Il paesaggio naturale riveste un ruolo cruciale nelle narrazioni di Giovanni Verga, maggior esponente del Verismo.
La terra, il mare, il cielo, i campi ritornano come una costante nelle descrizioni di Verga, facendo da sfondo alle vicende dei protagonisti che sono per la maggior parte umili popolani, contadini, pescatori, i cosiddetti “Vinti” , tutti coloro che sono nati poveri o lo sono diventati, gli sfruttati, gli offesi, posti ai margini della vita e dell’intera società.
Ci sono momenti in cui la natura assume una forza attiva e distruttiva, come accade quando la furia del mare travolge la barca dei Malavoglia denominata Provvidenza, e altri in cui la natura fa semplicemente da sfondo passivo - ma non indifferente - alle vicende narrate.
Se ne I Malavoglia Verga decide di rinunciare consapevolmente “ad una maggiore evidenza di paesaggio”, nel secondo romanzo del ciclo dei Vinti Mastro Don Gesualdo (1889) l’autore sceglie invece di inserire ampie descrizioni paesaggistiche.
Ciò è particolarmente evidente in un brano di Mastro Don Gesualdo in cui Giovanni Verga descrive una idilliaca sera di giugno che sembra dipingersi da sé come un quadro, in una poetica sinestesia di emozioni, visioni e sensazioni. La descrizione precede un’intensa riflessione in cui il protagonista medita, con una soddisfazione mista a nostalgia, sulla sua nuova condizione sociale. Gesualdo infatti, dopo un passato come operaio al servizio dei nobili del paese, riesce lui stesso a elevarsi e diventare un uomo ricco e stimato acquistando quelle stesse terre dove un tempo faticava lavorando per i padroni.
Il paesaggio riflette dunque in modo significativo la nuova consapevolezza del protagonista, facendosi specchio della posizione privilegiata da lui conquistata al prezzo di tanto sforzo.
Ne riportiamo di seguito un estratto.
La sera di giugno descritta da Giovanni Verga
Egli uscì fuori a prendere il fresco. Si mise a sedere su di un covone, dietro all’uscio, colle spalle al muro, le mani penzolini tra le gambe. La luna doveva già essere alta nel cielo, dietro il monte, verso Francoforte.
Tutta la pianura di Passanitello, allo sbocco della valle, era illuminata da un chiarore d’alba.
A poco a poco al dilagar di quel chiarore, anche nella costa cominciarono a spuntare i covoni raccolti in mucchi, come tanti sassi posti in fila.
Degli altri punti neri si muovevano per la china, e a seconda del vento giungeva il suono grave e lontano dei campanacci che portava il bestiame grosso, mentre scendeva passo passo verso il torrente.
Di tratto in tratto soffiava pure qualche folata di venticello più fresco dalla parti di ponente e per tutta la lunghezza della valli udivasi lo stormire delle messi ancora in piedi. Nell’aia la bica alta e ancora scura sembrava coronata d’argento, e nell’ombra si accennavano confusamente altri covoni in mucchi; ruminava altro bestiame; un’altra striscia d’argento lunga si posava in cima al tetto del magazzino, che diventava immenso nel buio.
Il paesaggio naturale ne Il Mastro Don Gesualdo di Verga
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L’ambizioso progetto di quella che riteneva essere la sua “opera capitale” emerge in alcune lettere che Verga scrisse tra il 1878 e il 1880 in cui annunciava di aver in mente una nuova idea di romanzo. La scrittura di Mastro Don Gesualdo lo impegnò per ben nove anni. Nelle intenzioni dello scrittore siciliano ogni romanzo doveva avere un “carattere proprio” e dunque:
Lo stile, il colore, il disegno, tutte le proporzioni del quadro devono modificarsi gradatamente.
Già nella Prefazione ai Vinti, Giovanni Verga delinea il proprio disegno narrativo, rimarcando come Il Mastro Don Gesualdo debba essere improntato a una maggiore descrizione del paesaggio e della natura.
Dipingere il quadro coi colori adatti, in una parola da cima a fondo, nella parlata degli attori e nella descrizione delle scene com’essi le vedono, per vivere in loro e con loro. – Un contadino ad esempio della bella natura e del bel mattino non vede che quanto gli promette per la raccolta -.
Ciò che nel Mastro Don Gesualdo ho cercato di rendere mutando di tono a seconda dei personaggi e dell’ambiente.
Ricordiamo che Giovanni Verga era un grande appassionato di fotografia; amava cogliere i dettagli e immortalare l’aspra vastità del paesaggio siciliano. Questo occhio allenato, da fotografo, il grande autore lo trasferì nella sua scrittura con una continuità perfetta componendo quel che amava definire un “ritratto a penna”.
Il paesaggio naturale - come possiamo notare nel passo sopracitato - è quasi un alter ego di Mastro Don Gesualdo. La descrizione dello spazio assume anche valore simbolico, ma il principio dell’impersonalità della narrazione rimane comunque inalterato, anzi aiuta il lettore a percepire l’ambiente in modo più funzionale alla narrazione.
Nella descrizione paesaggistica Verga riproduce il dinamismo alternando sensazione visiva e sensazione uditiva, e infine sembra allontanarsi dal soggetto della narrazione con l’effetto di una macchina cinematografica che rallenta e si concentra sul dettaglio.
Quella descritta dunque non è più la natura aurea e mitica di Vita dei campi ma è una natura mostrata al lettore come luogo della fatica, ovvero come oggetto delle sue ambizioni di proprietà (la “Roba”, Ndr). I critici affermano che il paesaggio verghiano assume una sfumatura materialistica in Mastro Don Gesualdo, poiché la natura viene presentata al lettore come frutto della fatica dell’uomo e dei suoi sforzi. Quando guarda al tetto del magazzino il protagonista, in seguito, ricorda la sua fatica di “ragazzetto”, gli anni in cui era costretto a portare il carico di gesso dalla fornace di suo padre a Donferrante. Ora, adulto e realizzato, Mastro Don Gesualdo guarda invece a quel paesaggio con gli occhi obnubilati da un incanto effimero: la sera di giugno gli mostra i campi fertili e carichi di messi, l’abbondanza, che si traduce nella ricchezza finalmente conquistata. Non sa ancora, tuttavia, che pagherà a caro prezzo la sua ascesa sociale.
Nell’apparenza idilliaca della descrizione di una serata di giugno Giovanni Verga cela un intero mondo di significati, nasconde un dissidio interiore, con l’abilità stilistica propria dei grandi narratori che sanno far parlare persino il paesaggio naturale con un linguaggio umano.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La sera di giugno descritta da Giovanni Verga in Mastro Don Gesualdo
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