Il 16 ottobre del 1943 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine quasi tutti appartenenti alla Comunità ebraica, vengono prelevate dalle loro abitazioni in via del Portico d’Ottavia e nelle strade adiacenti, dalle truppe tedesche della Gestapo al comando di Herbert Kappler, tenente colonnello delle SS, comandante dello SD (Sicherheitsdienst, Sevizio di Sicurezza) e della Gestapo a Roma. È il rastrellamento del Ghetto romano che conduce i deportati (1023 persone, perché un certo numero di membri di famiglie miste o stranieri è stato rilasciato) direttamente al campo di sterminio di Auschwitz. Di questi innocenti, colpevoli di non appartenere alla razza ariana, ne sopravvivono solo 16, 15 uomini e una donna.
Sono trascorsi 76 anni da quell’odioso episodio che segnò il momento più vile dell’occupazione nazista della Capitale diventata dopo la fuga dei Savoia città aperta. Nel 2018 inoltre si sono celebrati gli ottant’anni della promulgazione delle Leggi razziali, avvenuto nel settembre del 1938, primo di quelli che anticiparono la Shoah.
“La memoria come vaccino contro l’indifferenza”, ha sintetizzato così in una recente intervista Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, nominata senatrice a vita dal presidente Sergio Mattarella. Tre libri ricordano la Shoa romana, affinché la solitudine della memoria non abbia il sopravvento in un momento particolare e delicato della nostra storia.
- 16 ottobre 1943 (Einaudi tascabili 2015, Nota di Natalia Ginzburg, pp. 116, euro 9,50) di Giacomo Debenedetti. "Breve e splendido, “16 ottobre 1943” narra la deportazione degli ebrei romani", scriveva Natalia Ginzburg su “La Stampa” di questi due racconti di Giacomo Debenedetti (1901-1967), amico e collaboratore di Pietro Gobetti negli anni giovanili, scrittore di racconti e saggi critici. Non possiamo fare a meno di ammirare la straordinaria forza dello stile, trasparente come il vetro di queste brevi ma intense pagine. Sembra che a parlare, nel racconto di Debenedetti, sia la stessa realtà. Le frasi si susseguono alte, nitide, disadorne, severe e su ciascuna di esse grava il peso di una pietà immensa. Al modo dei rintocchi di un orologio, suonano le parole che portano all’implacabile conclusione. Le due cronache, del 1944, sono tra le sole pagine di narrativa del grande critico, lettore di Proust, studioso del romanzo novecentesco, scritte evidentemente sotto l’urgere del dolore e della pietà civili. La prima narra dell’inganno vile e della persecuzione di Kappler contro gli ebrei del Ghetto di Roma (e i due aggettivi della Ginzburg, “breve e splendido”, indicano che siamo di fronte a uno dei più bei racconti italiani mai scritti). La seconda cronaca, “Otto ebrei”, presenta il caso di un aguzzino che, a provare la propria buona fede, testimonia di aver risparmiato otto ebrei includendoli, in un gruppo di dieci da salvare dalle Fosse Ardeatine. L’autore riflette se questa grazia compassionevole, questa concessione d’ingresso privilegiato in un’Arca di Noè, non sia stato da vivere come odioso razzismo.
- Mio Dio perché? 16 ottobre 1943 in fuga con blocco e matita (Palombi Editori 2012, pag. ill. euro 20,00) di Sandro Gai. Ripercorrendo la storia di Aldo Gai, dalle leggi razziali del 1938 al ritorno alla libertà segnato dalla liberazione di Roma del 4 giugno 1944, si osserva il tragitto di un’esperienza individuale che diventa, nell’atto della riflessione e della testimonianza, sguardo collettivo. Gli schizzi, quasi fotografici, che illustrano le diverse fasi della razzia del 16 ottobre 1943 e della deportazione degli ebrei romani, non rappresentano solo un documento storico, ma un gesto di verità, consapevolezza e partecipazione emotiva.
- Portico d’Ottavia 13. Una casa nel ghetto nel lungo inverno del ‘43 (Laterza 2013, pag. 143, euro 15,00) di Anna Foa. Un’antica casa medioevale ormai degradata, un vasto cortile rinascimentale. Qui il 16 ottobre del 1943 i nazisti arrestano più di trenta ebrei, un terzo dei suoi abitanti, tra i più poveri della Comunità. Sono per lo più vecchi, donne e bambini. Altri quattordici saranno catturati nei mesi successivi. Questa è la storia degli abitanti della Casa e dei nove mesi segnati per gli ebrei romani da oltre duemila deportazioni. Sono presi per strada, nel quartiere del vecchio ghetto da cui non si sono allontanati, nelle stesse case in cui sono tornati, nei negozi, perfino al bar. Li arrestano soprattutto i fascisti, le bande autonome dipendenti direttamente da Kappler mosse dall’avidità della taglia, guidate dalle delazioni delle spie. Tutto può accadere: sono l’avidità e la crudeltà, la norma della spietata caccia all’uomo. Quando le spie indicano gli ebrei alle bande, un carrozzone si avvicina per far salire gli arrestati, liberarne alcuni, mandarne altri a morte, secondo la convenienza e del capriccio. L’arbitrio era re nella Roma di quei mesi. Intorno, il caos più tremendo, nessuna forma di organizzazione, il vuoto, i bombardamenti, la fame, i rastrellamenti, le fosse Ardeatine. Il quartiere è il teatro di questa caccia infinita, un teatro che attira come una calamita i suoi abitanti e i cacciatori, che conoscono le loro prede e sanno come e dove trovarle.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Shoa di Roma: tre libri per non dimenticare il 16 ottobre 1943
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