento alla buona fede devo rinnegare anche la storia della Chiesa - però, oggi, con tutti gli orrori e gli errori abbiamo almeno questo di progredito: l’idea della guerra, l’idea della pace.
La cultura sta cominciando, non direi che siamo al punto necessario se no non ci sarebbero le stragi nei cieli, i negoziati di Ginevra e quella sceneggiata a distanza dei due padroni della terra, ma la cultura della pace sta succedendo alla cultura della guerra.
Siamo ancora proprio nella profezia, non ancora nell’esperienza e, tuttavia, è ancora così lungo il cammino, così duro il mallo da spaccare per arrivare all’uomo di cultura di pace che solo i disarmati possono avere. Ripeto io sono un fautore, in caso di impasse, del disarmo unilaterale.
Un blocco che se avesse la scintilla, non dico solo cristiana, ma di realismus, realismo esistenziale e storico da dire: “Noi siamo disarmati, vediamo. Fate quello che volete!”, io credo, proprio come in un dio, io credo che non ci sarebbe dall’altra parte la guerra, perché avrebbe già raggiunto lo scopo: dovrebbe, buttar via i suoi arsenali.
Ecco però, nelle coscienze, nelle fasce sociali più o meno avvantaggiate come consumi, come poteri c’è ancora questo conflitto di cultura utilitaria.
Cioè il povero è più pronto a lottare per la pace perché ha meno beni, è l’anima della giustizia, no? Beati gli affamati, mentre il ricco è pronto a lottare per difendere i beni. L’anima della guerra, l’anima della pace è ancora nel consumo, per cui io mi ostino a dire – l’ho scritto più volte sul Corriere della Sera: “La guerra nucleare è già cominciata”.
È un’ipocrisia dire che non c’è: è nella requisizione degli enormi beni per la costruzione di bombe nucleari, di installazioni; nella sottrazione ai poveri e ai meno abbienti per gettarli nella disperazione e, nello stesso tempo, essere pronti a far loro l’atomica. Io stesso ho visto la prima centrale atomica di Nuova Dehli.
È in questa sperequazione, in questa sottrazione di beni che si annulla anche la cultura della pace. Tuttavia basta un profeta, un pacifico non un pacifista, un uomo-pacis non un uomo di pace - ci sono pure gli amici dei poveri, ma essi non risolvono nulla ma, uno solo, uno che sta con i poveri e si fa povero, nel senso proprio di distacco dei beni che poi magari amministra saggiamente, dunque basta un “profeta” per non far morire la nostra speranza.
- Giovanni Paolo II, nel suo discorso di Vienna (11.9.83), parla dell’inizio di una nuova fase prebellica. Già Benedetto XV nella «Nota ai capi dei popoli belligeranti» del 1917 e Pio XII nel radiomessaggio del 1941 avevano denunciato la sciagura di una guerra mondiale. Ancora oggi, la Chiesa ha solo capacità divinatorie o, secondo l’insegnamento di Giovanni XXIII (enciclica Pacem in terris del 1963), ha pure la forza di «dissolvere la psicosi bellica che alimenta gli spiriti»?
In parte ha tutt’e due queste energie: l’annuncio profetico, la facoltà divinatoria come lei dice e, in parte, la forza; perché se convince l’uomo, i credenti - siamo quasi un miliardo noi cristiani - la forza ci sarebbe.
Dico ci sarebbe, non c’è. È latente, bisogna accenderla per impedire, per fare agire, per dire “No”. Perché anche la parola - quando vedo le allusioni sulle marce dei pacifisti io mi sento umiliato -, la parola è l’annuncio dei valori ed è un valore.
Quando Paolo VI diceva “Se vuoi la pace prepara la pace”, esprimeva veramente la necessità di un discorso che mantenuto aperto.
Lo dice anche Umberto Eco in quel libro Disarmo o sterminio? Il discorso sulla guerra porta alla guerra, il discorso sulla pace può portare alla pace.
Pertanto detto da un laico mi sembra veramente importante che anche alla parola si mantenga il suo valore, perché se ella diventa un alibi, diventa un automatico alibi di pigrizia: di non esporsi neanche verbalmente. La Chiesa ha la parola, questa parola che non ha ancora detto nei fatti.
L’ha annunziata nei valori, nei teoremi, nei fatti non l’ha ancora detta tutta.
Ha questa parola e ha questa forza: sono ancora completamente da spendere. Qui sta la nostra responsabilità, prima di cristiani e poi di uomini. Anzi, prima di uomini e poi di cristiani.
- La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del dicembre 1948 considera «che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell’uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità». Oggi i Signori del Palazzo Atomico ne hanno compromesso la salute mentale. Ma esiste veramente una differenza morale e di responsabilità tra lo scienziato e il tecnico; di un Teller al servizio di un Reagan/ Andropov?
Esiste di fatto oggi, come ormai io sostengo anche pubblicamente, perché non si può lavorare per un padrone con dati rigorosamente, stupendamente scientifici e illudersi di essere esenti dalla responsabilità, quando lo stipendio per questa ricerca gli viene
dal padrone che è un uomo di guerra, in quanto è colui che dispone insieme di un altro, gira gira, del destino dell’umanità.
Quello di Erice mi sembra veramente il festival di una, ormai deformata - perciò anche secondo Zichichi... un qualche fumo di buona fede, fumo ma non luce; cioè un’auto giustificazione talmente strutturata che non ne escono più. Mi sembra il festival della ipocrisia e dell’astuzia. Dell’astuzia di chi li manda e dell’ipocrisia di chi ci va. A dire: “Vediamo un po’ quanto ci spetta di morte a testa”. Lo sappiamo già!
L’ipocrisia di dire: “Facciamo un documento per dire ai capi di stato: guardate che se viene la guerra sul pianeta succede...”.
Come se non lo sapessero già e non contassero proprio su quello. Gli resta solo un argomento a questi padroni degli scienziati: “Io sono qui...allo scarto dei venti famosi secondi da una parte all’altra”... ora, però, dico... adesso mi è sfuggito il senso della domanda...
- La differenza morale tra lo scienziato e il tecnico...
Ah, sì. Zichichi distingue giustamente tra tecnici e scienziati. Lo scienziato è colui che acquisisce il dato, la possibilità e l’ipotesi di impiego ma, se Einstein, Oppenheimer giunsero tardi anche loro a capire - e anche loro partivano puri, scienziati puri - come non lo può capire un Velikov o un Teller oggi.
Come può quel vecchio signore che fu il padre della bomba a dire a un bambino di sei anni, come a Erice: “Ma l’abbiamo fatta per salvare due milioni di giapponesi!”
Pronti a scommettere sulla storia per giustificare la morte nella storia!
C’è una responsabilità inevitabile, inscindibile a meno che questi signori stipendiatissimi, che tornano a casa a prendere gli stessi stipendi dopo aver firmato gli stessi documenti non facciano come Velikov. facciano come Einstein, come Oppenheimer: dicano di no, vadano in Siberia come Sacharov a morire.
Ma io faccio presto a dire andate a morire, ma loro hanno in mano questo fuoco di Prometeo da incendiare tutto e non hanno la mia responsabilità...ne hanno un po’ di più.
Ed io voglio, esigo che costoro stiano zitti, oppure che diano le dimissioni e vadano ad occuparsi di un laser che operi l’occhio e non di un’atomica, di una trasformazione della fissione dell’atomo in una bomba.
- Molti politici, alcuni autorevoli (e autoritari) statisti, condannano i movimenti pacifisti come destabilizzanti, affermano candidamente che “la pace deve essere costruita sulla forza”. Lei si è dichiarato a favore del disarmo nucleare a oltranza, anche unilaterale. Padre Nazareno Fabbretti è un sovversivo?
Se appunto io fossi disposto a morire invece che ad uccidere, non facciamo paragoni ma Luther King, Gandhi e il primo Gesù Cristo e se milioni di ignoti grandi come loro per valore di coraggio hanno fatto questo, perché non dobbiamo farlo anche noi.
Allora il Vangelo che cos’è? È un sostegno come è stato per secoli malinteso e tradito, ma un sostegno dei poteri del conflitto o deve essere una liberazione dal conflitto? Nella liberazione del potere di uno e dell’altro è una creazione del dialogo, questo mi pare!
Se fossi un sovversivo mi guarderei allo specchio e mi batterei le mani, ma non sono affatto un sovversivo: ho paura, ho gli incubi notturni quando penso alle cronache dell’atomica e quando penso, non so, ad un colpo di freddo. Non sono un sovversivo, cerco di essere un uomo.
- Il compianto Adriano Buzzati Traverso chiedeva di rimuovere dal territorio italiano tutte le armi nucleari. Il cosiddetto Ministero della guerra ha la capacità di rendere neutro il colore dei politici uniformandone le vedute. Sarà mai possibile spazzare via politici, ministeri e arsenali?
No!
- Ha definito Antonino Zichichi, al convegno di Erice, un nuovo Simone Cireneo di «questa allucinante fatica di Sisifo » (tratto da “Da che pulpito parlano di pace”, « Il Secolo XIX del 25.8.1983). Ma il grande scienziato non ha raccolto il paradosso del «gioco senza fine» che inevitabilmente ci porterà ad un quarto, quinto, e via via, seminario sulle guerre nucleari, passo passo fino al Calvario?
Io ammiro l’uomo e lo scienziato Zichichi come tale; ho scritto e non voglio infierire ancora, perché è veramente anche un ottimo cristiano e questo mi lega un po’ le mani... però io credo che moltiplicare i seminari di Erice sia assolutamente sterile,
confusionario, ingenerante confusione nella gente che rischia di dire: “Però poveretti ogni tanto si sforzano”.
Quelli lì, e certi testimoni del “no” che ci vanno, ci confondono veramente le idee perché tengono, oltretutto, aperto il discorso sulla guerra come un fatto con cui... ed è vero: “Ma se lo dice a quel livello quella autorità lì”, lo deifico, lo istituzionalizzo il discorso sulla guerra. Per questo mi sembra che veramente il telegramma di Pertini, il telegramma del Papa. Ognuno fa quello che crede, per me sono veramente un’insidia.
- L’etologo Konrad Lorenz ne Gli otto peccati capitali della nostra civiltà (1973) ha scritto: “Contro la bomba c’è un rimedio assolutamente sicuro e inequivocabile: basta non produrla.” I cittadini di tutto il mondo pagano allo Stato un tributo per la propria distruzione, è possibile promuovere una grande campagna di disobbedienza civile che riduca le spese militari?
Io mi sto battendo nel mio piccolo, propugnando dall’altare e da un giornale settimanale la disobbedienza fiscale per le spese di guerra.
Anche nel nostro “Bel paese”, giardino d’Europa - il più sporco ecologicamente e fra i più disponibili agli impianti nucleari -la sto proponendo come un segno di adorazione
del dio della Vita, la disobbedienza fiscale contro le spese militari.
Qui bisognerebbe prima (ecco la guerra che vorrei, fatta anche come mercati) sconfiggere le multinazionali. E le multinazionali, sembra retorica ormai, sono la spiegazione concreta della produzione bellica. lo ti mantengo: ti do un 20% in più di ciò che non avevi quando eri selvaggio, però con questo 20% in più ti do pure un 40% di bisogni che non avevi, non tanto di cultura, di benessere contro le malattie ma anche la televisione a colori come io ho visto in Brasile nella capanna fatta di latta. Quando si crea questo si crea già un agglomerato atomico: è nitroglicerina, è sfruttamento!
I bilanci di tutt’e due i paesi che hanno l’atomica determinante sono così grassi e pingui da far defluire una parte mostruosa nel nucleare perché hanno le multinazionali: politiche, ideologiche, militari, commerciali e industriali.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Nazareno Fabbretti ancora attuale: un’intervista-dialogo sulla guerra e la necessità del disarmo
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