Proverbi e detti romani famosi, quanti ne sapete? Non c’è Roma senza un “daje!” quotidiano, chi ci vive lo sa; fa parte del folclore locale, al pari dei gabbiani e della spazzatura. A Roma c’è un daje e aridaje per tutto: per ammonire, per insultare, per gioire, per incoraggiare, è un termine interessante proprio per la sua plurima potenzialità semantica. Si inizia di prima mattina a sentire un daje che riecheggia nitido nel traffico, accompagnato da un sonoro colpo di clacson; oppure stretti nella calca della metropolitana o ancora sulle scale mobili affollate della stazione Termini tra spintoni e starnuti.
Ecco che tra un daje e un aridaje si apre un nuovo giorno e tutti i romani giungono sul posto di lavoro e sono pronti ad affrontare, al sorgere del sole, le loro incombenze quotidiane. Chi non dice un “daje” come buongiorno, perlomeno lo pensa. Sempre meglio un “daje” che un “Limortaccitua” o un “Limortaccivostra”, che segna il sottile discrimine tra l’incitamento - più o meno minaccioso - e la vera e propria maledizione. Tra un daje e un limortaccitua non può mancare un “aripijate”, spesso gridato o urlato in associazione all’immancabile: “aò”, dunque “aò, aripijate!”, espressione gergale che si adatta a ogni contesto sia per incitare, che per smuovere (motivo per cui al mattino ne sentirete aiosa, ma anche al pomeriggio e alla sera), che per invitare alla moderazione o al contenimento, dicasi anche in sostituzione a “ma la smetti!”. L’alternativa fatalista romana è “Stacce”, quell’espressione che riassume perfettamente la postura dei romani dinnanzi al destino: “stacce”, ci sono cose che non si possono cambiare, quindi “stacce”. Al mattino, dinnanzi al blocco improvviso di un autobus, alla caciara di Termini che vi impedisce di raggiungere in tempo la fermata o all’allagamento inatteso di una stazione metropolitana, avete due alternative: aderire alla fazione de Limortaccivostra, oppure sollevare appena le spalle e dire semplicemente Stacce; ditemi quale parola pronuncerete e vi dirò chi siete.
Dopo questa immersione negli intercalari e nel folclore della parlata romana - utile per un’esplorazione ravvicinata della fauna della capitale - vi proponiamo un’analisi dei proverbi e dei detti romani più celebri; siete sicuri di conoscerli tutti?
Detti romani famosi: il significato
Vecchio come er cucco
“Vecchio come il cucco”: il detto deriva probabilmente dal “cuco”, uno dei giocattoli a sonaglio usati nell’antichità; secondo altre attribuzioni deriva dal profeta ebraico “Abacùc”, rappresentato come un vecchio dalla barba bianca. Si dice in generale per descrivere una persona molto anziana o dalle idee molto conservatrici e retrograde.
Papale papale
Non ha certo bisogno di traduzioni e il riferimento al Papa è evidente. Si dice di un concetto chiaro, lampante, manifesto, che non ha bisogno ulteriori spiegazioni, proprio come le parole del Pontefice. Dunque: “È così, papale papale”, oppure “Mò te lo dico, papale papale”.
Cerca’ Maria pe’ Roma
Questa è l’alternativa romana al detto comune: “cercare un ago nel pagliaio”. Indica una ricerca complicata, per non dire impossibile, come cercare una persona dal nome molto comune (Maria) per le strade di Roma. Pare sia anche un riferimento alle icone mariane sparse per la Città Eterna, tra cui l’introvabile icona della Madonna della Divina Provvidenza (pare sia situata in una remota chiesetta di Trastevere).
Cerca’ cor lanternino
Il riferimento, come nel detto comune, è alla lanterna di Diogene: si narra infatti che il filosofo antico si aggirasse per le strade di Atene con una lanterna per illuminare dall’interno l’animo umano e dunque “cercare l’uomo”. “Cercare con lanternino” indica di conseguenza una ricerca attenta e scrupolosa, ma anche la capacità di mettersi nei guai proprio a causa della propria eccessiva scrupolosità.
Come er cacio sui maccheroni
Ovvero: abbinamento perfetto. È un’espressione tipicamente romana per indicare la combinazione vincente, come il cacio (formaggio) sui maccheroni (tipica pasta della tradizione). Deriva da un’antica ricetta gastronomica, tra le più rinomate di Italia. Spesso si dice anche “cascare come il cacio sui maccheroni”, per alludere a una cosa buona che capita proprio al momento giusto.
Famo a capisse
Detto alla romana: “intendiamoci” oppure “capiamoci”. Si dice in modo spiccio quando una conversazione sembra non presentare più vie d’uscita, per concludere una lite, oppure come minaccia velata rivolta a una persona che non ci sta dando retta.
‘Na piotta
Cos’è ’na piotta? È un termine che racchiude la quintessenza della romanità: “famo ‘na piotta” si dice, a volte, per concordare un pagamento. Con piotta si intende il valore di cento. Il termine potrebbe derivare da quello di un’antica moneta con l’effigie di Pio IX. Anni addietro, una piotta poteva corrispondere a 100 lire o 100mila lire, oggi può indicare 100 euro. Era una maniera antica per designare una moneta/banconota da cento, ma nel tempo si è esteso. Ora indica sia le monete, che il peso, che la velocità. Il verbo “piottare” può essere infatti tradotto con “correre”, fare un’azione rapida. Alcuni decenni fa cento all’ora era considerato una velocità elevata, basti pensare al riferimento nella canzone di Gianni Morandi “Andavo a cento all’ora per trovar la bimba mia”.
‘Ndo cojo cojo
Letteralmente: “dove prendo prendo”, è il detto per dire “vada come vada” o “quel che viene”, pronunciato da chi compie un’azione senza uno scopo preciso, lasciandosi semplicemente trascinare dal caso.
Essere “de coccio”
Quante volte vi hanno detto che siete “de coccio”? Si dice di chi ha la testa dura e non cambia idea né scende a facili compromessi, è cocciuto, appunto. Deriva dall’associazione con il coccio, un materiale duro, non malleabile, che si rompe difficilmente e solo se viene urtato in modo forte.
Scapoccia’
“Me fai scapoccia’,” significa “mi fai perdere la testa, mi fai andare di matto”. Chi “scapoccia” letteralmente sta impazzendo, ma spesso sono gli altri la causa di questa pazzia.
Proverbi romani famosi: significato
Morto ‘n papa se ne fa ‘n antro.
“Morto un Papa se ne fa un altro.” Non c’è proverbio più romano: a San Pietro, alla morte di un Papa, si istituisce subito il Conclave per eleggerne un altro. Un modo per dire che nessuno è insostituibile, neppure il rappresentante terreno di Dio.
A Roma, Dio nun è trino, ma è quattrino.
“A Roma Dio non è trinità, è denaro (quattrini).” Pure nella Città Eterna, sede della Chiesa e patria della Cristianità, si tende ad adorare più il Dio denaro dell’effettiva divinità spirituale.
Vale ppiù la bbona riputazione che ttutto l’oro der monno.
“Vale più la buona reputazione di tutto l’oro del mondo.” Meglio la buona reputazione, dicono a Roma, di tutto l’oro. Ovvero che la vera ricchezza è data dalla stima altrui e da una reputazione solida.
Fidasse è bbene, nun fidasse è mmejo
“Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.” Un monito ben preciso: è bello dare fiducia, ma sempre meglio non darne troppa perché si corre il rischio di essere ingannati o che gli altri ne approfittino.
Se er vino nu lo reggi, l’uva magnatela a chicchi.
“Se non reggi il vino, l’uva mangiatela a chicchi.” Tipico proverbio laziale, rivolto a chi non sa reggere l’alcol. Del resto l’antica Roma era nota per i banchetti, l’ebbrezza godereccia del dio Bacco ha fatto scuola. È un consiglio divertente e, al contempo, un invito a non fare ciò che non ci si può permettere.
Vale più un bicchiere de Frascati, che tutta l’acqua der Tevere.
“Vale più un bicchiere di Frascati di tutta l’acqua del Tevere”. Il vino di Roma è, per antonomasia, un bicchiere di Frascati. Il detto popolare è dunque un elogio al miglior vino di Roma e al piacere del dio Bacco.
Er monno l’aregge Iddio, la croce l’areggo io
“Il mondo lo regge Dio, la croce la reggo io.” Un modo divertente per ribaltare la visione cristiana di Cristo in croce e per dire che, in fondo, ognuno ha le proprie pene da portare (e sopportare). Dio regge il mondo, ma ciascuno nel mondo porta la propria croce.
Se stava mejo quanno se stava peggio
“Si stava meglio quando si stava peggio.” Un altro invito a non lamentarsi delle situazioni sfavorevoli, perché alla fine non si sa mai quello che ci attende e il domani potrebbe essere molto peggio dell’oggi e a volte si scopre che si stava meglio nel patimento che nella gloria.
Chi nasce tonno nun po’ mori’ quadro
“Chi nasce tondo non può morire quadrato.” La saggezza popolare ci insegna che nessuno può modificare la propria natura né il proprio carattere. Si pensa che i riferimenti al quadrato e al cerchio derivino dalla terminologia militare, ma anche a una nozione antica secondo cui si associava una peculiare forma del corpo al carattere della persona.
T’hanno beccato cor sorcio ‘n bocca.
Ti hanno beccato (come il gatto) col topo in bocca, dicasi anche “ti hanno colto in flagrante”. Ci sono varie versioni nella lingua italiana di questo detto, come “ti hanno preso con le mani nella marmellata” o il più celebre “stavolta ti hanno colto in castagna”.
Conoscete altri detti romani celebri? Vi aspettiamo nei commenti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Proverbi e detti romani più famosi: quanti ne conoscete? Ecco origine e significato
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Beato chi c’ha ’n’occhio
Ai tempi de Checco e Nina
Chi de speranza vive disperato more
Buciardo come ’na lapide de cimitero
Mejo esse’ invidiati che compatiti
Chi pe’ quei mari va quei pesci pija