Laboratorio Palestina. Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo
- Autore: Antony Loewenstein
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Fazi
- Anno di pubblicazione: 2024
È difficilissimo scrivere di questo saggio, che con fonti certe e fatti acclarati, ci dimostra che Israele sta vendendo ai paesi che lo richiedono armi sempre più tecnologiche, senza preoccuparsi se siano paesi democratici o dittature.
Il governo di Netanyahu, di destra reazionaria non si oppone a questa pratica moralmente esecrabile. Il saggio di Antony Loewenstein, ebreo australiano, i cui antenati scapparono dalla Germania nazista, ha come titolo Laboratorio Palestina. Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo (Fazi editore, 2024, prefazione di Moni Ovadia, traduzione di Nazzareno Mataldi).
Moni Ovadia, nella prefazione, scrive di un Israele che ha ripreso il peggio del sionismo, con colonizzazioni, brutalità sempre più gratuite, i palestinesi ridotti in un territorio trascurabile, senza speranza, con una disoccupazione altissima, perché lavorare per gli israeliani diventa sempre più difficile.
E poi queste prove certe che Israele vende a tutti i suoi armamenti, finiscono in una condizione di ansia e paura, come può scomparire l’antisemitismo, scrive, appunto Antony Loewenstein, se Israele, per sopravvivere rinuncia a ogni forma di moralità.
Hannah Arendt ne sarebbe devastata, se fosse ancora viva, anche se lei stessa sapeva che il sionismo da solo non risolveva una situazione tragica, quella di un paese che ha intorno solo islamici, arrabbiati perché i loro fratelli palestinesi vivono in una condizione di “prigionieri”, anche se la Arendt scriveva che nominare i palestinesi era un modo per colpevolizzare Israele, ma della Palestina, il paese più solo al mondo, non importava nulla agli altri Stati, ma era solo un uso strumentale per distruggere gli ebrei.
A tal proposito Antony Loewenstein scrive:
Quando mi recai per la prima volta in Medio.Oriente, nel 2005, conservavo ancora qualche illusione su Israele e Palestina. Credevo nella soluzione dei due Stati e nel diritto di Israele di esistere come stato ebraico. Oggi non appoggio né l’una e nell’altro. Negli anni seguiti a quel primo viaggio, ho scritto dalla Cisgiordania, da Gaza e da Gerusalemme Est, documentando la crescente stretta israeliana sulla Palestina. Tra il 2016 al 2020, ho abitato nel quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est e ho assistito alle vessazioni e alle umiliazioni inflitte regolarmente dalle forze di polizia israeliane ai palestinesi
.
Molti liberal occidentali lo dicono apertamente, ma non accade nulla.
Negli ultimi quattro anni, complice la pandemia, ci siamo scordati dei palestinesi, ma anche in anni passati gli studenti universitari di sinistra italiani hanno manifestato senza conoscere bene cosa è la Palestina, ovvero una terra dove si annida un dolore indicibile. La paura dell’antisemitismo ci ha bloccato, ci siamo girati dall’altra parte. Dal 1970 al 2020 solo il due per cento di articoli sul New York Times sono stati scritti da giornalisti palestinesi. Praticamente niente. E forse i pezzi in questione non sono nemmeno archiviati interi, perché a leggerli non sembrano nemmeno così disperati, inoltre si notano le parti mancanti sul terrore di Israele verso i palestinesi che sono state secretate dal giornale stesso, terrorizzato di sembrare un giornale antisemita.
Ebbene sì, scrive Loewenstein, la paura di sembrare antisemiti ha lasciato che Israele facesse cose obbrobriose ai palestinesi, che certo odiano gli ebrei ma il silenzio dei paesi islamici intorno a essi addirittura li ha devastati.
Richard Spencer, leader suprematista bianco americano, della destra ultra reazionaria espresse, nel 2018, col Presidente Trump alla Casa Bianca, ammirazione per lo stato di Israele in particolare per il modo in cui si faceva rispettare in un posto ostile e per come trattava i terroristi islamici, dimenticandosi, forse, che quei paesi sono abitati da civili popolazioni più che moderate, stufe di essere associate al terrorismo in nome di Allah.
Benjamin Netanyahu, per più di dieci anni ha sempre sostenuto di portare a tempo indefinito l’occupazione dei territori palestinesi e come primo ministro non parlava certo a vanvera. Nel 2021 non era più al governo, per la gioia degli ebrei moderati, ma nel 2022 è tornato al potere, con un governo mai così di destra.
Israele ha sviluppato degli armamenti di primo livello, che qualsiasi paese vorrebbe avere. Ha sviluppato anche un antidemocratico software spia per cellulari per ascoltare qualsiasi conversazione. E il Netanyahuismo è divenuta una dottrina che piace a molti paesi. Solo Barack Obama riuscì a dire che tenere sotto scacco tutti i palestinesi era indice di razzismo e colonialismo, atteggiamenti non più sostenibili in questo millennio.
Ma il problema resta l’Europa Occidentale, che proprio non accetta i diktat di Netanyahu, anche se nella sua tracotanza il Primo Ministro israeliano ricorda che è Israele è l’ultimo paese occidentale. Dopo ci sono solo paesi islamici che detestano l’Unione Europea e l’ONU. Ma come può l’Europa accettare un paese che vende i suoi armamenti a democrazie e dittature?
Le vendite di armamenti israeliani, nel 2021, hanno avuto un incremento del.55 per cento, guadagnando quasi dodici miliardi di dollari.
Senza dire troppo, perché il saggio è pieno di cifre e di paesi che hanno comprato gli armamenti israeliani, basta pensare al genocidio in Ruanda, nel 1994, dove morirono ottocentomila Tutsi, la fazione degli aristocratici, a causa della crudeltà degli Hutu, contadini che presero il governo dopo il massacro, aiutati con mitragliette comprate in Israele.
La risposta a questa carneficina da parte dello stato ebraico fu che era difficile una volta venduti gli armamenti sapere in quale paese potessero finire. E di esempi ne trovate perfino troppi, andando avanti con le pagine. Poi il fatto che leggiate un libro che sembrerebbe ostile agli israeliani non vi deve nemmeno venire in mente. Chi lo ha scritto è un ebreo, che si considera ancora ebreo, che è andato in Israele e in Palestina molte volte.
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