

Non c’è che dire. Libertà di espressione nella cultura italiana
- Autore: Marta Rizzo
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2023
Non c’è che dire. Libertà di espressione nella cultura italiana (La Lepre edizioni, 2023) inizia dopo una nota della scrittrice e curatrice Marta Rizzo che nella sua indagine cerca di trovare dei tasselli reali sull’attuale libertà di espressione artistica e, in generale, su come sta l’Italia dal punto di vista culturale, tenendo conto che solo nel 2021 l’allora ministro della Cultura Dario Franceschini rese nota la soppressione della legge sulla “censura cinematografica” e quali siano ancora le zone d’ombra per dire che abbiamo una buona legislazione in fatto di cultura cinematografica o letteraria. Quando si parla di leggi e regolamenti si è propensi a pensare ce ne siano il meno possibile per salvaguardare il diritto alla libertà di stampa e di pensiero.
Quindi attenti alle controverse libertà degli “hate speech” identificati nella normativa europea secondo la seguente dicitura:
Qualunque forma di espressione che promuova e giustifichi l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo, incluse l’intolleranza espressa attraverso il nazionalismo aggressivo, l’etnocentrismo, la discriminazione e l’ostilità contro le minoranze, i migranti e le persone di origine migrante.
Tornando alla Costituzione Italiana c’è la possibilità di professare qualunque credo religioso, l’unico limite, per l’art. 19 "riti contrari al buon costume".
Ma, in realtà, dopo l’11 settembre 2001, anche professare la religione cattolica nei paesi africani - e non solo - sta diventando difficile. Con la forza dell’islamismo, il “diritto di preghiera cristiana” viene accantonato oppure paragonato a una religione che vuole espandere i propri confini. Quindi paradossalmente è meglio professare un quieto agnosticismo e per chi scrive questa è la sconfitta di chi vuole soltanto pregare. Il terrorismo islamico ha portato i suoi germi dovunque, impedendo anche di ascoltare una messa cattolica per i defunti.
Nella conversazione con Mauro Palma, che è il garante delle persone private della libertà, si parla delle carceri sovraffollate o quelle che avrebbero bisogno di una costosa ristrutturazione. Palma lo conferma con molto pessimismo affermando che le persone affiliate ai clan mafiosi e camorristici hanno più libertà, perché la polizia penitenziaria non viene adeguatamente tutelata e la paura di non aver dato un permesso a un figlio di un boss o di avere un’ora d’aria o di poter parlare sovente con un cellulare, che è assolutamente vietato come il recapitare ai detenuti dei pasti succulenti, è la vittoria del più forte in ambito carcerario.
La polizia penitenziaria non è adeguatamente tutelata, né ci sono dei bonus economici. Il poliziotto che è accanto ai carcerati riesce a capire in pochissimo tempo chi ha potere, oppure no, in galera. E spesso alcuni di loro si vendono ai clan, perché viene minacciata la famiglia e i figli piccoli, ma dal momento che fai una concessione anche a una singola persona, tutti i valori etici scompaiono.
Sarebbe il caso di allontanare chi ha beneficiato dei soldi del clan o semplicemente chi viene trattato con un occhio di riguardo. Pochi vogliono lavorare nelle carceri, togliere le “mele marce” significa fare esplodere il sistema carcerario, tra sovraffollamento e guasti di ogni tipo.
Invece la conversazione con Dario Cecchi ha a che fare con la censura sociale che spegne lo spirito critico. Cecchi dice:
Se parlo ai miei studenti dell’autorialità di un meme, tutti sono d’accordo nell’affermare che non esiste o è molto difficile capire chi sia. Nemmeno ci interessa, perché il meme circola in rete.
Il meme vive di vita propria, indipendentemente da chi lo crea. (...) I social media danno la possibilità di instaurare un rapporto immediato tra autore e utente.
Non sfruttiamo questa possibilità in modo creativo e produttivo, cioè di regola ci limitiamo a fare gli hater (i cosiddetti “leoni da tastiera”, Ndr). Chi scrive trova semplicistico questa storia dei "leoni da tastiera" che a me non dicono niente; credo, invece, che non ci sia un vero rapporto paritario tra le persone, perché ormai siamo miliardi anche in rete. Se voglio parlare con Roberto Saviano della sua vita da recluso, non lo faccio certo andando sul suo sito a formulare la domanda. Vengo immediatamente messo tra le faq, tra le domande maggiormente discusse su cui Saviano ha scritto un suo pensiero che rimane valido per tutti.
C’è poi la parte dedicata alla Cancel Culture e ai vizi di internet che sono cose molto interessanti, ma di cui è difficile scrivere in una recensione, perché la storia che il film Via col Vento sia stato condannato come film "razzista" ci viene sempre ribadita da qualcuno ogni giorno. Internet cannibalizza la rete, gli esempi importanti sono tanti, ma chi scrive si limita soltanto a illustrare il potere della massa in rete.
Se scrivo che una certa canzone di Beyoncé è uguale a una di Donna Summer, non è una novità: si sa che sono tante le persone che su Internet hanno successo facendo le pulci alle icone pop. Ma se la maggioranza, che magari nemmeno sa chi è Donna Summer, pensa che questo sia un tentativo di delegittimare una cantante come Beyoncé che ha vinto trentadue Grammy, e che sui social ha milioni di follower, anche se la cantante avesse copiato di sana pianta Donna Summer, il tentativo di fare uno scoop dura un battito di ciglia, poi l’esperto di musica va avanti senza più difendere la propria idea originaria.
Un ultimo esempio sui libri. Walter Siti, lo scrittore che ha vinto il Premio Strega con Resistere non serve a niente (Rizzoli, 2012), in questo libro afferma che Fabio Volo ha scritto tanti libri di successo con l’inevitabile "lieto fine". A furia di scrivere è maturato uno stile tanto che Volo potrebbe anche decidere per un libro senza Happy ending, ma l’editore non sarebbe d’accordo, perché l’economia intralcia la libertà di autore.
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