Il poeta premio Nobel Salvatore Quasimodo, il maggior esponente della poetica dell’Ermetismo, scrisse un solo componimento dedicato all’immensa tragedia della Shoah.
La poesia si intitola Auschwitz e fu pubblicata all’interno della raccolta Il falso e vero verde (1956).
La raccolta Il vero e il falso verde, come sottolineò Goffredo Bellonci nella prima introduzione, segnò il passaggio di Quasimodo dalla cosiddetta "poesia pura" (ossia l’Ermetismo) a una "poesia nuova" che si faceva portavoce di un’istanza sociale, sotto l’influsso dei lirici greci.
Questa seconda fase della poetica di Salvatore Quasimodo è definita "neorealismo" e ha come principio un impegno sociale, ovvero il compito del poeta di denunciare l’orrore della guerra.
Auschwitz, scritta pochi anni dopo la rivelazione dell’orrore dei campi di sterminio nazisti, vuole essere un monito contro l’antisemitismo. Le reliquie di quel tempo dicono “mai più”, rammenta Quasimodo nel componimento che non intende tanto commuovere il lettore quanto impartirgli una lezione, la più drammatica, data dalla Storia.
Scopriamo ora testo, parafrasi e analisi della poesia.
Auschwitz di Salvatore Quasimodo: testo della poesia
Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non albero o uccelli nell’aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.Tu non vuoi elegie, idilli: solo
ragioni della nostra sorte, qui,
tu, tenera ai contrasti della mente,
incerta a una presenza
chiara della vita. E la vita è qui,
in ogni no che pare una certezza:
qui udremo piangere l’angelo il mostro
le nostre ore future
battere l’al di là, che è qui, in eterno
e in movimento, non in un’immagine
di sogni, di possibile pietà.
E qui le metamorfosi, qui i miti.
Senza nome di simboli o d’un dio,
sono cronaca, luoghi della terra,
sono Auschwitz, amore…Da quell’inferno aperto da una scritta
bianca: “Il lavoro vi renderà liberi”
uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all’alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all’acqua con la bocca
di scheletro sotto le docce a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d’animali,
o sei tu pure cenere d’Auschwitz,
medaglia di silenzio?Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette da amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
e di sciarpe d’ebrei: sono reliquie
d’un tempo di saggezza, di sapienza
dell’uomo che si fa misura d’armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.
Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte.
Auschwitz di Salvatore Quasimodo: parafrasi
Amore, laggiù ad Auschwitz, lontano dal fiume che bagna Cracovia (la Vistola, Ndr) in una vasta pianura del Nord Europa batte una pioggia gelida in un campo di morte. La pioggia cade incessante sulla ruggine dei pali e lungo i fili di ferro aggrovigliati delle recinzioni. Non si vedono né alberi né uccelli nell’aria grigia, neppure nel pensiero dei prigionieri, rimangono solo l’inerzia e il dolore che sopravvivono dentro la memoria, senza più rabbia né scherno.
Tu (il poeta si riferisce sempre ad Amore, Ndr) non vuoi poesie liriche, idilli amorosi, vorresti solo capire le ragioni della nostra sorte qui, sul suolo di Auschwitz. Tu che sei sensibile ai contrasti del pensiero umano, alle ragioni incerte della vita. Il senso della vita è qui, ad Auschwitz, in ogni "no" che ormai appare come una certezza. Qui dove si avverte più vicino il contatto con l’aldilà e l’eterno, la fine di ogni speranza e illusione di sogno. Tutti i simboli divini, le leggende, i miti e le metafore si fanno cronaca sul suolo di Auschwitz, dove si tramutarono in fumo persino i corpi della ninfa Aretusa e del cacciatore Alfeo! (rimando al mito greco di Alfeo e della ninfa Aretusa, Ndr).
Alla porta di quell’inferno (il lager, Ndr) c’è una scritta di colore bianco: "Il lavoro vi renderà liberi"; da quell’inferno è uscito il fumo nero del rogo di migliaia di donne che all’alba venivano spinte fuori dai loro alloggi (il poeta li definisce “canili”, Ndr) contro un muro per essere fucilate, oppure venivano soffocate dal gas che usciva dalle docce mentre le loro bocche scheletrite urlavano misericordia.
Quindi il poeta si rivolge a un interlocutore immaginario, un soldato, chiedendogli se mai ritroverà quelle donne uccise nel corso della sua vita trasformate in fiumi, in animali secondo un’antica leggenda. Ma forse, conclude il poeta, quel soldato è morto anch’egli nel rogo di Auschwitz.
Ciò che rimane adesso di Auschwitz sono lunghe trecce chiuse nelle urne di vetro, ancora ingioiellate di fermagli, piccole scarpe e sciarpe di ebrei.
Tutte queste cose sono reliquie di un tempo di saggezza, di sapienza, sono i miti dell’uomo che si misura con le armi, sono i cambiamenti della nostra epoca.
In quei luoghi, in cui l’amore e la compassione finirono, assieme alla pietà, sotto la pioggia, laggiù ad Auschwitz, esplode un categorico "no" di protesta.
Quel "no" che esplode nel cuore di ogni uomo è il rifiuto della morte che è stata sepolta da Auschwitz, un no per non dimenticare e per non ripetere quell’ammasso di morti che fuoriuscirono, sotto forma di cenere, dal fumo dei camini.
Auschwitz di Salvatore Quasimodo: analisi
Nel componimento, diviso in tre strofe con diversa struttura e versi liberi, il poeta si rivolge a un interlocutore chiamandolo "Amore". Mediante questo espediente Quasimodo sembra evocare l’unico sentimento che nell’inferno di Auschwitz è stato bandito.
Nella prima strofa il poeta evoca un paesaggio immobile, paralizzato da una pioggia di morte, che sembra parlare agli spettatori in un silenzio chiassoso.
La descrizione del campo di concentramento è impeccabile nella sua drammaticità: Quasimodo fa riferimento a un grigio scenario di morte, dal quale ogni elemento naturale e vitale è stato bandito. Neppure la pioggia purifica Auschwitz, perché sembra portare con sé il fumo funebre delle camere a gas.
Quasimodo usa quindi il “noi” quando afferma "la nostra sorte"“ e ancora udremo piangere” come a includersi, in prima persona, in quel sentimento di rabbia impotente suscitato dalla visione di Auschwitz. Il poeta sembra in qualche modo colpevolizzarsi, considerare la sua omertà, per non aver agito in alcun modo per fermare quello sterminio ingiustificato. Il suo sentimento di ribellione è in particolar modo evocato dalla parola "amore", inserita nella prima strofa del testo, l’interlocutore immaginario con il quale sembra voler espiare il suo sentimento di colpa.
Si aprono poi i cancelli di Auschwitz sovrastati da quella scritta bianca "Il lavoro rende liberi" che appare in netto contrasto con tutto il resto, soprattutto con il fumo nero di morte che un tempo usciva dai camini. Segue una descrizione raccapricciante delle donne morte fucilate, oppure soffocate nelle camere a gas mentre chiedevano misericordia. Restano solo le reliquie, le scarpe e le sciarpe che avevano vestito quei corpi.
Infine, il poeta allaccia queste visioni drammatiche a un sentimento di rabbia. Dal profondo del suo cuore ruggisce quel "no", che è un "no" alla morte di Auschwitz,
Un “no” deciso di ribellione, che invita a non replicare mai più fatti del genere, perché mai nella storia si possa replicare un tale abominio.
Salvatore Quasimodo evoca Auschwitz con la rabbia impotente di un uomo del suo tempo, che vedeva i campi di concentramento come una realtà drammaticamente vicina, che poteva e doveva essere evitata.
Il suo "no" perentorio vuole essere un ammonimento al lettore e alle generazioni future: per non dimenticare e perché tragedie del genere non accadano di nuovo nel corso della Storia. È un no alla morte che, come afferma il poeta è morta anch’essa ed è stata sepolta nell’inferno di Auschwitz.
Quel "no" è un monito perché non si ripeta più una delle più atroci ingiustizie commesse dall’uomo contro l’uomo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Auschwitz di Salvatore Quasimodo: parafrasi e analisi della poesia
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