Lazzari e scugnizzi di Napoli
- Autore: Luisa Basile e Delia Morea
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2019
Un saggio lungo, documentato, esaustivo sotto molti punti di vista, quello che le due scrittrici-giornaliste-critiche e soprattutto esperte e appassionate di cultura partenopea a tutto tondo, Luisa Basile e Delia Morea, hanno recentemente pubblicato per Newton Compton, Lazzari e scugnizzi di Napoli.
Il titolo del libro evidenzia che le due parole chiave che identificano il popolo napoletano, lazzari e scugnizzi, hanno diversa origine, identificano momenti diversi della storia della città, si riferiscono a modalità di comportamento e di identità molto differenti.
Difficile ripercorrere tutti i passaggi del libro, pieno di notizie inedite, di spiegazioni che ci riportano indietro di secoli e poi arrivano fino alla contemporaneità. Nell’introduzione al volume, che era uscito oltre venti anni fa e che ora è stato completato e arricchito dalla passione delle due studiose, si afferma che:
“I lazzari e gli scugnizzi napoletani, intesi come manipolo di ragazzi vocianti, allegri ed eroici, così come la storia li presenta nel corso dei secoli, non esistono più: nuove ricchezze, nuovi e veloci codici di vita li hanno sostituiti.”
Oggi ci sono i ragazzini figli del popolo che si industriano, fanno lavoretti per aiutare l’economia familiare, spesso ai limiti della sopravvivenza, e le baby gang legate al contesto malavitoso, di cui i libri di Roberto Saviano e le numerose serie televisive ci hanno raccontato con spietata veridicità. Per non parlare dei tanti giovanissimi (spesso ancora bambini) abusati, violentati, vittime di vendette e di ritorsioni di bande rivali.
Ma tornando al libro, che ha per sottotitolo “La lunga storia dei figli del popolo napoletano”, mi soffermo su questa parola chiave: figli. Nella lunga narrazione, ci imbattiamo in ragazzi, giovani, giovanissimi, che hanno contribuito largamente alla storia della città. Al famosissimo capopopolo Masaniello e a sua moglie Berardina sono dedicate pagine interessanti, che raccontano come il povero pescatore, alla testa di un gruppo di lazzari armati di bastoni, abbia iniziato una rivolta popolare contro il viceré e i suoi gabellieri, pur rimanendo sempre fedele al re.
Illuminante il capitolo dedicato al rapporto fra il popolo napoletano e i viaggiatori del Grand Tour, rapporto controverso e non sempre felice. I grandi nomi di intellettuali e studiosi che giunsero a Napoli, da Cervantes a Montesquieu, da Goethe e Madame de Stael, e ancora De Sade e Charles Dickens si esprimono in modo diverso sui giovani popolani con cui entrano in rapporto. Dickens è uno dei detrattori di Napoli e dei suoi abitanti e scrive:
“Non è nulla al mondo più sordido di Napoli. Non saprei a cosa paragonare le strade in cui vive la massa dei lazzaroni i quali sembrano meri animali, squallidi, abietti, miserabili per l’ingrasso dei pidocchi... Temo che l’idea del pittoresco sia associata ad una tal miseria e degradazione che occorrerà inventare un nuovo tipo di pittoresco”.
Il giudizio così definitivo del romanziere inglese, che veniva da una classe poverissima, spinge le autrici alla riflessione che giovani masse di diseredati c’erano in tutta Europa (Londra, Parigi, la Spagna, i paesi Bassi...) e ci sono state raccontati da autori indimenticabili, a partire dallo stesso Dickens, ma anche da Victor Hugo, Zola, Manzoni, che nel corso degli ultimi secoli hanno scritto di miserabili, affamati, appestati, minori costretti a lavori massacranti nelle miniere e nelle fabbriche.
Le autrici citano nel loro studio nomi celebri di storici e di filosofi, di cui riportano brani illuminanti, penso a Croce, Calasso, De Seta, Pasquale Villari, Antonio Ghirelli.
Una parte molto coinvolgente della narrazione è quella dedicata all’arte e agli artisti che hanno colto da Napoli e dai suoi figli la loro ispirazione. Largo spazio dunque a Raffaele Viviani e alla sua lingua espressiva, e ancora a Matilde Serao, Francesco Mastriani, Salvatore Di Giacomo, Scarpetta, Eduardo...
Proprio a Mastriani, forse il nome meno noto fra gli scrittori citati, Antonio Ghirelli dedica pagine fondamentali per comprendere in modo più approfondito i misteri del “ventre di Napoli”:
“Nel vuoto di una cultura democratica che scuola società e stato non sanno colmare, nell’abisso dell’analfabetismo e dell’indigenza più animalesca, il fiume lutulento della narrativa di Mastriani scorre impetuoso come la lava dei Vergini, trascinando con sé il fango dei postriboli e delle taverne… il turpiloquio dei bassi e del porto, l’infamia dei ricchi e dei preti.”
Pagine illuminanti sulla storia più recente quelle dedicate agli scugnizzi in guerra, segnatamente alla loro partecipazione attiva alle “Quattro giornate di Napoli”, che portarono alla liberazione dall’esercito nazista occupante:
“I lazzari del 99 che parteggiarono per la Repubblica e gli scugnizzi del 43avevano un obiettivo e lo portarono avanti a ogni costo. Armati anche di fortuna, eroi improvvisati, all’occorrenza temerari, sfacciati, entrambi rappresentano i diversi volti di Napoli nei secoli.”.
Eppure, nel voler sintetizzare tutto il materiale presente in Lazzari e scugnizzi di Napoli, libro così ricco, mi accorgo che molto, troppo resta fuori: la musica, il teatro, il folklore, la napoletanità come categoria del gusto, le donne, la cultura, la tradizione. Ognuno di questi aspetti è raccontato con particolari inediti. Un esempio che mi ha colpito: l’etimologia del termine “scugnizzo”, che deriva quasi certamente da guagnin, un termine piemontese importato dopo l’Unità d’Italia.
Molti sono i brani di poesie e canzoni citati nel libro, molte le riproduzioni di quadri celebri dedicati ai giovani napoletani. Ancora due esempi, per concludere, Luisa Sanfelice in carcere di Gioachino Toma, conservato a Capodimonte, a ricordare "i patrioti dell’Armonia perduta", per dirlo con il libro di Raffaele La Capria, e la travolgente Tammuriata nera, di Mario e Nicolardi, capaci di ironizzare nella devastazione della guerra su uno scugnizzo frutto dell’unione con un black, come raccontava anche Curzio Malaparte ne La pelle:
“E’ nato nu criaturo niro niro / E a mamma o chiamma Ciro / sissignore o chiamma Ciro!/ Seh! Gira e vota seh!/ Ca tu o’ chiamma Ciccio o ‘Ntuono, / Ca tu o chiamma Peppe o Ciro, / Chillo ‘o fatto è niro niro/ niro, niro comm’ a che!”
Lazzari e scugnizzi di Napoli. La lunga storia dei figli del popolo napoletano
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