La carica di umanità, amore ed eroismo che emana dai versi del celebre passo dell’ Iliade in cui Ettore e Andromaca si vedono e parlano per l’ultima volta è ineguagliabile.
Mentre infuria la battaglia che di lì a poco porterà Troia a soccombere, l’eroe e sua moglie, che reca con sé il figlio piccolo e una schiava, si incontrano sulla torre che sovrasta le porte Scee, quelle a difesa della città, e danno vita ad una pagina di poesia insuperabile per bellezza e valore.
Il fato crudele che li separa per sempre, al contempo dona loro l’immortalità che li consegna alla storia come una delle coppie più incantevoli della letteratura.
Vediamo la parafrasi e la spiegazione di questi famosi versi dell’Iliade omerica.
Ettore e Andromaca: la parafrasi (Libro VI, vv. 392-502)
Così parlò la guardiana; Ettore allora si slanciò fuori di casa, per la stessa strada giù verso le strade ben costruite. Passato attraverso la grande città, giunse alle porte Scee, da cui doveva incamminarsi verso il pianoro; qui la sposa dai ricchi doni a lui venne incontro, correndo, Andromaca figlia del magnanimo Eezìone, quell’Eezìone che abitava sotto il Placo boscoso a Tebe Ipoplacia, signore di genti cilice; e la sua figlia appartiene ad Ettore dall’elmo bronzeo. Gli andò incontro, con lei l’ancella con in braccio il bimbo, piccolo, dal cuore ingenuo, figlio prediletto di Ettore, una candida stella. Il padre lo chiamava Scamandrio, ma gli altri Astianatte, perché Ettore solo era il difensore dell’alta Troia. Sorrise Ettore nel vederlo, e tacque.
Ma bagnata da un pianto dirotto Andromaca si accostò al marito, gli strinse la mano, e per nome con dolce dire, chiamandolo proruppe:
«Sventurato, il tuo coraggio ti ucciderà! Nessuna pietà provi per il figlio, né per me, crudele, per me che vedova infelice resterò tra non molto, perché tutti raccolti insieme gli Achei contro te solo si scaglieranno per trucidarti; e a me sarebbe meglio, se mi sei tolto, andare sottoterra. Una volta priva di te, che altro può restarmi se non perpetuo pianto? Io sono orfana del padre, e della madre.
Mi uccise il padre Achille spietato, il giorno in cui egli distrusse Tebe l’eccelsa popolosa città dei Cilici: il crudele mi uccise Eezìone. Ma non osò spogliarlo, preso nel cuore da un terrore divino. Quindi compose la sua salma sul rogo con tutte le armi, un tumulo gli alzò che le figlie dell’Egìoco Giove – Oreadi pietose – incoronarono di olmi. Di ben sette fratelli si gloriava, superba, la mia casa. In un solo giorno le loro anime furono sospinte all’Ade uccise da Achille, piede veloce, li trafisse accanto ai buoi dal cupo muggito, e alle candide pecore. Mi restava solo la madre regina della boscosa Ipoplaco. Il vincitore con ricco bottino la condusse qui, e poi dietro largo riscatto la pose in libertà. Ma questa pure, me sventurato, nelle paterne stanze fu trafitta dallo strale d’Artémide.
Or mi resti tu soltanto, Ettore caro: tu per me sei padre, madre, fratello, sei il mio fiorente sposo. Abbi dunque pietà di me e fermati qui con me, a questa torre né desiderare che sia vedova la consorte, orfano il figlio. Raduna i tuoi guerrieri pressi il caprifico, dove il nemico scoprì un varco più diretto verso la città e agevole è lo scalare delle mura. O che quel varco l’abbia mostrato agli Achei un indovino, o che ve gli abbia spinti il proprio coraggio, ti basti questo: che qui i più forti già vennero tre volte, i migliori per coraggio, ambo gli Aiaci, ambo gli Atridi, e il chiaro sovrano di Creta ed il fatale figlio di Tidèo».
Le rispose allora Ettore:
«Dolce sposa, tutto ciò che hai detto affligge il mio pensiero; ma dei Troiani io temo fortemente l’offesa, e dell’altere donne troiane, se mi tenessi in disparte, ed evitassi lo scontro in battaglia, come guerriero codardo. Il mio cuore non consente di fare ciò. Già da molto tempo imparai a esser forte, sempre, e a primeggiare negli aspri combattimenti, procurando gloria a me stesso e al padre. Verrà un giorno, lo presagisco nel cuore, verrà un giorno in cui il sacro muro di Ilio, e Priamo, e tutta la sua gente cadrà.
Ma né il dolore dei Troiani né quello d’Ecuba stessa, né del padre antico, né dei fratelli, che molti e valorosi distesi cadranno nella polvere sotto le spade nemiche, non mi affligge, o donna, nessuno di questi dolori quanto quello per il tuo destino crudele, se accadrà che qualche Acheo, magari con lo scudo ancora lordo di sangue, ti rapisca piangente in schiavitù. Sventurata, in Argo agli ordini supponenti di una straniera tesserai le tele; dalle fonti di Messíde o d’Iperéa (sprezzante, non volente, ma dal fato costretta), alla padrona superba recherai l’acqua. E vedendo qualcuno piovere il pianto dalle tue ciglia, dirà: “Quella è d’Ettore la nobile consorte, di quel prode Ettore che fra i Troiani domatori di cavalli era il primo degli eroi quando si combatteva intorno a Ilio.” Così sarà detto da qualcuno; e allora tu di nuovo dolore con anima trafitta, più viva in petto sentirai la brama di tale marito a sciogliere le tue catene. Ma prima morto la terra mi ricopra, che io oda i tuoi lamenti pietosi, una volta fatta schiava».
Dopo aver detto ciò, distese le braccia aperte al caro figlio, e acuto mandò un grido il bambino, e reclinato il volto, lo nascose nel seno della nutrice, spaventato dalle tremende armi del padre e dal cimiero che orribilmente ondeggia di crini di cavallo sulla sommità dell’elmo. Sorrise il padre, sorrise anche lei, la madre veneranda; e colmo di tenerezza, l’eroe subito si tolse l’elmo splendente dalla fronte, e lo pose in terra. Quindi, baciato con immenso affetto il figlio, palleggiatolo dolcemente tra le mani, lo alzò al cielo, e supplice esclamò:
«Giove pietoso e voi tutti, o dei celesti, concedete che degno di me un giorno questo mio figlio sia lo splendore della patria, e diventi forte e potente sovrano dei Troiani. Vi prego: fate sì che qualcuno, vedendolo tornare dalla battaglia recando le crude armi dei nemici uccisi, dica: “Non fu così forte il padre!”; e il cuore della madre, nell’udirlo, esulti».
Così dicendo, pose il figlio in braccio all’amata sposa; ed ella lo raccolse nel seno profumato, sorridendo nel pianto. Addolorato nel cuore da struggente tenerezza, il marito si trattenne a guardarla, l’accarezzò con la mano, le disse: «Mia diletta, ti prego oltre misura: non rattristarti a causa mia. Nessuno mi spingerà da Plutone se il momento estremo non è ancora giunto. E nessuno al mondo, pusillanime o temerario, si sottrae al fato. Adesso torna a casa, dedicati ai tuoi lavori, alla spola, al fuso, e veglia sull’operato delle ancelle; e a noi, quanti nascemmo fra le mura di Ilio – e a me per primo – lascia i doveri della dura guerra».
Finito di parlare, Ettore generoso raccolse l’elmo da terra, e la donna amata, silenziosa, riprese la via verso casa, guardandosi indietro, piangendo amaramente. Giunta alla casa di Ettore, trovò le ancelle, e le commosse al pianto. Compativano tutte Ettore, nonostante fosse ancora vivo, nella sua stessa casa, le donne addolorate, poiché prive della speranza di rivederlo reduce dalla battaglia, scampato dalle fiere mani dei forti Achei.
Spiegazione del brano dell’Iliade su Ettore e Andromaca
I versi da 392 a 502 del Libro VI dell’Iliade descrivono l’ultimo incontro fra il grande eroe troiano Ettore e sua moglie Andromaca prima che l’uomo torni sul campo di battaglia per lo scontro decisivo con Achille.
In realtà si tratta di un addio, poiché i coniugi non si rivedranno più ed entrambi ne hanno consapevolezza.
L’ansia, il senso del pericolo imminente e l’angoscia per l’impossibilità di cambiare un destino già scritto conferiscono una struggente dolcezza al breve ma intenso dialogo che la coppia si scambia.
Andromaca, che ha in braccio il figlio neonato Astianatte ed è accompagnata da un’ancella, ricorda al marito quanto esso significhi tutto per lei e rappresenti quella famiglia brutalmente strappatale via dalla furia di Achille, che le ha ucciso il padre Eezione, re di Tebe, e sette fratelli in un solo giorno.
La madre, invece, è morta per cause naturali dopo aver provato sulla sua pelle la triste esperienza della schiavitù.
Dunque Ettore e il bambino sono tutto per lei.
Per questo Andromaca prega l’eroe di smettere di combattere, di restare con la propria famiglia e di evitare che lei ed Astianatte debbano subire le tragiche conseguenze a cui andrebbero incontro se lui dovesse morire.
Ettore è profondamente rattristato da queste parole, soffre enormemente al solo pensiero di dover lasciare le persone che ama ed è conscio della sorte terribile che toccherebbe loro in sua assenza, ma non vuole e non può tornare sui suoi passi.
Con estrema dolcezza ma anche con la fermezza tipica del prode combattente che non teme né la sofferenza né la morte, Ettore risponde che non può venir meno al suo dovere, che è quello di difendere la patria e i suoi concittadini e che, se non lo facesse, disonorerebbe non solo se stesso ma anche i familiari e Troia.
Dopo aver ribadito per l’ultima volta la volontà di voler adempiere alla sua missione fino in fondo, Ettore diventa protagonista di una scena di infinita delicatezza.
Quando allunga le braccia per stringere al petto il figlio, quest’ultimo, impaurito dall’imponente elmo piumato, si ritrae, allora lui non esita a gettarlo a terra per poter stringere a sé il piccolo, dopodiché lo riconsegna alla madre, raccomandandole di non preoccuparsi più e di pensare alla cura della casa.
Andromaca lo asseconda e, una volta tornata, trova le ancelle che "piangevano Ettore ancor vivo nella sua casa, non speravano più che indietro dalla battaglia sarebbe tornato, sfuggendo alle mani, al furore dei Danai".
La certezza della sconfitta e della fine ormai prossima dell’eroe che tutti adorano, rende le lacrime delle schiave una sorta di lamento funebre anticipato fortemente sentito e, anche per questo, immensamente triste.
Analisi e commento critico del brano dell’addio tra Andromaca ed Ettore
Il passo dell’Iliade che descrive l’addio fra Andromaca ed Ettore prima che quest’ultimo si avvii sul campo di battaglia per l’ultima volta, esprime il senso dei più elevati valori umani universali con una profondità ed una delicatezza talmente marcate, da renderla una delle pagine più belle della poesia mondiale di ogni tempo.
L’amore coniugale e quello familiare, il senso del dovere, l’onore, il coraggio e la nobiltà dei sentimenti trovano, in queste poche righe, la loro massima rappresentazione letteraria.
Sia Ettore che Andromaca sono descritti come personaggi estremamente positivi dal punto di vista umano. Lei è una moglie e madre esemplare, sinceramente innamorata e devota al marito, che la ricambia allo stesso modo. È intelligente, amorevole e sa essere persino audace se occorre, una dote non comune alle donne a lei coeve. Lo dimostra nel momento stesso in cui "osa" chiedere al coniuge di non recarsi a combattere e di restare a casa, sfidando la subalternità che il ruolo le imporrebbe ed immischiandosi in quelle "questioni di guerra" che erano ad esclusivo appannaggio del genere maschile.
In realtà Andromaca sa già che la pietosa richiesta cadrà nel vuoto, ma, spinta dall’amore, la fa comunque, un gesto che ne dimostra la statura morale non comune.
Ettore è il più valoroso guerriero troiano, l’eroe per antonomasia, di cui incarna e sublima tutte le virtù.
E va persino oltre, perché al tempo stesso è anche l’uomo ideale, sposo e padre perfetto.
Ama profondamente la moglie ma non può assecondarne la sua pur legittima e comprensibile richiesta.
Sa che la sua missione è difendere Troia e i troiani e non può tirarsi indietro sia perché passerebbe per codardo e lui non lo è, sia perché non può sottrarsi al volere del fato, da cui solo dipendono le sorti di ciascuno di noi.
Un’entità superiore stabilirà se lui debba soccombere in battaglia oppure no, ma è disposto ad accettare serenamente anche il peggiore dei verdetti.
Molti secoli dopo Ugo Foscolo si ricorderà con ammirazione delle gloriose gesta di Ettore, non solo citandolo a chiusura de I Sepolcri, ma assurgendolo a simbolo stesso del grande eroe cui la sconfitta non riesce minimamente a scalfire le doti e per questo meritevole di essere eternato in poesia e nell’arte.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Lo straziante addio tra Ettore e Andromaca: parafrasi e analisi del brano dell’Iliade
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Profondamente toccante, grazie!