Il principio dell’iceberg è una tecnica di scrittura oggi frequentemente studiata nelle scuole di scrittura creativa. Non si tratta, però, di una lezione “usa e getta”, scritta sui manuali a uso e consumo di giovani scrittori in erba o aspiranti autori di autobiografie solipsistiche; è la tecnica utilizzata da un fuoriclasse, nientemeno che da Ernest Hemingway.
Il vincitore del Premio Pulitzer confessò questa sua strategia narrativa durante un’intervista con George Plimpton per il “Paris Review” nella primavera del 1958.
A quel punto Hemingway aveva già vinto anche il Premio Nobel per la Letteratura, la menzione d’onore del premio si soffermava sulla maestria dimostrata dall’autore nel narrare il Vecchio e il mare e sull’influenza da lui esercitata sullo stile contemporaneo. George Plimpton nella sua intervista cercò proprio di sviscerare i segreti dello stile Hemingway, quindi quella conversazione era destinata a fare la storia - della letteratura e non.
Il principio dell’iceberg: Hemingway intervistato da Plimpton
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Nell’introduzione di quell’intervista Plimpton descriveva Hemingway come un abitudinario, “a man of habit”, che non utilizzava una scrivania ma un tavolo sommerso da pile di lettere, oggetti vari e persino da un bizzarro leone di peluche. Ma non è questo il punto. Il punto è che in quell’intervista Hemingway stava per rivelare a George Plimpton uno dei suoi segreti di scrittura nell’arco di una banale chiacchierata.
Le domande di Plimpton in effetti erano molto tecniche e mirate, del tipo: quante volte riscrive una stessa frase? Le capita mai di non avere l’ispirazione giusta? Si rilegge prima di scrivere un nuovo paragrafo? Domanda dopo domanda l’intervistatore sembra sviscerare la tecnica di scrittura di Hemingway.
L’autore del Vecchio e il mare infatti gli rivela di lavorare soprattutto per omissione: che, ad esempio, il suo libro vincitore del Pulitzer, Il vecchio e il mare appunto, avrebbe potuto benissimo essere più lungo di circa mille pagine; ma la sua intenzione era un’altra, proprio perché voleva regalare al lettore un’esperienza diversa, eliminando il superfluo e lasciando il reale con la maggiore aderenza possibile al necessario.
Il principio dell’iceberg: cos’è la tecnica di scrittura
L’intervista di Plimpton a Hemingway è anche faticosa, non scorre fluida, presenta dei nodi, delle interruzioni. Lo scrittore spesso rimprovera il giornalista per le sue domande “trite e ritrite”, addirittura si rifiuta di rispondere oppure dà risposte non esattamente convenzionali. Ad esempio, alla domanda di Plimpton: “Secondo lei qual è la migliore preparazione intellettuale per un aspirante scrittore?” Ecco che Hemingway risponde:
Diciamo pure uscire di casa e impiccarsi, perché scrivere bene è quasi impossibile.
Poi, se qualcuno lo stacca dalla corda, allora, per tutta la vita, il poveretto dovrebbe costringersi a scrivere al meglio. Ma almeno avrà la storia dell’impiccagione con cui cominciare.
Addirittura Ernest Hemingway giunse a dichiarare che quell’intervista gli stava facendo perdere tempo, che stava rubando tempo alla scrittura per rispondere a quelle che giudicava delle “domande stupide”.
Però alla fine ne valse la pena, perché George Plimpton riuscì a portarsi a casa il suo bottino - ovvero il segreto di scrittura di Hemingway - ed è tutto custodito in questa risposta che ha fatto scuola:
Io cerco sempre di scrivere secondo il principio dell’iceberg. I sette ottavi di ogni parte visibile sono sempre sommersi. Tutto quel che conosco è materiale che posso eliminare, lasciare sott’acqua, così il mio iceberg sarà sempre più solido. L’importante è quel che non si vede. Ma se uno scrittore omette qualcosa perché ne è all’oscuro, allora le lacune si noteranno.
Il principio di scrittura di Ernest Hemingway può essere spiegato così: come negli iceberg emerge solo la parte più superficiale, che non è che una minima parte dell’intera struttura dell’iceberg la quale invece rimane sommersa sotto il livello dell’acqua; così quando si scrive un testo, non è necessario dire/scrivere tutto. Bisogna fare il modo che il lettore possa intuire anche ciò che tu non hai scritto.
L’insegnamento di Hemingway consiste in questo: eliminare il superfluo e mantenere l’essenziale. Niente descrizioni per allungare il brodo; nulla di inutile o tendenzioso, non cercare di dire più di quello che si sa. Sembra facile, ma è il risultato più difficile da ottenere quando si scrive, lui ovviamente lo dice meglio.
Prima di tutto eliminare tutte le parti superflue e trasmettere al lettore un’esperienza che potesse entrare a far parte della sua, come quelle reali. È un’impresa difficilissima, e ho dovuto lavorare sodo.
La metafora dell’iceberg suggerisce anche una verità ineludibile, ovvero che uno scrittore in realtà conosca molto di più sulla sua storia di quanto effettivamente sia scritto nel libro. Lo scarto tra il pensiero e l’azione (di scrittura) comporta anche questo.
Tra le risposte folgoranti di Hemingway a Plimpton troviamo infatti una riflessione peculiare, che descrive magnificamente il processo di scrittura, quanto a volte sia periglioso e come si avanzi alla cieca tra le tenebre della mente dove tutto è in movimento, anche quando sembra fermo:
A volte si conosce la storia. A volte la si inventa man mano che si procede e non si ha idea di come verrà fuori. Tutto cambia mentre si muove.
È questo che crea il movimento che crea la storia. A volte il movimento è così lento che non sembra che si stia muovendo. Ma c’è sempre un cambiamento e sempre un movimento.
Tra i suoi precursori letterari - gli autori da cui sente di aver imparato di più - Hemingway menziona a Plimpton alcuni pittori, tra cui Van Gogh, Bruegel, Tintoretto, Goya, Giotto, Gauguin, perché, afferma, di aver imparato a scrivere più da loro che da altri scrittori. Un’altra risposta tipicamente hemingwayana che ci fa riflettere sull’importanza dello sguardo nella narrativa e, soprattutto, sulla capacità di vedere oltre la superficie, anche ciò che è sommerso.
La vera lezione di Hemingway, quella che scorreva sottotraccia a ogni risposta data (o non data) a Plimpton, è che uno scrittore deve imparare a vedere, ascoltare, percepire e solo dopo, soltanto dopo, scrivere.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il principio dell’iceberg di Hemingway: una tecnica di scrittura geniale
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