La bellezza di Roma passa anche attraverso la sua musica: dagli struggenti stornelli romani di Gabriella Ferri, alla melodia orecchiabile di Porta Portese di Claudio Baglioni, sino a Roma Capoccia di Antonello Venditti, la canzone divenuta a tutti gli effetti l’inno - e la colonna sonora - della Città Eterna.
Fu trasmessa per la prima volta alla radio nel 1972, quando gli ascoltatori dovevano tendere l’orecchio per comprendere i melanconici versi in dialetto romanesco di un allora sconosciuto cantautore. Roma Capoccia è una straordinaria dichiarazione d’amore che tuttavia titola come un insulto: Roma caput mundi, come dicevano gli antichi per indicare la sua centralità nell’impero e, al contempo, Roma testarda, Roma de coccio, Roma che fa di testa sua e non obbedisce e avanza orgogliosamente per la sua strada esibendo orgogliosa e altera la sua bellezza.
Il testo di Venditti riassume le contraddizioni della capitale, le sue brutture e le sue meraviglie, tutta la maestosità di una città immensa che non ha eguali con le sue cupole, le sue fontane, i suoi monumenti testimoni di un passato antichissimo, eppure ancora presente dinnanzi ai nostri occhi pieni di stupore; e al contempo la Roma della mafia, della sporcizia, della monnezza e degli intrighi politici.
Roma è anche la sua storia, una fitta trama di veleni e potere, dal sanguinoso fratricidio da cui ebbe origine - secondo la leggenda - sino alla congiura contro Giulio Cesare nelle Idi di Marzo allo strapotere dei Papi, dalla Breccia di Porta Pia alla marcia di Mussolini che segnò l’avvento del fascismo. Venditti non ci narra la storia di Roma nel suo brano più celebre, però ne sottolinea gli accadimenti in bilico tra realtà e leggenda, tra gloria e decadenza. Roma vive in bilico tra due estremi: è una città romantica e, al contempo, è una città difficile, presenta un’infinita gamma di sfumature proprio come le gradazioni dei suoi tramonti dorati.
Leggenda narra che Venditti scrisse la canzone quando aveva quattordici anni ed era un adolescente solitario - come tanti - e arrabbiato - come tutti - che trascorreva le domeniche seduto al pianoforte componendo canzoni nelle quali trasfondere i suoi vulcanici stati d’animo. Molto tempo dopo il cantautore avrebbe ripescato quel vecchio foglio ingiallito dal fondo di un cassetto e si sarebbe presentato al Folkstudio per un provino. Roma Capoccia venne pubblicata come singolo, sul lato B del vinile Ciao Uomo, ma sarebbe stata frequentemente passata alla radio dalla trasmissione “Supersonic” sino a entrare nelle case di tutti gli italiani. Ancora oggi risuona come un ritornello familiare nelle nostre teste; chi non l’ha imparata a memoria mente.
In occasione del Natale di Roma, scopriamone testo, analisi e significato.
“Roma Capoccia” di Antonello Venditti: testo
Quanto sei bella Roma quand’è sera
Quando la luna se specchia dentro ar fontanone
E le coppiette se ne vanno via
Quanto sei bella Roma quando pioveQuanto sei grande Roma quand’è er tramonto
Quando l’arancia rosseggia ancora sui sette colli
E le finestre so’ tanti occhi
Che te sembrano di’ quanto sei bella
Quanto sei bellaOggi me sembra che er tempo se sia fermato qui
Vedo la maestà der Colosseo
Vedo la santità der cupolone
E so’ più vivo e so’ più bbono
No nun te lasso mai
Roma capoccia der mondo infame
Roma capoccia der mondo infameNa carrozzella va co du stranieri
Un robivecchi te chiede un po’ de stracci
Li passeracci so’ usignoli
Io ce so’ nato Roma
Io t’ho scoperta stamattina
Io t’ho scopertaOggi me sembra che er tempo se sia fermato qui
Vedo la maestà der Colosseo
Vedo la santità der cupolone
E so’ più vivo e so’ più bbono
No nun te lasso mai
Roma capoccia der mondo infame
Roma capoccia der mondo infame.
“Roma Capoccia” di Antonello Venditti: la canzone
“Roma Capoccia” di Antonello Venditti: analisi e commento
Venditti ci canta la sua Roma Capoccia come se ci stesse accompagnando a fare una passeggiata nella città nei vari momenti della giornata. Nelle cinque strofe che compongono il brano la città ci viene mostrata come in uno scorrere di diapositive, attimo dopo attimo viene inserita in dei quadri specifici di vita quotidiana; poi c’è la climax del ritornello, un urlo liberatorio e melodico di rabbia e di orgoglio che riassume un odi et amo di matrice catulliana.
“Non ti lascio mai”, conclude il cantautore come se stesse rivolgendo una promessa alla donna amata, eppure infine appare chiaro che il rapporto di interdipendenza è reciproco, odi et amo: è la città a rendere vivo l’uomo, oppure è l’uomo a rendere viva la città?
Passato e presente si confondono in un unico tempo infinito ed è ecco che la bellezza sconfinata di Roma si riassume nell’ardore scanzonato di un insulto: “Roma capoccia der mondo infame”, che nella sua grazia verace sintetizza perfettamente il sentimento della romanità. La poesia nelle strade di Roma convive con la sincerità più spietata; il canto si perde nell’insulto, il romanticismo sfuma nel desiderio più ardito; e, naturalmente, il sacro si confonde col profano, come nota Venditti contrapponendo la maestà (pagana) del Colosseo con la santità (cristiana) del Cupolone.
Ne deriva una canzone esistenzialista e paesaggistica che ci restituisce sia un panorama che la sensazione scostante del vivere, sempre in bilico tra commedia e tragedia, tra gioia e dolore, in un perpetuo schianto. Che salto, che tuffo! narrava Virginia Woolf ne La signora Dalloway facendo vagare la sua Clarissa per le strade di Londra in una frizzante mattina di giugno; il pellegrinaggio compiuto da Antonello Venditti nella sua Roma epifanica e scalcagnata non è poi molto diverso anzi, a pensarci bene, ci restituisce l’identico ineffabile moment of being, un “momento d’essere” che contiene la bellezza del mondo capace di dividere il cuore come una lama appuntita a doppio taglio, in un lato la gioia e nell’altro l’angoscia. Nel mezzo la sensazione pulsante di essere vivi e la speranza - cantata da Venditti - di poter essere anche più buoni.
Recensione del libro
Ali di babbo
di Milena Agus
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Roma Capoccia”: analisi e significato della canzone di Venditti
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