Pappagalli verdi. Cronache di un chirurgo di guerra di Gino Strada

Sono gli occhi sperduti e indifesi delle tante vittime innocenti delle guerre, la spensieratezza dei bambini che, giocando, toccano una mina antiuomo senza sapere cosa sia e poco dopo si ritrovano storpi per sempre, ma anche il coraggio di chi, giorno dopo giorno, cura con dedizione le ferite non solo fisiche dei conflitti. Le vittime di guerra sono i protagonisti di questo libro di Gino Strada, dal titolo "Pappagalli verdi. Cronache di un chirurgo di guerra", purtroppo sempre attuale e sempre scomodo negli interrogativi che sa suscitare.

Mohammed Abdullah è un ragazzino operato per “shelling injury”, cioè per le tante schegge metalliche riportate alla testa, al torace e al volto durante un bombardamento. Ha gli occhi bendati, ma non sa che probabilmente tornerà presto a vedere, anche perché nessuno gli ha dedicato due parole di conforto. Viene trovato all’interno dell’ospedale con un sacchetto di plastica intorno alla testa e un tubo da fleboclisi legato al collo. Il suo gesto estremo evidenzia non solo la disperazione di un ragazzino incapace di vedere il futuro, ma anche la sconfitta di una medicina che non ascolta l’angoscia di chi dovrebbe curare. Mohammed è salvato in extremis: come sarà la sua vita? Qualcuno, ora, si metterà al suo fianco, per incoraggiarlo e donargli una nuova speranza?
Glen è un’infermiera preparata, che ama il suo lavoro e coccola i bambini ai quali insegna a camminare, a respirare e a tossire dopo gli interventi a gambe e torace. Un giorno, lascia l’ospedale per tornare al suo Paese e seguire un corso universitario. Qualche tempo dopo, la notizia arriva a Milano: Glen si è tolta la vita. Impossibile capire le ragioni di questo gesto; resta il ricordo di tutto l’amore da lei donato a quei bambini, che ora sono un po’ orfani.

Sono solo due delle tante storie raccontate in “Pappagalli verdi. Cronache di un chirurgo di guerra”, un libro che mostra la sconfitta dell’uomo ogni volta che usa le armi, soprattutto contro persone inermi, ma anche la forza con cui può risollevarsi e continuare ad alleviare il dolore proprio e altrui. Sono due storie estreme, in mezzo alle quali trovano spazio altri racconti, non sempre così tragici nei loro esiti finali. Negli occhi di Mohammed e nella vicenda di Glen ho però letto le conseguenze più tristi dell’assurdità della guerra, che deturpa l’innocenza, la capacità di credere che il mondo sia ancora un luogo pulito, in cui valga la pena vivere.