La Giornata della Memoria dischiude uno scrigno prezioso di storie: dolenti, appassionate, tragiche, alcune persino salvifiche. Storie di ribellione o di passiva accettazione.
Nelle multiformi trame della Shoah non c’è solo il trionfo del coraggio, ma anche l’eterno dilemma del compromesso. Molti prigionieri nei campi di concentramento infatti si trovarono costretti a collaborare con le SS pur di aver salva la pelle: si trattava di un rapporto pericoloso, infido, ambiguo, che ripeteva il medesimo schema del gatto che gioca con il topo. Molti di loro attraverso questa forma di collaborazione riuscirono, a loro rischio e pericolo, a salvare altri ebrei.
Spesso a salvarsi erano i prigionieri con un talento o una dote particolare: ciò che risparmiò la vita a Primo Levi, ad esempio, fu la sua laurea in chimica. Grazie alla sua competenza di chimico Levi poté trascorrere gli ultimi mesi di prigionia al chiuso anziché esposto al gelo letale dell’inverno, come ricorda nel suo libro capolavoro Se questo è un uomo. Lo stesso destino toccò anche a Miklós Nyiszli, un medico legale ungherese, che si trovò a collaborare con il più terribile demonio creato dal nazismo: il dottor Mengele.
Non solo gli uomini, ma anche le donne si trovarono loro malgrado coinvolte in questo accordo immorale con i propri aguzzini: alcune erano sarte, altre ballerine o musiciste. Chiamate a porre la loro competenza al servizio del nemico per avere in cambio una razione di pane. In ciascuna di queste storie si annida sottesa una domanda che oggi si ripropone a tutti noi con maggior vigore, con l’eco impetuosa di un dilemma morale: “tu cosa avresti fatto?”
Nessuno di questi uomini e donne compì un vero tradimento, nessuno di loro si macchiò le mani di un delitto nefando: cercarono solo di strappare un giorno in più di vita mentre erano immersi nella più tetra macchina infernale della morte creata dall’uomo. Ciascuno di loro ci dà una lezione di sopravvivenza, di coraggio e anche di umanità.
Scopriamo le storie vere degli ebrei che si sono salvati collaborando con le SS ingaggiando uno strano gioco di poteri.
1. Se questo è un uomo di Primo Levi
Primo Levi disse che attribuiva la propria sopravvivenza ad Auschwitz “per l’80% alla fortuna, per il 20% alla chimica”. Nel suo libro capolavoro Se questo è un uomo descrive la propria esperienza di chimico all’interno del lager di Auschwitz. Lavorando all’interno del laboratorio della Buna, una fabbrica di proprietà della IG Farben, Levi riuscì a salvarsi, sopravvivendo al gelo letale dell’inverno polacco. Grazie alla sua laurea in chimica e a un esame elementare di tedesco superato nel lager Primo Levi riuscì ad aver accesso a un trattamento di favore, ma era pur sempre in prigioniero. Racconta di aver scambiato alcune pietrine da accendisigari, ricavate da cilindretti di cerio del laboratorio, per un tozzo di pane.
Se questo è un uomo
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L’amore di Primo Levi per la chimica è testimoniato anche nella raccolta di racconti Il sistema periodico, in cui l’autore riprende anche alcune delle esperienze vissute nel lager. Il suo essere chimico - padroneggiare la materia - gli consentì di essere ritenuto un prigioniero “utile” e così sopravvivere all’inferno del lager. Ma quell’inferno Levi se lo sarebbe portato nel cuore sino alla fine dei suoi giorni.
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2. Le sarte di Auschwitz di Lucy Adlington
Nel saggio Le sarte di Auschwitz, edito da Rizzoli, la scrittrice inglese Lucy Adlington dà voce a 25 ragazze dell’Europa orientale che si salvarono lavorando come sarte per le SS. Giunte ad Auschwitz nel 1942 queste giovani, per la maggior parte slovacche a eccezione di due francesi, si trovarono a disegnare, ritagliare e cucire capi d’abbigliamento per le mogli delle SS che non disdegnavano il lusso. Le donne lavoravano in una stanza del seminterrato degli uffici amministrativi delle SS al servizio della moglie del comandante, Hedwig Loss. La sarta più giovane era una ragazzina slovena di soli 14 anni.
Per scrivere il libro Adlington si è servita della testimonianza della 98enne Bracha Kohut, all’epoca l’unica sarta ancora in vita che viveva nei dintorni di San Francisco.
Le sarte di Auschwitz
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3. Il tatuatore di Auschwitz di Heather Morris
Il tatuatore di Auschwitz di Heather Morris (Garzanti, 2018) racconta la storia vera di Lale Sokolov, il tatuatore slovacco, anch’egli ebreo, che nel campo di concentramento fu chiamato a incidere dei numeri sul braccio dei prigionieri. Con quella striscia di numeri Lale sostituiva i loro veri nomi e li consegnava a un destino di morte o di annullamento. Così riuscì a sopravvivere tre anni ad Auschwitz vivendo immerso in un labirinto di paranoie e paure. Era un giovane forte e robusto di appena 26 anni: anche lui recava sul braccio un numero al pari degli altri prigionieri, era 32407.
Lale non si considerò mai un collaborazionista, ma cercò di sfruttare la propria posizione privilegiata per aiutare gli altri prigionieri. Nel campo si innamorò di una donna ebrea, Gita. L’avrebbe sposata nell’ottobre del 1945, cambiando il proprio cognome in Sokolov per adattarsi alla Cecoslovacchia che dopo la guerra era controllata dai russi.
Il tatuatore di Auschwitz
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4. Sono stato l’assistente del dottor Mengele di Miklós Nyiszli
Il dottor Miklós Nyiszli (1901-1956) era un affermato medico legale ebreo-ungherese. Quando fu deportato ad Auschwitz nel 1944, fu scelto da Mengele come collaboratore in virtù della sua competenza.
Nel libro Sono stato l’assistente del dottor Mengele (Esperidi, 2021, trad. di Augusto Fonseca) viene riportata la sua testimonianza.
Come anatomo-patologo Nyiszli fu costretto a eseguire autopsie, a sezionare cadaveri di gemelli, ad assistere a esperimenti disumani che hanno reso il reparto del campo di Auschwitz il centro dell’inferno. Il dottor Miklós Nyiszli riuscì a salvarsi, ma per il resto della sua vita fu perseguitato dagli incubi e da un senso di colpa lacerante.
Sono stato l'assistente del dottor Mengele. Auschwitz dagli occhi di un medico ebreo-ungherese
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5. La ballerina di Auschwitz di Edith Heger
Edith Eger, la ballerina sopravvissuta all’Olocausto nazista, oggi aiuta i pazienti affetti da stress post-traumatico lavorando come psicologa. La sua storia è raccontata nel libro La scelta di Edith (Corbaccio, 2021).
Nata nel 1927 in Ungheria, Edith aveva solo sedici anni quando i tedeschi invasero la sua città. Fu deportata ad Auschwitz, nel 1944, insieme al resto della sua famiglia. I suoi genitori furono indirizzati immediatamente verso la camera a gas, lei rimase da sola con sua sorella. Ma ballare sulle note del Bel Danubio blu per il dottor Mengele le salverà la vita. Edith racconta che in quel momento chiuse gli occhi e immaginò di ballare all’Opera di Budapest. In cambio ottenne una razione di pane che, nonostante la fame, condivise con le compagne nella cella che fungeva da camera da letto.
Presto inizierà per lei una nuova lotta per la sopravvivenza. Dopo la follia dei campi di sterminio Edith Eger giungerà negli Stati Uniti dove diventerà discepola del dottor Viktor Frankl, celebre neurologo e psichiatra.
In quel momento Edith Eger capirà che deve parlare dell’orrore vissuto per trovare la strada della guarigione. E aiuterà altri a fare lo stesso.
La scelta di Edith
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6. La ragazza con la fisarmonica di Esther Béjarano
Esther Bérajano è morta nel luglio 2021 ad Amburgo, all’età di 96 anni. Riuscì a sopravvivere ad Auschwitz suonando la fisarmonica presso la Maedchenorchester von Auschwitz, l’orchestra femminile del campo di sterminio. Vi era giunta a 19 anni nel 1944, sola, perché i suoi genitori erano già stati trucidati in un campo dell’Est.
Esther fu arruolata nell’orchestra insieme ad altre ragazze di nazionalità e provenienza diversa: il loro scopo doveva essere quello di tenere alto il morale dei prigionieri suonando davanti al cancello del campo in ogni condizione climatica. Le SS usavano le ragazze ai fini di propaganda, usandole per fare bella figura con i cinegiornali dell’epoca. Spesso l’orchestra era chiamata anche per allietare cene o eventi galanti dei nazisti. Dopo la liberazione Bérajano emigrò in Israele, ma continuò a coltivare la passione per la musica che, dopotutto, l’aveva salvata dall’orrore del lager.
La vera storia di Esther è riportata nel libro La ragazza con la fisarmonica (Edizioni SEB27, 2013) in cui in una lunga intervista la donna rinnovava il proprio impegno nel condannare ogni forma di estremismo, violenza e sopruso.
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7. Il pugile, la vera storia di Hertzko Haft
Il fumettista tedesco Reinhard Kleist nella graphic novel Il pugile, la vera storia di Hertzko Haft (Bao Publishing, 2015) racconta la storia del pugile Harry Haft, ebreo polacco nato nel 1925 a Belchatow. Prigioniero in un campo nazista, fu costretto a combattere sul ring per sopravvivere.
Il 18 luglio 1949, fuori da Auschwitz, Haft avrebbe sfidato persino Rocky Marciano presso l’auditorium di Rhode Island. L’incontro sarebbe durato solo tre round: Harry finì K.O, fu la sua sconfitta più bruciante.
Harry Haft avrebbe rivelato la propria storia al figlio Alan Scott poco prima di morire. I gendarmi nazisti organizzavano incontri tra prigionieri nei lager per il proprio divertimento. Harry, ma all’epoca il suo nome era ancora Hertzko, fu costretto a combattere oltre 80 incontri all’interno del campo di sterminio. Il loro esito non fu registrato in alcun tabellone, né segnò alcun record. Harry Haft, pugile professionista di ventitré anni, combatteva per sopravvivere perché spesso perdere significava morire. Le sue prodezze venivano liquidate in risate, giubilio e battiti di mani. Alla fine della sua carriera pugilistica Harry Haft totalizzò 13 incontri vinti, 8 persi; delle vittorie del lager non c’era traccia.
Il pugile. La storia vera di Hertzko Haft
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8. Le assaggiatrici di Rosella Postorino
Dalla realtà alla fiction. Ultima, ma non per importanza, la testimonianza portata alla luce dalla scrittrice Rosella Postorino nel libro Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018), vincitore del premio Campiello. Il romanzo infatti è ispirato alla vita vera di Margot Wolk, una donna tedesca che lavorò come assaggiatrice di Adolf Hitler nella caserma di Krausendorf. La storia di Wolk diventa il pretesto per narrare un capitolo inedito della Shoah: anche le donne tedesche furono costrette a compromessi durante la guerra, persino loro si trovarono ingaggiate nel terribile gioco del gatto col topo in nome della patria. Tra le “assaggiatrici” del Führer, nel racconto romanzato di Postorino, si nasconde anche una donna ebrea che cerca di tenere celata la propria identità a ogni costo, perché sa quale pena la attende al varco. Un libro attuale che, reinventando una pagina terribile della storia mondiale, ci ripropone un eterno dilemma di coscienza.
Le assaggiatrici
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Conoscevate queste storie sull’Olocausto? Le storie degli ebrei che si sono salvati collaborando con le SS ci permettono di guardare la Giornata della Memoria da un’altra prospettiva, mostrandoci il confine inedito tra ribellione e compromesso, il vero volto di alcuni “eroi” del nostro tempo che furono soprattutto uomini. Sono storie di sopravvivenza da leggere e rileggere per non dimenticare che “questo è stato”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: 8 storie (da leggere) di ebrei costretti a collaborare con le SS per sopravvivere
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