La Trilogia della Fondazione è un insieme di tre libri
che rappresenta uno dei più famosi cicli di fantascienza.
Un successo che è arrivato immediatamente dopo la pubblicazione (dal 1951 al 1953) e che si è protratto negli anni.
A cosa fu dovuto un tale successo? A cosa è tuttora dovuto? Non saprei dirlo con precisione, ma per provare a farlo partiamo dall’analisi dei tre libri.
ANALISI DEI LIBRI
Prendiamo il primo e immaginiamo di essere in un pianeta controllato dalla Fondazione. Questa popolazione vivrà diverse fasi evolutive che sembrano corrispondere a grandi linee a quelle che l’uomo ha vissuto sulla Terra. Queste genti, dopo che sono cadute in uno stato di barbarie e mentre la Fondazione è in pieno sviluppo e espansione, ritengono Hari Seldon, ideatore del progetto, un Dio e chi è stato deputato a portare avanti tale lavoro, gli uomini della Fondazione, come dei sacerdoti dei quali aver paura e allo stesso tempo verso i quali aver fiducia. Finché il tutto non entra in crisi e la Fondazione cambia schema e basa la sua forza sul commercio. I mercanti diventano i veri padroni mentre la figura di Hari Seldon mantiene il suo carisma e resta ancora un riferimento quasi divino. Poi la scienza applicata avanza sempre più fino a riuscire a controllare quello che sembra il mondo allora conosciuto. E intanto siamo passati al secondo volume. Sembra che niente possa cambiare questo stato. Ma proprio a questo punto arriva il Mule e la Seconda Fondazione che, con la capacità di controllare parte della mente, riescono a destabilizzare il sistema basato sulla tecnica e rimescolare le carte in tavola. I due mondi, quello della tecnica e quello della mente entrano in contatto. E cosa succede a questo punto? Siamo arrivati al terzo romanzo intanto. Uno scontro tra i due mondi sembra inevitabile e solo la soluzione a questo conflitto porterà o meno a compimento il progetto originario del “dio” Hari Seldon, e cioè un mondo stabile e giusto.
PARALLELISMO
Il parallelismo sembra evidente sia verso il passato (ripercorrendo secoli e secoli di organizzazioni sociali), sia verso il presente che stiamo vivendo e il futuro che ci accingiamo a vivere. Quindi se da un lato ci si può, come umanità, identificare in tutte le fasi descritte nei libri, dall’altro non ci è difficile pensare cosa possa succedere quando due diversi mondi (intesi come metodi, usi, pensieri) diversi entrano in contatto. Da un lato il senso di impotenza davanti a un progetto che non si capisce e che sembra non giustificare le cose orribili che si susseguono nei vari mondi, dall’altro la consapevolezza di quanto le diversità siano causa di conflitti. Chi poi è abituato a ottenere risultati immediati è particolarmente sensibile alla paura dell’ignoto, di quello che non si riesce ad afferrare e comprendere, portando più facilmente allo scontro che alla ricerca di una possibile e pacifica soluzione.
LA MENTE E IL BRACCIO
E se pensiamo che la tecnica altro non è che la scienza applicata a ottenere risultati nell’immediato, mentre la psicologia, la sociologia e tutte le scienze socio-comportamentali non sono altro che scienze che hanno come scopo un risultato proiettato nel tempo, se capiamo questo forse non ci sarà difficile capire il perché di uno scontro tra l’applicazione della scienza e la scienza puramente mentale, tra teoria e pratica, scienza pura e scienza applicata, tecnica e pensiero. Siamo in presenza dell’atavico dualismo tra mente e braccio. Da qui modi di interpretazione della realtà diversi, modi di comunicazione differenti (che poi sono la causa di molti mali: la comunicazione o meglio la cattiva comunicazione provoca incomprensioni e non permette alle emozioni di esprimersi in modo adeguato). E tutto questo non è forse quello che viviamo di continuo?
Asimov poi va oltre, cerca di tracciare un percorso di come le cose possono evolvere, individua nella mente delle capacità che sono quelle che possono permettere di andare oltre la tecnica. Pensieri che non possono essere compresi dalla massa ma solo da pochi eletti che sono legittimati a imporre la propria volontà quando il bene supremo, che l’uomo comune non riesce a capire, è minacciato. A questo punto Asimov non parlava più di religione, lui che religioso non era affatto, ma forse di altro, di qualcosa che poteva portare l’umanità al raggiungimento di un periodo di maggiore uguaglianza e solidarietà sociale. Una speranza probabilmente.
L’UMANITA’ DELLA FONDAZIONE
Per tutto questo forse, per la sua “umanità” intesa come la capacità di far indossare alla realtà il vestito della fantascienza, per la sua “socialità” intesa come la trattazione di argomenti sociali, per il suo “futurismo” inteso come le varie possibilità a cui questo mondo (e, insieme a lui, noi che lo viviamo) è aperto, per tutto questo, dicevo, forse questa trilogia di fantascienza, più che altre opere dello stesso filone, ha avuto successo ed è rimasta nel cuore di tanti lettori.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La Trilogia della Fondazione di Asimov: una serie “realmente” fantascientifica
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