Mare nostro, una preghiera laica per tutti i migranti morti in mare; una poesia che non può salvare ma soltanto stendere un velo di silenzio e di raccoglimento, ricordarci l’umanità che si cela persino dietro l’atrocità bestiale, inenarrabile, del dolore.
Nel naufragio avvenuto all’alba di domenica 26 febbraio al largo di Crotone hanno perso la vita più di sessanta migranti, secondo i dati finora accertati: tra le vittime numerose donne e bambini, alcuni di loro erano neonati ancora in fasce.
La tragedia si è compiuta proprio al largo della costa del leggendario promontorio di Lacinio, dove tuttora si erge l’antico tempio di Hera Lacinia, la dea protettrice della fertilità e delle nuove nascite.
La Dea Hera era considerata la “nutrice dei bambini”, in suo onore nel tempio sono depositate numerose statuine di donne che portano le mani ai seni per allattare. Ora il tempio non è che una desolata “ruina”, la sua importanza simbolica è tuttavia oggi ancora più forte, pensando a quelle madri che hanno cercato di portare i loro piccoli in salvo a costo della vita, giungendo a sacrificarli come agnelli per la speranza di un domani migliore.
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Gli ultimi cadaveri recuperati dai sommozzatori dei Vigili del Fuoco sono un bambino di sette anni e una ragazza di quattordici, dai capelli neri e ricci.
Una poesia non può salvare, ma certamente può consolare trasformando il mare divenuto tomba in un grembo materno accogliente, in una casa ritrovata dove finalmente poter riposare.
Mare nostro di Erri De Luca è una rivisitazione contemporanea del Padre nostro: quando appellarsi a Dio diventa impossibile - esiste davvero un Signore che governa un mondo così ingiusto? - allora ci si rivolge al mare, che non sta nei cieli ma è qui in terra, a condividere con noi questa disastrata umanità.
La poesia Mare nostro è tratta dalla raccolta Raccolto diurno pubblicata da Crocetti editore nel 2021.
In questo componimento Erri De Luca trasfigura le parole riprendendo lo schema classico della preghiera che in tanti hanno imparato a recitare sin dall’infanzia con le mani giunte e gli occhi chiusi in un gesto solenne tramandato di generazione in generazione. Così viene da recitare Mare nostro con le mani giunte e gli occhi chiusi, appellandosi non a Dio; ma alle nostre coscienze.
Scopriamone testo, analisi e commento.
“Mare nostro” di Erri De Luca: testo
Mare nostro che non sei nei cieli
e abbracci i confini dell’isola
e del mondo, sia benedetto il tuo sale,
sia benedetto il tuo fondale,
accogli le gremite imbarcazioni
senza una strada sopra le tue onde
i pescatori usciti nella notte,
le loro reti tra le tue creature,
che tornano al mattino con la pesca
dei naufraghi salvati.Mare nostro che non sei nei cieli,
all’alba sei colore del frumento
al tramonto dell’uva e di vendemmia.
ti abbiamo seminato di annegati più di
qualunque età delle tempeste.Mare Nostro che non sei nei cieli,
tu sei più giusto della terraferma
pure quando sollevi onde a muraglia
poi le abbassi a tappeto.
Custodisci le vite, le vite cadute
come foglie sul viale,
fai da autunno per loro,
da carezza, abbraccio, bacio in fronte,
madre, padre prima di partire.
“Mare nostro” di Erri De Luca: analisi e commento
Erri De Luca si rivolge a un mare divenuto tomba e lo trasforma in un grembo materno che accoglie la vita. Il mare non è nei cieli, ma sta in terra, ed è comunque un pezzo d’infinito cui volgere lo sguardo: appare come lo specchio riflesso del cielo e dell’infinità dell’anima. L’acqua continua a scorrere inarrestabile in un eterno fluire e ci parla con il linguaggio misterioso delle conchiglie che ci sussurrano all’orecchio promesse come voci provenienti da un mondo sconosciuto.
Mare Nostrum, così gli antichi romani chiamavano il Mar Mediterraneo dopo le Guerre Puniche, De Luca riprende l’espressione latina e la accosta alla preghiera cristiana più celebre Padre nostro, che sei nei cieli.
Il poeta non benedice il “nome del padre” né quello del figlio e dello Spirito santo, ma il sale e il fondale del mare che infine diventa “culla” ed è “padre” e “madre” al contempo in una moderna Trinità laica.
Il Mare nostro, dice De Luca, è disseminato di naufraghi e di annegati, terra di sepoltura per esuli e vite disperse. Nei versi del poeta il mare diventa un cimitero sacro, un Paradiso in terra, che accoglie coloro che si sono perduti, che sono stati traditi dalla vita e, soprattutto, dalla crudeltà degli uomini.
Pescatori, marinai, pirati o corsari, migranti, tutti coloro che cercano nel mare in fondo un’ancora di salvezza, una via di scampo dalla terraferma, un ultimo scampolo di libertà. In un mondo in guerra si cerca la pace nei flutti marini in tempesta, si consegnano i propri figli appena nati alle acque in una buia notte di burrasca sperando che il mare li culli con le sue onde, come una ninnananna.
Nella narrazione biblica Mosé fu “salvato dalle acque”; nel mondo in cui viviamo invece non c’è salvezza, ma la gente non ha smesso di credere nel potere delle acque di scorrere e portare speranza: la fede si scontra con la malvagità degli uomini che trasformano la speranza in quattrini, i corpi in merce, convinti di fare un buon affare, un affare fruttuoso.
L’acqua, però, continua a fluire. Ed ecco che il mare si fa tomba, o forse culla, per gli annegati. E non c’è pace in terra per gli uomini di buona volontà.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Mare nostro” di Erri De Luca: la poesia dedicata ai migranti morti in mare
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