“Mio Grande Torino” è la struggente poesia che lo scrittore e giornalista Giovanni Arpino (1927-1987) dedicò ai calciatori del Grande Torino all’indomani della tragedia di Superga, avvenuta 75 anni fa, il 4 Maggio del 1949.
Scritto in dialetto piemontese, il componimento rivela tutta la tristezza non soltanto dell’autore, ma dell’Italia intera e, potremmo dire del mondo, per la prematura scomparsa di questi atleti indimenticabili periti nel fiore degli anni e dopo aver scritto una delle pagine più belle della storia dello sport.
Analizziamo il testo e vediamo qual è il suo significato più autentico.
“Me grand Türin”: testo della poesia di Giovanni Arpino
Russ cume el sang
fort cum el Barbera
vöj ricordete adess, me grand Türin
An cuj ani ed sagrin
ünica e sula la tua blëssa j’era.Vnisìo dal gnente, da guera e da fam,
tren da bestiam, téssere, galera,
fratej mort an Rüssia e partigian,
famije spantià, sperdüa minca bandiera.I j’ero pòver, livid, sbarüvà,
gnanca un sold sla pel e per rüsché
it dovìe surié, brighé, preghé,
fin a l’ültima gussa del to fià.Fümé a vorìa di na cica an quatr,
per divertisse i dovìo rije ed poc,
per mangé i mangiavo fin ij gat,
j’ero gnün: i fürb cume ij fabioc.Ma un fiur l’avio e it j’ere ti, Türin,
tajà ant l’assel j’era la tua bravüra,
giuventü nostra, che tüti ij sagrin
portava via cun tua facia düra.Tua facia d’ovrié, me Valentin!
me Castian, Riga, Loik, e cul pistin
ed Gabet, ch’a fasìa vnì tüti foj
cun vint dribling e pöj a j’era già gol.Filadelfia! Ma chi sarà el vilan
a ciamelo un camp? J’era na cüna,
de speranse, ed vita, ed rinassensa,
j’era sogné, crijé, j’era la lüna,
j’era la stra dla nostra chërsensa.It l’has vinciü el mund,
a vint ani it ses mort.
Me Türin grand
me Türin fort.
“Mio grande Torino”: traduzione e parafrasi
Rosso come il sangue, forte come il Barbera, voglio ricordarti adesso, mio grande Torino. In quegli anni di affanni, unica e sola era la tua bellezza.
Venivamo dal niente, da guerra e da fame, carri bestiame, tessere, galera, fratelli morti in Russia e partigiani, famiglie separate, ogni bandiera era perduta.
Eravamo poveri, lividi, spaventati, neanche un soldo sulla pelle e per lavorare
e dovevi sorridere, brigare, pregare fino all’ultima goccia del tuo fiato.
Fumare voleva dire una cicca in quattro, per divertirsi dovevamo ridere di poco,
per mangiare mangiavamo perfino i gatti, non eravamo nessuno: i furbi come gli sciocchi.
Ma avevamo un fiore ed eri tu, Torino, la tua bravura era tagliata nell’acciaio,
gioventù nostra che tutti i dispiaceri portavi via con la tua faccia dura.
La tua faccia d’operaio, mio Valentino!
Mio Castigliano, Riga, Loik, e quella peste di Gabetto, che faceva diventare tutti matti con venti dribbling ed era già gol.
Filadelfia! Ma chi sarà il villano a chiamarla un campo? Era una culla di speranze, di vita, di rinascita, era sognare, gridare, era la luna, era la strada della nostra crescita.
Hai vinto il Mondo, a vent’anni sei morto.
Mio Torino grande, Mio Torino forte.
Analisi e spiegazione della poesia: Il Grande Torino come riscatto sociale, al di là dello sport e del calcio
Mio Grande Torino o, nell’originale dialetto piemontese, Mé grand Turin, fu scritta da Giovanni Arpino sull’onda dell’emozione suscitata dall’incidente aereo, ricordato come Tragedia di Superga, nel quale persero la vita i giocatori del Torino, il 4 Maggio del 1949.
Lo schianto del velivolo contro il muro della Basilica di Superga spazzò via in un attimo quella che all’epoca era la squadra di calcio più forte del mondo, ma paradossalmente la rese al contempo immortale, consegnandola di fatto alla leggenda.
La poesia di Arpino, oltre all’inevitabile e comprensibile emozione per le tante vite spezzate nel pieno della gioventù, pone l’accento su quanto quel team di ragazzi imbattibili significò per l’Italia di allora.
L’importanza del Grande Torino va ben oltre lo sport e il calcio, assumendo connotazioni umane e sociali difficilmente ripetibili.
Ciò dipende essenzialmente dal contesto nel quale si trovò ad operare, quello del secondo dopoguerra, con un Paese a pezzi e una popolazione stremata dagli stenti, dalla fame e dal dolore.
Tra le macerie ancora fumanti di una Nazione da ricostruire materialmente e moralmente, il Torino capitanato da Valentino Mazzola si erse a simbolo di speranza e di rinascita, come fa il fiore nel deserto, illuminando la desolazione tutta intorno e fornendo un punto di riferimento da cui ripartire con forza e volontà.
Grazie al Torino, simbolo di vigore, giovinezza e talento, unica immagine vincente di un’Italia a terra, la gente tornò a sorridere e a sperare in un futuro migliore per sé e per i propri figli.
Da qui la vastissima eco generata dalla prematura e tragica scomparsa della squadra più amata di sempre e i motivi per cui ancora oggi, a distanza di oltre sette decenni dalla tragedia di Superga, non esista neppure un bambino che non conosca a memoria la formazione del Grande Torino.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Mio Grande Torino”: la struggente poesia di Giovanni Arpino dedicata alla Tragedia di Superga
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