Il 25 settembre 1972 la poetessa argentina Alejandra Pizarnik moriva nella sua casa di Buenos Aires dopo aver ingerito un ingente quantitativo di barbiturici. Aveva soltanto 36 anni.
Per il premio Nobel Octavio Paz la poesia di Pizarnik irradiava un “calore luminoso”. Eppure in lei in realtà non c’era alcuna aura di luce: Alejandra era una creatura notturna, ombrosa, scostante, abitata da una lucida coscienza di “inappartenenza alla vita”.
In una poesia intitolata Infanzia, Pizarnik scriveva:
E qualcuno entra nella morte con gli occhi aperti come Alice nel paese del già visto.
Parole che oggi appaiono come un presagio della sua drammatica fine. Talvolta nella scrittura Alejandra si sdoppiava in Alice, la protagonista del capolavoro di Lewis Carroll, e si definiva una bambina non cresciuta. Proprio come Alice, nella finzione la poetessa argentina si addentrava nel giardino di simboli delle parole, dei paradossi, del non-senso. In seguito la fascinazione per l’infanzia perduta si era trasmutata nella fascinazione oscura per la morte.
Infine in quel maledetto giorno di settembre Alejandra Pizarnik aveva inghiottito, di sua volontà, cinquanta pastiglie di seconal per sconfiggere l’insonnia che la perseguitava ormai da troppo tempo diventando il sottofondo costante del male di vivere. Non si trattava di un’overdose involontaria, ma di un suicidio strategico, pianificato, consapevole. Lei, creatura della notte, sceglieva di tornare nell’ombra da cui era venuta.
Nelle sue opere, Pizarnik ci fa dono di una poesia che sembra trasmigrare in una sorta di sostanza spirituale. Parlando della materia rende palpabili i sogni, i desideri, i pensieri. Attraverso la poesia si compie quindi il riscatto di un’anima.
La sublime lirica La notte rappresenta il canto più intenso di Alejandra Pizarnik, capace di restituirci la pienezza della sua coscienza che appare infinita e “ammantata di stelle”. Parlando del vuoto, la lirica di Pizarnik riesce a descrivere la pienezza di un’umanità sconfinata, a trasformare persino il silenzio in rumore, poiché sono le parole a “riempire il silenzio assordante dei secoli”.
Alcuni anni dopo la scomparsa della poetessa, l’amico scrittore Julio Cortazar l’avrebbe ricordata attraverso il toccante poema Aquí, Alejandra in cui chiama Pizarnik affettuosamente “bestiolina” e le chiede di tornare accanto a lui, evocandola direttamente dalle tenebre come una creatura notturna.
Alejandra Pizarnik ci ha lasciato la sua vasta produzione poetica, tre raccolte di poesie edite e molte altre ancora inedite, una novella gotica, lettere, svariati disegni e le oltre mille pagine dei suoi diari.
Nel 2004 Crocetti editore ha pubblicato il volume La figlia dell’insonnia, che rappresenta una delle prime traduzioni italiane dell’opera di Pizarnik. Un secondo volume dal titolo Poesia completa è stato edito da Lietocolle nel 2018.
Scopriamo testo, analisi e commento di una delle liriche più raffinate della poetessa argentina, La notte, contenuta inizialmente nella raccolta Las aventuras perdidas (1958).
La notte di Alejandra Pizarnik: testo
So poco della notte
ma pare che la notte sappia molto di me,
e non solo, mi sostiene come se mi amasse,
ammanta la mia coscienza con le sue stelle.Può darsi che la notte sia la vita e il sole la morte.
Può darsi che la notte è nulla
e le congetture su di lei nulla
e gli esseri che la vivono nulla.
Può darsi che le parole siano la sola cosa che esiste
nell’enorme vuoto dei secoli
che ci graffiano l’anima con i loro ricordi.Però la notte deve conoscere la miseria
che si abbevera al nostro sangue e alle nostre idee.
Deve scagliare odio contro i nostri sguardi
che le sono noti in quanto pieni di interessi, di incontri falliti.Però mi accade di udire la notte piangere nelle mie ossa.
La sua lacrima immensa delira
e grida che qualcosa se n’è andato per sempre.Un giorno torneremo a essere.
La notte di Alejandra Pizarnik: testo originale spagnolo
Poco sé de la noche
pero la noche parece saber de mí,
y más aún, me asiste como si me quisiera,
me cubre la existencia con sus estrellas.Tal vez la noche sea la vida y el sol la muerte.
Tal vez la noche es nada
y las conjeturas sobre ella nada
y los seres que la viven nada.
Tal vez las palabras sean lo único que existe
en el enorme vacío de los siglos
que nos arañan el alma con sus recuerdos.Pero la noche ha de conocer la miseria
que bebe de nuestra sangre y de nuestras ideas.
Ella debe arrojar odio a nuestras miradas
sabiéndolas llenas de intereses, de desencuentros.Pero sucede que oigo a la noche llorar en mis huesos.
Su lágrima inmensa delira
y grita que algo se fue para siempre.Alguna vez volveremos a ser.
La notte di Alejandra Pizarnik: analisi e commento
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Scrivere poesie per Alejandra Pizarnik equivaleva a riparare uno squarcio, medicare una ferita. La notte è una splendida lirica di sensazioni: evoca rabbia, sconforto, solitudine, e così facendo traduce in parole il canto sommesso di un’anima.
Attraverso una scrittura visionaria, onirica, notturna Pizarnik riesce a rendere le sensazioni tangibili, tradurle in pietre, renderle materia. Il grido dell’anima sembra così scuotere le fondamenta stesse del mondo, attraversare le distanze siderali dei cieli stellati e infine ricongiungersi con la parte più profonda dell’essere.
Il dolore è radicato nella vita, rappresenta l’altra metà, quella più oscura, del cuore dell’uomo. Alejandra dà voce proprio a questa oscurità, la traduce in parole sino a tesserne un canto di dolce e straziante malinconia. Lei è la creatura stregonesca, un po’ fata e un po’ maga, che si riflette nelle tenebre e in esse sembra trovare il proprio conforto. È il regno dell’ombra la vera dimora della poetessa, poiché rappresenta lo specchio di quel vuoto che sembra richiamare a sé la pienezza della materia.
A ricucire il senso perduto dell’esistenza, a ristabilire un significato riunendo i frammenti del caos alla coincidenza dell’attimo presente, sono le parole. “Le parole sono la sola cosa che esiste”, afferma Pizarnik restituendoci un elogio sconfinato del valore supremo della “parola”, la facoltà umana per eccellenza.
Può darsi che le parole siano la sola cosa che esiste
nell’enorme vuoto dei secoli
che ci graffiano l’anima con i loro ricordi.
Oggi questo stesso grido poetico risale dalle profondità del tempo travolgendo i lettori che vi si accostano. Perché è possibile narrare la perdita, il dolore, persino la morte, che così si trasfondono dal vissuto individuale a quello collettivo. Alejandra Pizarnik ci ha dimostrato che le parole possono essere un collante capace di tenere unita l’intera umanità.
Se leggendo La notte sentirete vibrare una lacrima nel profondo di voi stessi, allora la poesia ha ancora un significato e non ha smarrito la propria capacità di narrare ciò che non può essere detto ad alta voce né spiegato, ma solamente percepito, come l’abisso di un’anima.
Alejandra Pizarnik continua a vivere tramite le sue parole graffianti, in ciascuna delle nostre lunghe notti senza sonno, nella nostra innocenza perduta che viene riscattata dal mistero dei sogni.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La notte”, il canto dell’anima di Alejandra Pizarnik
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