“E il naufragar m’è dolce in questo mare”.
Chi non ricorda gli indimenticabili versi di Giacomo Leopardi? E chi non ricorda L’Infinito , una delle liriche più conosciute e più importanti di quel giovane poeta recanatese, che ha donato grande lustro ad una terra da lui in parte disprezzata. Angusti e ostili i borghi marchigiani, così poco ariosi e privi di qualsivoglia prospettiva, luogo ove le ambizioni erano destinate a morire sul nascere.
Eppure è la stessa terra che tanto lo ha ispirato, con le sue verdi colline e le sue ampie vedute paesaggistiche. Le Marche sono un territorio a sé, con una storia silenziosa, dal volto remissivo e timido: nascondono misteriosi anfratti di pietra e ghiaia, celando, nell’oscurità di un vicolo, lo splendore della rugiada che si adagia su mura antiche, che parlano sommessamente a chi sa ascoltarle.
E così hanno scelto di aprirsi a chi ha voluto assecondare il suono delle loro parole, hanno voluto rivelarsi a quelle anime sensibili che con loro hanno dialogato, ricavandone storie tanto ammalianti e commoventi, quanto malinconiche e cupe.
Gli ambienti magici della Sibilla hanno ripreso vita tra le pagine di Se chiudo gli occhi di Simona Sparaco (Giunti, 2014) e de L’Amalassunta di Pier Franco Brandimarte (Giunti, 2015); romanzi estremamente diversi tra loro, Se chiudo gli occhi – finalista Premio Bancarella 2015 – porta con sé la storia di un viaggio, un ritorno alle origini (in territorio marchigiano, per l’appunto) che è anche riscoperta di sé e della propria vita, oltre che un viaggio in cui un padre e una figlia riacquistano la serenità dell’amore e la forza del perdono, grazie alla comprensione.
L’Amalassunta è invece la storia del pittore marchigiano Osvaldo Licini, nato a Montevidone nel 1894: non è una vera e propria biografia dell’artista, quanto piuttosto il racconto di due solitudini – quella di Licini e quella del protagonista, Antonio, sentimentalmente molto vicino al genio di Montevidone, sebbene temporalmente distante – che si intrecciano fino a formare il quadro di un ricongiungimento nostalgico, perché mai avvenuto realmente.
«Siamo nel paradiso della Regina Sibilla» aggiunse, con un’espressione accattivante. «Queste rocce irradiano l’energia delle fate.»
Montemonaco, Rocca, Foce sono loro le protagoniste dello scenario di Se chiudo gli occhi, cittadine magiche, che conservano un torpore scintillante, mai del tutto cosciente di sé. Ed è questa la magia che Simona Sparaco descrive in questo libro: Viola e Oliviero, i protagonisti del romanzo, si avventurano in un territorio che profuma ancora di antico, di eterno, un luogo che sembra impalpabile e inafferrabile, nonostante sia fatto di materia grezza, nuda e dura come la terra che i personaggi calpestano. Terreni fertili, rocce rugose, montagne maestose e avvolgenti, che incutono timore senza ferire.
È questa la forza dei monti Sibillini, la potenza sconosciuta delle Marche ancora inesplorate. La stessa potenza che ritroviamo nella pittura di Osvaldo Licini e nelle parole di Pier Franco Brandimarte.
“Dalla finestra, a Montevidone, guarda le cime dei Sibillini con i crinali di sasso, i boschi grigi e le scalfitture come impronte gigantesche”.
È Montevidone il territorio di Licini, il borgo in cui Antonio – Ninì, ossia Brandimarte stesso – torna per conoscere la storia di un pittore visionario, costruendo un racconto mistico, tanto quanto lo sono i quadri dell’Amalassunta.
“Il panorama che spazia dal mare alla sagoma tagliente del monte Ascensione che sta sopra la città di Ascoli e che ricorda un profilo umano dalle labbra protese, in cui alcuni vedono una donna che bacia e altri, chissà come, il Duce che scandisce la enne di noi (…)”.
Come in Se chiudo gli occhi, anche ne L’Amalassunta ritroviamo lo stesso misticismo paesaggistico che conferisce al testo un rinnovato vigore. Vigore che, come disse anche Carmen Pellegrino – autrice di Cade la terra (Giunti, 2015) – al Salone Internazionale del Libro di Torino, le Marche portano con sé anche nei molti luoghi abbandonati che le popolano.
Carmen Pellegrino, abbandonologa e scrittrice, si occupa da sempre di luoghi abbandonati e di esistenze al limite della realtà, aggrappate a muri cadenti e vetri rotti. Non manca, quindi, di ricordare gli innumerevoli spazi, borghi e luoghi lasciati al degrado in territorio marchigiano, che non è solo la terra del grande Giacomo Leopardi, ma può diventare portavoce ufficiale di una natura a metà strada tra la visionarietà e il mistero disvelato.
Se Mario Martone ha regalato una nuova lucentezza alla cittadina di Recanati, che ha dato i natali ad uno dei poeti più famosi d’Italia e che è diventata, per questo, scenario fondamentale del film Il giovane favoloso, allo stesso modo scrittori eccellenti della narrativa contemporanea hanno saputo dirottare l’attenzione del lettore su questi luoghi ombrosi, in cui la luce fatica a filtrare tra le fessure della memoria.
È difficile penetrare nella chiusura delle Marche, regione che a fatica si è fatta strada nell’inventario turistico del viaggiatore medio; la bellezza di boschi rigogliosi, di pianure che, da un alto, baciano le onde del mar Adriatico e che, dall’altro, abbracciano il principio delle colline e ne delineano confini e colori, scintillanti in primavera, delicati in autunno, acerbi in inverno, sfolgoranti in estate.
Lineamenti sinuosi e armonici, modellati su tela dall’altro grande artista marchigiano, Arnoldo Ciarrocchi, nato a Civitanova Marche nel 1916. I suoi dipinti vivono del mistero di una terra ombrosa e apparentemente inavvicinabile, che nasconde un gioco di luci, rumori e sapori dietro lo scalpiccio dei passi su strade antiche di borghi medievali.
Tutto questo è dipinto in un quadro di poche pennellate, autentiche e pure, come chi ha scelto di descriverle nelle proprie opere, delicatamente, con grande precisione ed entusiasmo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le Marche: terra misteriosa tra letteratura e arte
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