Immagine di copertina Credits: Maciej Billewicz
Czeslaw Milosz, poeta polacco premio Nobel nel 1980, ha saputo trovare parole per descrivere persino il sentimento più sfuggente e impalpabile di tutti: la speranza. In una sua famosa lirica lui la paragona a “un giardino quando stai sulla soglia” con una metafora perfetta che restituisce il senso dell’attesa: non è necessario neppure fare un passo, perché il giardino è lì che ci attende e questa certezza è sufficiente.
L’intonazione nostalgica è una delle cifre stilistiche esemplari della poesia di Milosz, che appartiene indubbiamente alla categoria dei poeti in esilio: lui che si era separato non solo dalla propria terra ma da un intero continente.
Quando ricevette il premio Nobel per la letteratura nel 1980 tenne un discorso memorabile in cui ricordava il santo patrono dei poeti in esilio, Dante Alighieri:
Un santo patrono di tutti i poeti in esilio, che visita le loro città e province solo nel ricordo, è sempre Dante. Ma come è aumentato il numero di Firenze!
A Czeslaw Milosz il premio Nobel fu conferito in omaggio alla sua voce “lungimirante e senza compromessi che aveva esposto la condizione dell’uomo in un mondo di duri conflitti”. Le sue poesie erano poesie di lotta che infondevano coraggio nelle persone. Negli anni Ottanta gli operai giunsero a trascrivere i versi di Milosz ai piedi dei monumenti dedicati ai lavoratori uccisi dalla polizia di partito durante gli scioperi. Nelle sue opere il poeta polacco seppe riunire sentimento e ragione, emozione e intelletto, facendo della poesia un autentico baluardo di civiltà.
Scopriamo più nel dettaglio la vita e la poetica di Czeslaw Milosz, il poeta che si ribellò alla Storia.
Czeslaw Milosz: la vita
Czeslaw Milosz nacque il 30 giugno 1911 a Šeteniai, nell’attuale Lituania, all’epoca appartenente all’impero Russo. Trascorse l’infanzia e la prima adolescenza nella capitale, Vilnius, dove frequentò l’università.
Poco più che ventenne si distinse come il più originale rappresentante di un gruppo letterario d’avanguardia Grupa żagarów.
Nel 1930 fece il suo debutto ufficiale sulla scena letteraria con due volumetti di poesia. In seguito allo scoppio della Seconda guerra mondiale Milosz lavorò per la radio e per la stampa clandestina di Varsavia documentando con una cronaca attenta i mali i drammi che affliggevano la Polonia stretta nella morsa del conflitto.
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Ben presto il suo scetticismo nei confronti del socialismo e del potere di Mosca divenne scomodo. In seguito alla rottura con il partito comunista, Milosz chiese asilo politico in Francia: fatto che gli valse il famoso sberleffo di Pablo Neruda che lo definì “L’uomo che scappa” deridendo la sua fuga vigliacca. Dieci anni dopo Czeslaw Milosz sarebbe approdato negli Stati Uniti, sua patria d’elezione.
A partire dal 1958 insegnò letteratura polacca presso l’Università di Berkley, in California. Negli USA, terra della libertà, l’autore polacco poté dedicarsi finalmente alla scrittura alternando alla poesia la produzione saggistica.
Tra le sue opere principali tradotte in italiano ricordiamo Poema del tempo impietrito (1933) e Tre inverni (1936) e la sua raccolta più acclamata Salvezza (1946). Una raccolta completa delle sue liriche è stata pubblicata in Italia dalla casa editrice Adelphi sotto il titolo di Poesie.
Di notevole interesse la testimonianza La mente prigioniera (1953) in cui Milosz descrive la condizione degli intellettuali nelle democrazie popolari. Nel saggio l’autore spiegava il processo che può portare uno spirito libero a piegarsi alla pressione mentale di una ideologia che si pretende assoluta. Con quel saggio il poeta polacco levò la sua voce libera e consapevole, facendosi ambasciatore dei valori di una nuova Europa.
Czeslaw Milosz si spense all’età di novantatré anni, il 14 agosto 2004, a Cracovia. Era tornato in patria nell’ultimo periodo della sua vita, ponendo fine all’aspro esilio. La sua scomparsa creò un grande vuoto intellettuale, si disse che la morte di un uomo poteva essere paragonabile alla caduta di uno stato.
L’eredità di Czeslaw Milosz
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Negli anni Ottanta Milosz tenne ad Harvard la sua ultima lezione, ora raccolta nel libretto La testimonianza della poesia (Adelphi, 2013). In essa il poeta polacco s’interroga sul significato della speranza. Nel suo discorso l’autore non la definiva come una chimera folle, ma ribadiva l’importanza dell’umanità di fare tesoro di quel grande dono a lei concesso che è la “Memoria” unico strumento utile per affrontare il futuro. Czeslaw Milosz credeva nella forza della poesia come una luce, una speranza. Doveva essere una zattera capace di traghettare l’umanità verso l’avvenire. A questo proposito lui tenne fede per tutta la vita, persino nell’oscurità più buia degli anni di guerra del cosiddetto “Secolo breve”, non cedette mai alla poesia della disperazione, del lamento, del pianto fine a se stesso. Non voleva affermare il dubbio, l’amarezza, ma il primato della conoscenza. Per lui la poesia doveva essere luce e spiegare il significato della parola più sfuggente: la “speranza”.
Diceva che non voleva cantare per i morti. Persino sulle rovine di Varsavia compose dei versi d’amore, in omaggio a Shakespeare.
Lasciate ai poeti un istante di gioia
scrisse
o perirà il vostro mondo.
Il poeta russo Iosif Brodskij, altro esiliato e spatriato negli Stati Uniti anche lui premio Nobel per la Letteratura nel 1987, rese omaggio al grande autore polacco con delle parole bellissime. Affermò che le opere di Czeslaw Milosz hanno saputo insegnare all’umanità per “cosa vivere”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Czeslaw Milosz, il poeta polacco premio Nobel che affermò il valore della speranza
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