Il vecchio e il mare (The Old Man and the Sea, Ndr),un racconto breve di appena un centinaio di pagine uscito in anteprima sulla rivista americana Life nel 1952, consacrò Ernest Hemingway come scrittore a più di dieci anni di distanza da quello che l’autore considerava il suo vero “grande romanzo” Per chi suona la campana (1940). Hemingway fu così travolto dalla fama proprio con l’ultima opera narrativa pubblicata in vita, Il vecchio e il mare, che raccontava di un malinconico pescatore cubano. Nel personaggio di Santiago, a ben vedere, già traspariva quella sorta di stanchezza esistenziale che avrebbe condotto lo scrittore al gesto estremo del suicidio.
Ernest Hemingway: dal Pulitzer al Nobel
Il trionfo fu sancito il 4 maggio del 1953 con l’assegnazione del Premio Pulitzer per la narrativa (Pulitzer Prize for Fiction, Ndr) che aprì ad Hemingway la strada verso il Nobel per la Letteratura che ricevette proprio l’anno successivo con la seguente motivazione:
Per la sua maestria nell’arte narrativa, recentemente dimostrata con "Il vecchio e il mare" e per l’influenza che ha esercitato sullo stile contemporaneo.
Il vecchio e il mare venne citato persino tra le ragioni valide proposte dal comitato selezionatore del Nobel. Il libro vendette oltre 13 milioni di copie e fu considerato all’unanimità il capolavoro dello scrittore. Il successo gli venne riconosciuto in vita - i contemporanei già lo elevavano al rango di classico - ma ciò non impedì a Hemingway di uccidersi pochi anni più tardi, il 2 luglio 1961, sparandosi un colpo di fucile alla tempia. Eppure a Santiago, il suo vecchio pescatore, aveva raccomandato di non arrendersi mai.
Oggi possiamo vedere ne Il vecchio e il mare il riflesso più fedele del pensiero di Ernest Hemingway che in quelle pagine immortalava un tema universale, la“ lotta quotidiana per la vita”. È forse il romanzo meno avventuroso e più metaforico dello scrittore, ma proprio in quella sua impalpabile astrattezza, nel senso di attesa che è capace di evocare, può essere racchiuso il segreto di una storia immortale.
Il vecchio e il mare: storia di un capolavoro
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Hemingway scrisse Il vecchio e il mare di getto, all’indomani della delusione per l’indifferenza riservata dal mondo editoriale alla sua ultima fatica letteraria, il romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi (1950).
Provato dalla scrittura, amareggiato dalla tiepida accoglienza del pubblico, l’autore decise di rifugiarsi nell’amata isola di Cuba in cerca di ristoro e distrazione.
Salpò a bordo della Pilar, l’imbarcazione acquistata nel 1934, e si dedicò alla pesca: un’attività manuale che accompagnava i pensieri senza sforzo, permettendo così all’immaginazione di vagare lontano.
Giorno dopo giorno, cullato dal moto placido del mare, maturò nella sua mente l’ispirazione per una nuova storia: stavolta si sarebbe trattato di un semplice racconto. Hemingway navigando al bordo del Pilar ricordò l’aneddoto raccontatogli dal vecchio marinaio che guidava la barca, Carlos Gutiérrez. Da quel racconto aveva tratto un reportage intitolato Sull’acqua azzurra, pubblicato sulla rivista Esquire, nel 1936. Sedici anni dopo, colpito da una folgorazione, lo riprese in quegli oziosi giorni cubani senza scopo e ne trasse il suo capolavoro. Hemingway scrisse Il vecchio e il mare in sole otto settimane. Lo consegnò all’editore Scribner con una lettera d’accompagnamento nella quale delineava la trama in questi termini:
Protagonista è la dignità di un uomo giunto all’ultima fase della sua esistenza. Il suo nome è Santiago.
L’editore, temendo che il libro si rivelasse un altro flop ripetendo il precedente, decise di anticiparne l’uscita in un numero speciale della rivista Life. Il racconto Il vecchio e il mare pubblicato su un numero unico di Life, nel settembre 1952, vendette oltre 5.300.000 copie in 48 ore. Quando il romanzo arrivò nelle librerie raggiunse subito il vertice delle classifiche mondiali.
Fu un successo editoriale senza precedenti, che di certo ormai Hemingway non aspettava più.
Il vecchio e il mare: il messaggio di Hemingway
Quando Hemingway consegnò Il vecchio e il mare al suo editore, nel 1951, disse che gli pareva che quel libro “potesse fare da epilogo a tutto quello che aveva imparato o aveva cercato di imparare mentre scriveva e cercava di vivere”.
Aveva fatto della “storia vera” raccontatagli da un vecchio pescatore il suo testamento spirituale e letterario.
Sono in molti oggi a leggere Il vecchio e il mare come una metafora della vita. Negli anni ne sono state date molteplici e svariate interpretazioni, e l’autore non è più qui tra noi per dirci quale sarebbe quella esatta e, anzi, forse ci direbbe che lo sono tutte e insieme nessuna.
La trama del libro è nota: un giorno Santiago, un vecchio pescatore cubano, dopo una lotta furiosa in mare aperto, pesca il pesce più grosso della sua intera esistenza. Cerca quindi di portarlo verso il porto, ma gli squali poco a poco spolpano e divorano il suo gigantesco Marlin. L’uomo così quando approda alla fine del suo viaggio trova soltanto un’enorme lisca.
Tramite la vicenda del suo pescatore Hemingway vuole dimostrare che tutti i successi sono in fondo accompagnati da grandi fallimenti. Il doppio volto della vita è la vera morale del suo racconto. La vittoria del pescatore sul pesce è effimera, non ne resta alcuna traccia, eppure è eterna. Nonostante la sconfitta, Santiago è comunque un vincitore, la sua dignità umana rimane intatta. In quel vecchio pescatore disilluso Hemingway vedeva in fondo il riflesso più perfetto di se stesso.
E al suo riflesso invecchiato nello specchio, o forse a noi lettori come ci piace credere, rivolse il consiglio più prezioso:
Ora non è il momento di pensare a ciò che non hai, pensa a quello che puoi fare con quello che hai.
L’impresa di Santiago infine si realizza soltanto nel racconto. Il gigantesco Marlin è andato perduto: l’avventura è solamente raccontabile, assume i contorni astratti, fiabeschi, della narrazione. Attraverso la storia l’azione epica di Santiago torna a vivere e ad avere un senso. Forse anche Ernest Hemingway, giunto a quel punto della sua vita, sentiva che gli erano rimaste soltanto le parole per dare alle cose i giusti contorni e le giuste finalità.
Un uomo può essere distrutto ma non sconfitto
è la frase che lo scrittore mette in bocca al suo Santiago dimostrando così che il senso di un’azione non è necessariamente nella vittoria o nel trionfo. Con quell’affermazione Hemingway intendeva anche dire che neppure la morte può togliere senso alla dignità umana, dunque alle azioni svolte da un uomo nel corso dell’esistenza.
La fortuna de Il vecchio e il mare non si concluse con il premio Pulitzer e neppure con il premio Nobel. Il libro venne trasposto, con la collaborazione dello stesso Hemingway, in un film diretto da John Sturges.
La pellicola uscì al cinema nel 1958 con Spencer Tracy nel ruolo del protagonista Santiago. Venne premiata l’anno seguente con un Oscar per la “miglior colonna sonora”.
Il successo del romanzo, invece, non è ancora finito. La storia del vecchio pescatore continua a essere letta, citata e amata, oggi proprio come sessantanove anni fa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Quando Hemingway vinse il premio Pulitzer con “Il vecchio e il mare”
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