Se n’è andato uno dei capisaldi della cultura letteraria italiana dell’ultimo Novecento, Piergiorgio Bellocchio, scrittore e critico letterario, storico fondatore de I quaderni piacentini rivista culturale che ha fatto la storia degli anni Sessanta.
Bellocchio è stato l’ultimo erede della tradizione tipicamente novecentesca delle riviste di cultura che si fecero promotrici di veri e propri fenomeni letterari, politici e sociali. Cercò sempre nella letteratura le risposte alle domande che attanagliavano la società e, grazie al suo occhio arguto di critico e lettore attento, Piergiorgio Bellocchio le risposte le trovò.
Piergiorgio Bellocchio: la vita e la carriera
Nato a Piacenza il 15 dicembre 1931 da una facoltosa famiglia borghese, Piergiorgio Bellocchio era il primogenito di otto figli, tra cui il noto regista Marco Bellocchio. Nella vasta produzione cinematografica del fratello dobbiamo citare il film documentario Marx può aspettare al quale lo stesso Piergiorgio prese parte per rievocare l’evento tragico che sconvolse l’intera famiglia: il suicidio, nel 1968, di Camillo, gemello di Marco.
Intellettuale impegnato, Bellocchio fondò la rivista I quaderni piacentini che diresse fino alla chiusura, avvenuta nel 1984. Suoi storici compagni di avventura furono Grazia Cherchi e Goffredo Fofi. La rivista di Bellocchio ebbe un ruolo centrale nell’evoluzione del pensiero politico di sinistra in Italia, nel corso di vent’anni di attività raggiunse tirature di oltre 12 mila copie.
Nel 1969 fu anche il primo direttore responsabile di Lotta Continua, organo ufficiale della formazione extraparlamentare. Mantenendo l’impegno sul fronte letterario dal 1977 al 1980 diresse la casa editrice Gulliver di Milano. Nel 1985 fondò, con Alfonso Berardinelli, la rivista letteraria Diario da lui stesso definita “un’opera a puntate” che fu scritta a quattro mani. Con soli due numeri all’anno, Diario recuperava il senso di una critica del presente che si faceva al contempo promotrice del cambiamento sociale e politico in atto. La rivista si proponeva con un carattere di prova, come un “foglio di battaglia”
Lettore onnivoro e vorace Bellocchio si è sempre più definito “lettore che scrittore”. Negli ultimi anni, giunto alla veneranda età di 88 anni, aveva confessato però che la sua fame di letteratura era diminuita. Leggeva prevalentemente memorialistica e saggi storici, preferendo la rievocazione memoriale al tumulto dell’attualità.
Ricordando l’avventura dei mitici Quaderni Piacentini in una delle sue ultime interviste, rilasciata al Corriere della Sera, descrisse la rivista come una meravigliosa esperienza collettiva guidata quasi da un impulso vocazionale:
Avevamo una specie di terrore del lucro, appena vendevamo un po’ abbassavamo il prezzo senza tesaurizzare. Abbiamo sempre lavorato gratis.
Dalle parole di Bellocchio emerge, come una costante, la gratuità della cultura e dell’esperienza letteraria. Una lezione antica che riporta alla memoria un’editoria d’altri tempi, che badava più ai contenuti che alle vendite, più agli autori che ai lettori.
Con Piergiorgio Bellocchio se ne va l’ultimo baluardo del nostro Novecento letterario italiano.
Piergiorgio Bellocchio: le opere
Come narratore Bellocchio esordì con una raccolta di tre racconti I piacevoli servi, uscita nel 1966 nella collana Mondadori Il Tornasole diretta da Vittorio Sereni.
Tra i suoi libri ricordiamo Dalla parte del torto (Einaudi), Eventualmente (Rizzoli), L’astuzia delle passioni (Rizzoli, 1995), Oggetti smarriti (Baldini Castoldi Dalai) e la pubblicazione della rivista Diario 1985-1993 (con Alfonso Berardinelli, Quodlibet).
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Tra le sue ultime importanti pubblicazioni saggistiche ricordiamo la raccolta di scritti Un seme di umanità (Quodlibet, 2020). Raccolta di saggi, prefazioni, recensioni, scritti dal grande critico tra il 1967 ed il 2005.
In essi Bellocchio analizzava un ampio ventaglio di opere che vanno dai classici dell Ottocento (Dickens, Dostoevskij, Stendhal, Flaubert) a Pier Paolo Pasolini, Ferdinand Céline sino al saggista americano Edmund Wilson che per Bellocchio fu un grande punto di riferimento. Dopo aver letto un libro di Wilson, Bellocchio disse “Capisco tutto!” e il grande autore rimase sempre un faro luminoso nella sua vita, la luce che illuminava la sua coscienza e la sua analisi letteraria.
Quella di Piergiorgio Bellocchio era una forma di critica morale, che si concentrava soprattutto sugli autori in ombra, i vinti, i falliti. Vedeva nel fallimento una forma di virtù. E con l’indole indocile che tanto lo caratterizzava amava sconsigliare sempre i “libri vincenti”. Memorabile una pagina dei Quaderni Piacentini nei quali Bellocchio si premurava di sconsigliare apertamente di leggere i libri finalisti al premio Strega.
Era un intellettuale raro, di quelli che credono ancora alla passione delle idee e non si abbandonano mai al conformismo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Addio a Piergiorgio Bellocchio, l’ultimo intellettuale del Novecento letterario
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