Anche se oggi è considerato un minore, il veronese Ippolito Pindemonte è stato un intellettuale di spicco dell’Italia tra fine ’700 e inizio ’800 e un poeta sufficientemente lodevole da meritare la stima dell’amico Ugo Foscolo, che proprio a lui ha dedicato Dei Sepolcri.
Personalità malinconica e fine, ci ha lasciato una bellissima traduzione dell’Odissea.
Nell’anniversario della sua scomparsa, avvenuta il 18 Novembre del 1828, (ri)scopriamo la vita e l’opera di un artista che forse, oggi, meriterebbe maggiore considerazione.
Ippolito Pindemonte: la vita
Ippolito Pindemonte nasce a Verona il 13 Novembre del 1753 da un’illustre famiglia di artisti e letterati.
Suo padre è il marchese Luigi, dilettante di pittura, musica ed erudizione, la madre è Dorotea Maffei, nipote del famoso Scipione, storico, drammaturgo, diplomatista, paleografo ed erudito.
In un simile contesto, non è difficile immaginare quanto Ippolito, fin dalla tenera età, sia stato stimolato al gusto dell’arte e delle lettere, tanto da iniziare a comporre seriamente versi già da adolescente durante la permanenza presso il prestigioso Collegio dei Nobili di Modena.
I viaggi in Italia, Francia, Germania e Austria contribuiscono enormemente alla sua formazione personale e culturale e, in più, lo portano lontano da certi ambienti veronesi in cui lo si accusa di appartenere alla Massoneria; a tale riguardo, non abbiamo nessuna prova che ciò fosse vero, mentre sappiamo con certezza che ne fece parte il fratello Giovanni.
Allo scoppio della Rivoluzione Francese, Pindemonte si trova vicino Parigi insieme all’amico Vittorio Alfieri.
All’inizio, come molti altri letterati, ne approva i principi di fondo, ma poi si pente e ne prende convintamente le distanze, deluso ed addolorato dalla violenza estrema scatenata dai capi, incomprensibile ad un’indole sensibile e desiderosa di pace come la sua.
Tornato in Italia, anima i salotti letterari e riceve un premio dall’Accademia della Crusca, di cui diventa membro.
Muore a Verona nel 1828.
La traduzione dell’Odissea di Ippolito Pindemonte
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La traduzione dal greco dell’Odissea omerica è considerata il capolavoro di Ippolito Pindemonte.
L’opera ottenne un successo strepitoso già all’epoca, tanto da richiedere diverse edizioni e ristampe.
Il suo punto di forza sta nella potenza lirica ed espressiva di uno scritto che non si limita alla semplice trasposizione di un testo da una lingua ad un’altra, bensì gli conferisce un’aura del tutto personale, non di rado discostandosi dall’originale, creando quasi un’opera a sé, esattamente come accade, per citare il parallelo più celebre, nell’Iliade di Vincenzo Monti.
Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la letteratura o, semplicemente, abbia studiato Omero a scuola, conosce perfettamente l’incipit dell’Odissea tradotta da Pindemonte:
Musa, quell’uom di multiforme ingegno
Dimmi, che molto errò, poich’ebbe a terra
Gittate d’Ilïòn le sacre torri;
Che città vide molte, e delle genti
L’indol conobbe; che sovr’esso il mare
Molti dentro del cor sofferse affanni,
Mentre a guardar la cara vita intende,
E i suoi compagni a ricondur: ma indarno
Ricondur desïava i suoi compagni,
Ché delle colpe lor tutti periro.
Stolti! che osaro vïolare i sacri
Al Sole Iperïon candidi buoi
Con empio dente, ed irritâro il nume,
Che del ritorno il dì lor non addusse.
Deh! parte almen di sì ammirande cose
Narra anco a noi, di Giove figlia e diva.
La poetica di Ippolito Pindemonte: classicismo e preromanticismo
Pindemonte è essenzialmente un classicista, ma al tempo stesso è considerato, al pari di Foscolo, un preromantico.
Ad avvicinarlo alla nuova corrente sono principalmente i temi sentimentali e forse, più di qualsiasi altro aspetto, la sottile ma tenace vena di malinconia che ne attraversa le opere.
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A questo stato d’animo, il veronese dedica una delle più celebri delle sue Poesie campestri, dal titolo, per l’appunto, La melanconia, i cui versi iniziali recitano così:
Melanconia, / Ninfa gentile, / La vita mia / Consegno a te. / I tuoi piaceri / Chi tiene a vile, / Ai piacer veri / Nato non è.
Anche l’amico Ugo Foscolo, ne I Sepolcri, cita la malinconia come caratteristica essenziale e predominante della poetica pindemontiana:
"Né da te, dolce amico, udrò più il verso / E la mesta armonia che lo governa".
Infine la passione per la poesia cimiteriale e ossianica, ripresa soprattutto dall’inglese Thomas Grey, è un’ulteriore e chiara dimostrazione della propensione di Pindemonte al Romanticismo ormai prossimo ad affermarsi.
Per quanto riguarda le opere principali, oltre alla già menzionata traduzione dell’Odissea, citiamo:
- Poesie campestri (1798) e Prose campestri (1795), tra i migliori esempi di opere a carattere georgico-didascalico dell’epoca;
- Epistole (1805);
- Sermoni poetici (1819);
- Arminio (1804), la sua tragedia più nota, importante per l’evidente influenza della poesia ossianica;
- Sopra i sepolcri dei Re di Francia nella chiesa di San Dionigi (1789), composto prima che il complesso monumentale e cimiteriale venisse danneggiato dai rivoluzionari, con recensione di Alessandro Manzoni;
- Lamento di Aristo in morte di Giuseppe Torelli;
- Abaritte. Storia verissima, romanzo autobiografico pubblicato nel 1790, subito dopo essere tornato in Italia dalla Francia;
- In morte della regina Maria Antonietta e In morte del re Luigi XVI, sonetti nei quali deplora la decapitazione degli ex sovrani e prende definitivamente le distanze, dopo l’iniziale entusiasmo, dalla Rivoluzione Francese, ormai in balia della cieca violenza dei capi e della plebe.
I poemetti I cimiteri e Dei Sepolcri meritano una trattazione a parte.
L’amicizia fra Pindemonte e Foscolo: Pindemonte ispiratore del capolavoro foscoliano
Pindemonte e Foscolo si conoscono nella primavera del 1806 a Venezia per tramite della comune amica Isabella Teotochi Albrizzi, che nel suo prestigioso salotto letterario ospita spesso l’intellettuale veronese.
Fra i due nasce un’amicizia che, in base alle fonti in nostro possesso, sembra essere stata vera, solida e profonda.
A cementarla, come è fin troppo facile intuire, la passione di entrambi per le lettere e l’arte.
L’editto di Saint-Cloud emanato da Napoleone nel 1804 suscita un acceso dibattito sui cimiteri che coinvolge anche i due sodali, contrari a quanto sancito dalla nuova legge, che imponeva non solo la sepoltura fuori dai centri abitati e non più nelle chiese come era avvenuto fino ad allora, ma anche che le tombe fossero tutte uguali e anonime, una condizione per entrambi, e in modo decisamente acceso per Foscolo, inaccettabile.
E così, a riguardo, Pindemonte inizia a scrivere un poemetto intitolato I cimiteri, ma lo interrompe quando Foscolo pubblica, nel 1807, il carme Dei Sepolcri, che dedica proprio all’amico (il capolavoro foscoliano si chiama Dei Sepolcri o Carme a Ippolito Pindemonte).
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Quest’ultimo, a sua volta, l’anno successivo gli dedica un omonimo (ma più scialbo) Dei Sepolcri.
L’idea della morte nei due autori è diametralmente opposta, poiché Pindemonte, a differenza dell’agnostico e materialista Foscolo, crede fortemente nella concezione cristiana della resurrezione dell’anima.
Il carme foscoliano inoltre, ha carattere prettamente civile, mentre quello del veronese tratta la tematica da un punto di vista più affettivo e intimo.
Infine un accenno all’accusa di plagio nei confronti di Foscolo.
Secondo una parte della critica, quest’ultimo avrebbe sollecitato il collega ad occuparsi della traduzione dell’Odissea per essere libero di scrivere Dei Sepolcri e pubblicarli per primo come novità.
Tuttavia lo stesso Pindemonte scagiona l’amico in una lettera nella quale afferma di aver interrotto la stesura del suo poemetto non appena venuto a conoscenza della pubblicazione del carme del veneziano, che oltretutto accoglie con parole entusiastiche.
I cimiteri viene pubblicato dopo la morte di Pindemonte, avvenuta un anno dopo quella di Foscolo, quasi a sigillo di un’amicizia che, a dispetto delle chiacchiere e delle polemiche sterili, dovrebbe essere stata proprio come quella che ci si aspetta da due anime belle, pura e autentica.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi è Ippolito Pindemonte, il poeta dimenticato a cui Foscolo dedicò Dei Sepolcri
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