In occasione dell’anniversario della nascita di Vincent Van Gogh, nato nella cittadina olandese di Groot Zundert il 30 marzo 1853, scopriamo un inedito ritratto dell’artista attraverso le sue lettere.
A svelarci il volto umano di Van Gogh, la mente che si cela dietro quelle pennellate variopinte e vorticose, è proprio la ricca corrispondenza che il pittore olandese intrattenne con il fratello Theo per quasi vent’anni.
Delle oltre ottocento lettere che ci sono pervenute di Van Gogh, seicentocinquantuno furono indirizzate al fratello, al quale l’artista scrisse in maniera costante, quasi ossessiva, dall’agosto 1872 fino al tragico 27 luglio 1890 quando il pittore tentò il suicidio sparandosi un colpo di rivoltella alla tempia.
Oggi le lettere di Van Gogh possono essere lette come un diario. Sono pagine dense, che riflettono l’interiorità tormentata di un genio assoluto e incompreso. Se è vero che il pittore olandese sapeva usare il pennello come una matita, scrivendo persino mentre dipingeva, è altrettanto corretto affermare che la scrittura epistolare accompagnò l’artista per tutto il corso della sua vita divenendo un’autentica sottotraccia dei suoi quadri.
Le parole sulla tela diventavano colori e si trasfondevano in emozioni, mentre sulla pagina scritta ardevano come braci rivelando una scottante interiorità che riverberava una sconfinata libertà creativa.
L’epistolario di Van Gogh
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Le lettere di Van Gogh sono ricche di schizzi, disegni a margine fatti con inchiostro o talvolta con lievi tocchi di acquerello. Scrittura e pittura erano per lui due gesti indissolubili e profondamente legati che portavano all’esterno, sulla pagina o sulla tela, la sua estrema sensibilità.
Van Gogh scrisse assiduamente al fratello Theo, suo amico e confidente, forse l’unico a comprendere in anticipo sul proprio tempo il talento geniale del pittore olandese. Theo non negò mai a Van Gogh il proprio sostegno morale e anche economico, finanziando di tasca propria i suoi dipinti.
L’amore e la devozione del fratello furono fondamentali nella vita del pittore, che soltanto al suo interlocutore prediletto confidava le proprie pene: il desiderio struggente di un amore corrisposto, il timore di non veder mai riconosciuto il proprio lavoro e, infine, il terrore dello spettro della follia. L’artista era infatti ben consapevole della malattia che lo incalzava, e lottò contro di essa strenuamente, come testimoniano i suoi scritti tormentati che rivelano il tentativo disperato di erigere una barriera, di creare un recinto protettivo attorno alla sua mente.
L’epistolario di Van Gogh ci mostra un’immagine diversa, per certi versi inedita, rispetto a quanto ci raccontano biografie, manuali di storia dell’arte e la cinematografia a lui dedicata. Il pittore olandese non è “l’artista maledetto e tormentato” divenuto ormai uno stereotipo del genio incompreso. Le lettere ci rivelano una personalità sfaccettata e complessa, ricca di sfumature come i suoi dipinti. La mente di Van Gogh era fine e sensibile, raramente preda di raptus o azioni sollecitate da un impeto improvviso: l’artista infatti non si gettava sulla tela dipingendo d’impulso, come ci viene spesso narrato in film e opere teatrali recenti.
Vincent Van Gogh: un ritratto in lettere
Prima che un pittore attento e accurato, Van Gogh era un fine pensatore. Leggeva Shakespeare e amava visitare i musei, la riflessione era un’arte che accompagnava sempre la sua produzione artistica. E le parole d’amore e riconoscenza destinate a Theo ci spalancano l’abisso della sua anima.
Scrivendo al fratello - dunque a un interlocutore reale - Vincent Van Gogh si è assicurato una fetta di immortalità che va ben oltre il lascito dei suoi dipinti.
Rimane una domanda di fondo, che talvolta viene suscitata dalla lettura di questi scritti così intimi e personali: Van Gogh scriveva a Theo, oppure a se stesso? Vedeva forse nel fratello Theo, cui lo legava una profonda somiglianza fisica, una doppia versione di sé?
Si avverte infatti, leggendo le parole dedicate al fratello, un rapporto di estrema simbiosi tra Vincent e Theo. L’artista considera addirittura Theo un co-artefice delle sue opere, a proposito dei suoi quadri dice: “Ti assicuro che tu li avrai creati quanto me: il fatto è che noi li fabbrichiamo in due.” Considerava il sostegno di Theo come una spinta fondamentale per la propria creatività, come la mano del fratello dipingesse accanto alla sua oppure guidasse i suoi gesti sull’ampia tela.
Le sue lettere sono anche il racconto di un’appassionata storia d’amore con l’arte. Riflettono un rapporto contraddittorio e infuocato fatto di liti, dibattiti e infine riconciliazioni con la pittura, sua unica sposa e amante.
Scopriamo ora alcuni estratti delle più belle lettere di Vincent Van Gogh destinate al fratello Theo.
Le più belle lettere di Van Gogh
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Settembre, 1872. Caro Theo, grazie della tua lettera, sono contento di sapere che sei arrivato bene. Mi sei mancato i primi giorni e mi sembrava strano tornare a casa di pomeriggio e non trovarti. Abbiamo passato dei bei giorni insieme, e tra una goccia e l’altra siamo riusciti a fare qualche passeggiata e a vedere varie cose. Che tempo orribile, sarai in ansia ad andare a piedi a Oisterwijk.
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Io sono un uomo passionale, portato a fare cose più o meno insensate, delle quali mi capita più o meno di pentirmi. Delle volte tendo a parlare o ad agire con un po’ troppa fretta, quando invece sarebbe meglio aspettare e portare pazienza.
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Autunno, 1882. Sento in me una tal forza creativa che sono sicuro verrà il giorno in cui sarò in grado di produrre regolarmente ogni giorno cose buone. Passo di rado una giornata senza far niente, ma ciò che faccio non è ancora quello che vorrei. Mi capita tuttavia di provare l’impressione che ben presto sarò in grado di creare opere remunerative, e non mi stupirei se questo accadesse da un giorno all’altro. In ogni caso, sento che la pittura ridesterà ancora, indirettamente, qualcosa in me.
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Settembre, 1888. Guardare le stelle mi fa sempre sognare, così come lo fanno i puntini neri che rappresentano le città e villaggi su una cartina. Perché, mi chiedo, i puntini luminosi del cielo non possono essere accessibili come quelli sulla cartina della Francia? Come prendiamo il treno per andare a Tarascona o a Rouen, così prendiamo la morte per raggiungere le stelle.
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Settembre, 1888. Tu sei buono verso i pittori e, sappilo bene, più ci rifletto, più sento che non vi è nulla di più realmente artistico dell’amare il prossimo. (...) Per il momento non trovo ancora i miei quadri abbastanza buoni, in rapporto ai vantaggi che ho avuto da te. Ma quando saranno abbastanza buoni, ti assicuro che tu li avrai creati quanto me: il fatto è che noi li fabbrichiamo in due.
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Aprile, 1889. In questi giorni, trasferendo i miei mobili, imballando le tele che spedirò, ero triste. Ma mi sembrava soprattutto triste il fatto che tutto questo mi fosse stato donato dalla tua amicizia fraterna e che tutti questi anni solo grazie a questa tua amicizia io abbia potuto sostenermi: mi è difficile esprimerti quello che sentivo. La bontà che tu hai avuto per me non è perduta, poiché tu l’hai avuta, questa resta, anche se i risultati materiali fossero nulli, questa resta anche a maggior ragione.
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Voglio fare dei disegni che riescano a ‘commuovere’ la gente. ‘Dolore’ è soltanto un inizio, e forse lo sono anche quei piccoli paesaggi come il ‘Laan van Meedervoort’, ‘Campi a Rijswijk’ e ‘Aia per seccare il pesce’. Almeno in quelli c’è qualcosa che mi viene direttamente dal cuore.
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Voglio dire che si capisce che cosa sia l’amore quando si è accanto al letto di un malato, magari senza un soldo in tasca. Non è come raccogliere fragole in primavera: quello dura soltanto pochi giorni e la maggior parte degli altri mesi sono grigi e tristi.
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E quando leggo (e a dire il vero non leggo molto: solo pochi autori che ho scoperto per caso), lo faccio perché gli autori vedono le cose in una prospettiva più vasta, più indulgente e più buona della mia, e perché conoscono meglio la realtà e io posso imparare da loro.
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Settembre, 1889. Sto lottando con un quadro cominciato alcuni giorni prima della mia ricaduta, un falciatore, lo studio è giallo, terribilmente impastato, ma lo spunto era bello e semplice. E allora ho visto in questo falciatore – vaga figura che lotta contro il demonio sotto il sole per venire a capo del suo lavoro –, ci ho visto l’immagine della morte, nel senso che l’umanità sarebbe il grano che si falcia. È quindi – volendo – l’antitesi di quel seminatore che avevo dipinto. Ma in questa morte nulla di triste, tutto succede in piena luce con un sole che inonda tutto in una luce di oro fino.
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Per quel che mi riguarda posso solo scegliere se essere un bravo o un cattivo pittore. E scelgo il primo. Ma le necessità della pittura sono come quelle di un’amante costosa. Non si può fare niente senza soldi e non se ne hanno mai abbastanza.
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Non posso cambiare il fatto che i miei quadri non vendano. Ma verrà il giorno in cui la gente riconoscerà che valgono più del valore dei colori usati nel quadro.
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Luglio, 1890. Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello quasi mi casca dalla mano; e, sapendo perfettamente ciò che volevo, ho ancora dipinto: tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la tristezza, l’estrema solitudine.
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27 luglio 1890. Ebbene, io nel mio lavoro ci rischio la vita, e ci ho perso per metà la mia ragione, e va bene così.
L’ultima lettera a Theo fu scritta da Van Gogh proprio il 27 luglio del 1890 il giorno in cui si sparò un colpo di rivoltella in un campo. Desiderava che la morte lo cogliesse subito, ma non fu così, in seguito agonizzante dirà di “non esserci riuscito”. Il grande pittore olandese morirà esattamente due giorni dopo, in una lenta agonia, spirando tra le braccia del fratello.
Dopo la sua morte, Theo scriverà una lettera alla sorella Lies, che oggi rappresenta un’importante testimonianza delle ultime ore del pittore olandese. Potremmo leggere questa lettera di Theo Van Gogh come l’epistola conclusiva del ricco carteggio che scandì il racconto di una vita geniale dal tragico finale.
Quando mi sono seduto sul suo letto e ho detto che avremmo cercato di guarirlo e che speravamo che gli sarebbe stata risparmiata questo tipo di disperazione, ha detto "La tristesse durera toujours" (La tristezza durerà per sempre, Ndr). Ho capito cosa voleva dire con quelle parole.
L’estrema comprensione umana che Theo provava per Vincent lo legò al fratello sino all’ultimo respiro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le più belle lettere di Vincent Van Gogh al fratello Theo
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