I più giovani, e pure molti divoratori di libri, non conoscono o poco sanno di tre autori della seconda metà del Novecento: Guido Morselli (1912-1973), Luciano Bianciardi (1922-1971) e Lucio Mastronardi (1930- 1979) - tra loro accomunati da biografie tormentate, tre ribelli ante litteram o meglio tre irregolari, e da complicate vicende editoriali. In qualche modo pure il cinema era entrato nelle loro esistenze: alcune opere dei tre scrittori diventarono pellicole di successo interpretate da grandi attori come Alberto Sordi (Il maestro di Vigevano, Mastronardi), Franco Nero (Un dramma borghese, Morselli) e Ugo Tognazzi (La vita agra, Bianciardi).
Altro aspetto significativo e inquietante fu la loro morte: Mastronardi e Morselli si tolsero la vita e Bianciardi morì a causa dell’alcolismo e di una vita disordinata. Bianciardi e Mastronardi si frequentavano ed è possibile rivederli in un filmato della RAI del luglio 1971 a bordo di un tram. Con loro ci sono lo scrittore Carlo Castellaneta (1930-2013) e il cantautore Nanni Svampa (1938-2017) che poi partecipò a un soggetto di Edmondo Fenoglio del 1973 sempre per la RAI dal titolo Il Calzolaio di Vigevano.
Mastronardi, lo scrittore disarmato
In questo articolo tenterò un affresco con alcune pennellate sulla vita e sull’opera di Lucio Mastronardi, scoperto da Elio Vittorini, che negli anni Sessanta pubblicò con Einaudi la trilogia di Vigevano (Il calzolaio di Vigevano, Il maestro di Vigevano, Il Meridionale di Vigevano) e per ultimi con Rizzoli A casa tua ridono (1971) e L’assicuratore (1975).
Mastronardi, di professione maestro elementare, all’apice del successo editoriale che durò pochi anni, amava presentarsi come uno scrittore periferico e disarmato, lontano dall’ambiente dei letterati, seppure di lui ne avessero scritto Montale, Calvino, Pedullà, Asor Rosa, Bo, Antonicelli, Ferretti, Guglielmi, Bocca, Porzio, Del Buono, Pampaloni. Nel 1962 è candidato al Premio Formenton, vinto da Dacia Maraini, e in un’intervista apparsa sulla RAI Calvino e Vittorini discutono del Maestro di Vigevano.
La trilogia di Vigevano di Lucio Mastronardi
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Lucio Mastronardi pubblicò con Einaudi Il calzolaio di Vigevano (1959), Il maestro di Vigevano (1962), Il Meridionale di Vigevano (1964).
Nella trilogia della gente di Vigevano, Mastronardi descrive la vita della cittadina - con la bellissima Piazza Ducale dove la domenica s’incontrano al caffè i personaggi dei suoi romanzi -, che negli anni Cinquanta e Sessanta deve la sua fortuna economica all’artigianato e al commercio delle calzature.
Con una narrazione grottesca, caricaturale, amara e attraverso una sperimentazione linguistica, fondendo parlata e dialetti, i romanzi di Mastronardi sono una sorta di etologia e antropologia culturale dell’universo degli scarpari, degli industrialotti, delle fabbrichine nate nelle cantine dei condomini e nelle stalle, dei dipendenti statali per lo più meridionali funzionari del Tribunale e delle Imposte.
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È il ritratto della piccola borghesia perbenista di provincia che sedotta dal mito dei danè fanno danè (fare soldi per fare soldi), pensa ad arricchirsi e a sfoggiare il benessere consumistico fatto di ville, gioielli, lucenti auto fuoriserie, di amanti e di donne che si concedono per il lusso. In queste storie c’è pure un registro della follia, dell’ossessione, del disagio e del temperamento della persona di Mastronardi, con i suoi trascorsi, seppur per brevi periodi, nelle carceri e nei manicomi giudiziari. In questa maniera il maestro in carne e ossa Mastronardi si fonde con l’immaginario maestro Antonio Mombelli e maestro Zanini del romanzo del 1969, diventato un film di successo con la regia di Elio Petri e l’interpretazione di Alberto Sordi, Guido Spadea e Claire Bloom, quest’ultima nella parte della moglie del maestro che a tutti i costi, per abbandonare la miseria, decide di diventare scarpara e industrialotta concedendosi l’agiatezza che non le era permessa dal magro stipendio del marito.
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Il film ebbe successo al botteghino ma non rese però giustizia al romanzo di Mastronardi e l’interpretazione istrionica di Sordi accentuò più il carattere machiettischico che la tragicità della storia del maestro Mombelli. Vigevano non gradì per nulla la pellicola e così aumentò ancor di più la distanza tra la città, sdegnata per quella narrazione grottesca, e lo scrittore sempre più esule e apolide in patria.
Mastronardi, il maestro folle
Su YouTube è possibile rintracciare nell’Archivio Luce Cinecittà diverse interviste a Mastronardi tra cui un servizio della RAI del 7 novembre 1962 intitolato Non è pazzo il maestro.
Mastronardi era un uomo fragile e insicuro e questo traspare anche dal tono delle lettere che scrive a Calvino. Era soggetto a frequenti scoppi d’ira che gli fanno aggredire verbalmente un direttore didattico e un ferroviere, per cui viene sospeso dall’insegnamento, processato e ristretto in carcere. Così scrive Mastronardi il giorno otto dicembre del 1963 su l’Unità:
“A me la fama del matto non dispiace. A Vigevano gli uomini si dividono in cinque categorie: i matti; i cornuti; i pederasti; i furbi; le ciulle. Non si sfugge agli schemi. La mia categoria, mi sembra, tutto sommato, la migliore”.
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All’età di 49 anni Mastronardi, dopo un precedente tentativo di suicidio, decise di annegarsi nello stesso modo di Pietro, il protagonista di A casa tua ridono. Mi si perdoni l’accostamento con Cesare Pavese che nel tempo progettò la propria morte attraverso il suicidio di alcuni personaggi dei suoi romanzi. Nella storia della letteratura gli scrittori che si sono tolti la vita hanno lasciato molti indizi nei comportamenti dei loro personaggi. La mattina del 24 maggio 1979 uscì di casa senza più farvi ritorno. Dopo tre giorni di ricerche il corpo di quel matto del maestro Lucio, impigliato in un’ansa del Ticino, fu ritrovato da un pescatore. In vita, i suoi concittadini, seduti ai tavolini dei portici a consumare caffè e pasterelle, quando lo vedevano attraversare Piazza Ducale lo additavano come il matto, bisbigliando con il sorriso cattivo sulle labbra: «Eccol el fòra da testa». Al maestro Mastronardi piaceva la poesia degli americani e quando quelli dabbene lo schernivano lui citava a memoria l’epitaffio di un personaggio dell’antologia di Spoon River:
«Ero lo zimbello del villaggio, soprattutto della gente di buon senso, come da sé si chiamano».
Era stato amico di Vittorini e di Calvino ma quando c’era da menare, sebbene fosse maestro e scrittore, le mani le usava e per questa ragione era stato in prigione e in manicomio. E in quel di Mombello, il più grande ospedale dei matti, ben tre mesi c’era rimasto, quando alla stazione Centrale di Milano in preda a un delirio aveva distribuito ai passanti increduli biglietti da diecimila lire. E proprio a Mombello, tra un elettrochoc e una puntura di insulina, aveva iniziato a scrivere la storia di Antonio Mombelli, protagonista de Il maestro di Vigevano, maestro del gruppo B, coefficiente 271, quarto scatto e 19 anni di servizio, sposato con la bella Ada che ha l’ambizione di diventare scarpara, padrona di una fabbrichina e per questa ragione lo rende cornuto con un industriale.
Pure il povero e folle maestro Nanini, collega del maestro Mombelli, è un alias del maestro e scrittore Mastronardi, ambedue umiliati dalla figura del signor direttore dottore ispettore professor Pereghi. Non aveva famiglia e viveva in una casa di ringhiera nella ricca Vigevano degli scarpari. Il posto più accogliente era il gabinetto in comune dove passava delle ore a leggere e a meditare, fino a quando qualcuno dei vicini bussava alla porta e il mondo gli cascava addosso. A cinquant’anni di età, Nanini era ancora fuori ruolo e campava sui malanni degli altri per avere una cattedra anche solo per poche ore. Tutt’al più, per pagarsi l’affitto e la brodaglia, insegnava al doposcuola con gli scolari che piantavano una cagnara dell’inferno. Dopo l’ultimo fallimento al concorso magistrale, ed era il terzo, Nanini uscì di matto. Un giorno, dopo aver sputato sui muri della classe, si nascose dietro la lavagna e pisciò per poi andarsene con un sorriso stravolto. Il pomeriggio si fece maciullare da un treno.
Recensione del libro
La rivolta impossibile. Vita di Lucio Mastronardi
di Riccardo De Gennaro
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Lucio Mastronardi: vita e opere tra letteratura, cinema e oblio
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