Tra le più belle poesie dedicate alla mamma, non possiamo dimenticare La madre, una poesia di Giuseppe Ungaretti contenuta nella raccolta Il sentimento del tempo (Vallecchi, Firenze, 1933).
Si tratta di un componimento che si discosta dai tratti caratteristici della poetica ungarettiana: presenta infatti versi in settenari ed endecasillabi, un periodare più articolato e complesso che sembra dimenticare la ricerca della “parola assoluta” e la “tecnica del frammento” che caratterizzano la scrittura dell’autore.
Ungaretti scrisse la poesia nel 1929, in seguito alla morte della cara madre, Maria Lunardini. La Madre apparve per la prima volta sul numero del 16 giugno 1929 della rivista “Italia Letteraria” e fu datata direttamente dal poeta: «Marino, 1929». Ungaretti in quel periodo si era trasferito nella provincia laziale, nel comune di Marino, e vi sarebbe rimasto fino al 1934.
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La madre viene spesso collocata nella fase di “ritorno all’ordine” della poetica ungarettiana che segna l’abbandono dello sperimentalismo ermetico e il riavvicinamento alla metrica classica. La lirica inoltre ci fornisce una preziosa testimonianza del riavvicinamento al cristianesimo di Ungaretti, l’elemento religioso è infatti predominante in questi versi.
Aldilà delle note critiche e dei vari punti di vista degli studiosi riguardo a tematiche e datazione, la poesia si presenta come un componimento struggente dal valore eterno: racconta il dialogo ultraterreno tra una madre e un figlio. I due sembrano ricongiungersi finalmente in una dimensione metafisica, oltre il confine tra morte e vita. Il loro commovente incontro pare ribadire quel legame viscerale, unico, totalizzante che lega una madre ai suoi figli, come un cordone ombelicale invisibile che non si spezza mai veramente e non conosce morte.
Il finale solenne poi riecheggerà a lungo nella mente di un lettore, perché in un solo folgorante verso Ungaretti è riuscito a racchiudere il significato e lo struggimento dell’attesa.
Scopriamo testo, parafrasi e analisi della poesia.
La madre di Giuseppe Ungaretti: testo
E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
La madre di Giuseppe Ungaretti: parafrasi
Quando l’ultimo battito del mio cuore avrà fatto cadere l’ostacolo terreno che ci separa per condurmi, Madre, davanti a Dio, tu mi darai la mano come quando ero bambino.
Sarai in ginocchio ferma e decisa come una statua davanti al Signore, come ti vedevo quando pregavi in vita.
Allora alzerai tremante le braccia, proprio come quando in punto di morte dicesti: “Eccomi, mio Dio”.
E solo quando il Signore mi avrà perdonato dalle mie colpe ti verrà di nuovo desiderio di guardarmi in viso.
Ricorderai di avermi aspettato tanto e nei tuoi occhi trapelerà il sollievo per avermi ritrovato e salvato.
La madre di Giuseppe Ungaretti: analisi
Nella poesia La madre Ungaretti si riappropria dello schema metrico tradizionale, dimenticando la frantumazione ritmica che aveva connotato la raccolta L’allegria. La lirica si compone di cinque strofe di endecasillabi e settenari alternati e inizia con un’anastrofe che vede l’inversione dei termini della frase: “E il cuore quando d’un ultimo battito”.
Il poeta immagina la propria morte segnata dall’ultimo battito del suo cuore, che scocca irreparabile come il rintocco della fine. Sarà quell’ultimo battito a far crollare infine la barriera che separa ogni uomo dall’aldilà.
Nel mondo ultraterreno Ungaretti immagina di ritrovare la madre Maria, che lo attende da lungo tempo. La presenza della madre, agli occhi del poeta, appare persino superiore a quella di Dio: è lei il vero giudice, lei che si rifiuta di guardarlo finché non avrà espiato le sue colpe. Ritorna quel sentimento infantile di quando non si vuole confessare al genitore una qualche marachella, e si cerca allora di nascondersi inutilmente pur sapendo che presto si sarà scoperti.
La mater pietosa e dolorosa di Ungaretti invoca il perdono di Dio non per se stessa, ma per il figlio: si comprende dunque il sentimento estremo che è l’amore di ogni madre che pone il benessere dei propri figli prima del proprio.
Il poeta ricorda la madre com’era in vita: una donna devota che pregava con convinzione, ferma e imperturbabile come una statua. Attraverso una successione di tre similitudini Ungaretti riannoda i fili tra passato e presente: il “come” riporta indietro nel tempo, scandendo frequenti flashback che rivedono l’autore bambino e la madre giovane e ancora vita. Ungaretti immagina di affidarsi alla donna con lo stesso abbandono della prima infanzia, di quando vedeva nella madre il “riflesso di Dio”. È il perdono della madre, e non quello divino, che infatti il poeta cerca.
Solo alla fine della preghiera - quando il Signore lo ha perdonato dalle sue colpe - ecco che la madre finalmente lo guarda in viso e pare riconoscerlo. È proprio quello sguardo assolutore che il poeta aveva atteso a lungo: sono gli occhi della madre che sembrano accoglierlo in morte come in vita, quegli stessi occhi che per primi l’avevano salutato nel suo venire al mondo.
Nella folgorazione dell’ultimo verso Ungaretti associa, in una perfetta sinestesia, lo sguardo della madre a un sospiro: in essi trapela il sollievo indicibile per aver salvato il figlio e averlo, infine, ritrovato per sempre.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
Quelle ultime parole dicono tutto, sono come il più tenero degli abbracci, il gesto d’amore più assoluto. Esprimono la forza inossidabile di un legame capace di andare oltre la vita, e persino ben oltre la morte.
Nel mondo terreno la madre ha atteso il figlio per nove mesi, portandolo nel suo grembo: una lunga attesa carica di immaginazione e di futuro che ha trovato compimento nel parto. E ora, nell’aldilà, ecco che quell’attesa si ripete: la madre attende di consegnare il frutto del suo grembo all’esistenza eterna.
Madre e figlio semplicemente si guardano negli occhi, in una dimensione ultraterrena, e il rapido riconoscimento dettato da quello sguardo dice la fine e l’inizio - e l’eternità di tutte le cose.
La madre di Giuseppe Ungaretti: figure retoriche
- Allitterazione: la ripetizione della consonante “r” sembra scandire la poesia dandole ritmo e nell’ultimo verso sembra ripetere il suono del sospiro “ricorderai/rapido/sospiro”;
- Anastrofe: nel primo verso vi è l’inversione dell’ordine naturale delle parole “E il cuore quando d’un ultimo battito”;
- Analogia: il “cuore” viene evocato come uno strumento demolitore, come il se il suo ultimo battito dovesse far crollare il muro: il “muro d’ombra” citato nel secondo verso è invece un riferimento all’aldilà;
- Similitudine: “come una volta mi darai la mano”; “come già ti vedeva”; “come quando spirasti”;
- Sinestesia: il solenne verso finale accosta due sfere sensoriali contrapposte “avrai negli occhi un rapido sospiro”, il sollievo viene percepito attraverso lo sguardo, la percezione visiva.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La madre”: la struggente poesia di Giuseppe Ungaretti dedicata alla madre Maria
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