Tex Willer. Un cowboy nell’Italia del dopoguerra
- Autore: Elizabeth Leake
- Genere: Fumetti e Graphic Novel
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2018
L’epos di Tex Willer. La psicologia di Tex Willer. Gli ambiti di Tex Willer. In altre parole, come scriverebbero gli americani, inside Tex Willer. L’eroe del fumetto italiano per antonomasia. Il ranger dal pugno facile (sock!). Il difensore dei deboli. L’uomo che sussurrava al cavallo (al suo primo cavallo: si chiamava Dinamite). L’uomo tutto d’un pezzo. L’amico degli indiani buoni. Aquila della notte. Un cowboy nell’Italia del dopoguerra. Come recita il sottotitolo del saggio monografico che
Elizabeth Leake (italianista della Columbia University di New York) gli dedica per le edizioni il Mulino “Tex Willer. Un cowboy nell’Italia del dopoguerra”, 2018. Un lavoro solido come i cazzotti sferrati dal ranger e stratificato come i pericoli sottesi (e palesi) alle lande del Far West. Leggere per credere.
Sulla caratura meta-fumettistica di Tex, a pag. 41:
Tex aderisce pienamente a questo carattere italiano dell’immediato dopoguerra, sia nei suoi tratti positivi sia in quelli meno raccomandabili (…) l’amore per l’avventura, un interesse distratto e sporadico per la paternità, una buona dose di afasia emotiva, una sfiducia congenita nei confronti dell’autorità e delle donne, un fastidio urticante per le regole, e uno strano mix di arroganza spavalda e capacità di scendere a compromessi. Il suo codice etico è tratto mix di film di cowboy, storie d’avventura e film noir, innestato nel tipico relativismo radicale del personaggio cinico.
Sul valore simbolico del mito (e del contesto) della frontiera, a pag. 34:
La frontiera occidentale è, per eccellenza, il luogo dei superlativi: più è vasto. Vuoto e duro l’ambiente fisico, più è elevato il potenziale di rigenerazione, liberazione e autorealizzazione (…) La carenza di comodità materiali e un paesaggio ridotto all’essenziale simboleggiano la posizione al contempo fuori della storia e priva di ideologia dell’eroe western.
Parole sante, Tex è quel che si definisce un topos. Poche ciance e modi spiccioli compresi: soltanto nei primi 100 numeri del fumetto ne fa fuori 880 (c’è chi ne ha tenuto la contabilità). Le percentuali riferite all’etnia dei cattivi morti riferiscono un trattamento trasversale: un 43% di bianchi, 32% di indiani, 18% messicani. E c’è anche un insignificante 2,5% riferito ad altri gruppi etnici. (pag. 133)
Questo per dirvi come Elizabeth Leake scandagli mirabilmente l’esplicito e l’implicito del fumetto bonelliano – gli sfondi americani, i sotto-testi italiani, i rimandi epici, le relazioni affettive - dal punto di partenza privilegiato delle congiunzioni culturali e sociali con l’Italia post-bellica. Il primo numero di Tex arriva nelle edicole in formato “a striscia” nel 1946, impregnato giocoforza dalle morali, i bisogni, le suggestioni passate e presenti di quel tempo.
“Tex rassicurava i suoi lettori sul fatto che esistesse davvero un eroismo italiano” (pag. 163)
Si spiega anche così il fatto che il suo mito sia arrivato al galoppo fino ai nostri giorni.
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