

Se Magenta, opera d’esordio che già prefigurava il suo talento visionario, era un’esplosione di visioni surreali e un’odissea femminile frammentata, con il nuovo testo di Laura Serluca, Sono stata via cent’anni, siamo di fronte a una voce poetica che si spinge ancora oltre, verso un’esperienza di totale immersione nella parola e nel suo mistero.
Un libro che conferma Laura Serluca come una delle voci più interessanti della poesia contemporanea, capace di trasformare l’atto poetico in un incantesimo, in una porta aperta su mondi sconosciuti e inesplorati
“Sono stata via cent’anni”: contenuto della silloge
Il titolo stesso suggerisce un’assenza lunga e sospesa, un’esplorazione in territori invisibili, quasi un viaggio oltre il tempo, in cui la voce poetica si fa medium tra realtà e sogno, tra mistica e carne. La silloge si nutre di frammenti di memoria, di paesaggi interiori dove la parola diventa formula magica, evocazione, rito. La presenza costante dei tarocchi, con le loro figure archetipiche e i loro significati esoterici, arricchisce ulteriormente la dimensione simbolica della raccolta, radicandola in una tradizione antica e universale.
Serluca compone versi che oscillano tra delicatezza e violenza, tra lirismo e cruda consapevolezza dell’esistenza. Le sue immagini sono cariche di una potenza evocativa che scompone e ricompone il reale, lasciando spazio all’interpretazione, al disorientamento, alla meraviglia. Il lettore si trova immerso in una scrittura che non concede punti d’appoggio, ma che invita a un viaggio vertiginoso dentro il linguaggio e il suo potere trasfigurante.
L’autrice gioca con una musicalità quasi ipnotica, alternando momenti di sospensione a fratture improvvise, come se ogni parola potesse aprire un varco tra dimensioni diverse. L’elemento naturale, le immagini della luna, delle radici, dell’acqua e delle stelle si intrecciano con il corpo, con il dolore e con la ricerca di un equilibrio sempre instabile, in perenne mutazione.
Sono stata via cent’anni non è solo una raccolta di poesie, ma un vero e proprio viaggio iniziatico, una testimonianza di rinascita attraverso la parola, dove la bellezza non è mai consolatoria, ma sempre perturbante.
Alcuni versi spiccano per la loro forza simbolica, come in La Luna sentinella, dove scrive:
Si siede su una voce / A spartirsi / Il faro e la zattera / E puntellare / libellule - la conchiglia a spiantare la Torre / addolora la terra che oscilla di nervi e polpa antica.
Qui la luna assume una funzione di guida e di testimone, un astro che osserva e riflette il movimento interiore della poetessa. Oppure nella poesia A precipitare fuori dal dolore troviamo un’immagine intensa della fragilità e della ricerca di significato:
una tagliola di corpi spaesa / titra campanule e trifogli / un battello / e una giumella d’acquanella dispensa / un sentiero d’infinito
L’intervista a Laura Serluca
- Il titolo della tua raccolta, "Sono stata via cent’anni", suggerisce un’assenza prolungata o un viaggio interiore. Cosa rappresenta per te questa lontananza?
In realtà, il titolo custodisce il mio concetto di tempo. Non un tempo lineare, ordinato, convenzionale, squadrato, ma un tempo scontroso, scoordinato, vitale perché estremamente emotivo. A un certo punto, la mia vita poetica è diventata “a-temporale”.
- Nell’introduzione parli della Poesia come di un luogo sacro e di un percorso complesso. Quali sono stati gli ostacoli più grandi e le rivelazioni più intense durante la scrittura di questo libro?
La Poesia non ha spiegazione. Questo è un ostacolo. A volte, è oscura anche per me. Non è semplice lavorare con le ombre. Mi piace pensare alla Poesia come “antiche memorie” mai scomparse dall’universo e che appartengono a una vita passata.
Questo libro mi ha avvicinato molto alla Natura, ai suoi ritmi, alla terra, alla semina, alla corteccia scorticata degli alberi, al Sole. Ho imparato a essere il mio centro. A lasciar andare. Proprio durante la scrittura di questo libro, in cui parlo di “fallire nei tempi” e “spaesarsi”, ho scoperto che l’occhio si muove da sé verso la Parola e viceversa. Entrambe creano un mondo che succede. È come saccheggiare altra vita.
- I tarocchi e il loro simbolismo hanno avuto un ruolo importante nella tua ispirazione. In che modo queste figure si intrecciano con i tuoi versi?
È stata una casualità. In quel periodo, ero molto incuriosita da Jodorowsky. Non solo dai suoi libri ma anche dalla sua produzione cinematografica. La Psicomagia ha avuto un grande ascendente su di me perchè è un atto poetico. È una forma d’arte guaritrice che si attua utilizzando la metafora e il linguaggio dei sogni. La lettura di La via dei Tarocchi mi ha permesso di conoscere il significato di “figure” che simbolizzavano le energie che avvertivo durante la scrittura.
- Alcuni tuoi componimenti evocano immagini di smarrimento e metamorfosi, come in "La Luna sentinella" o "Spaventosa è la madre sparsa". Che ruolo ha il cambiamento nella tua poetica?
“La Poesia è un dono fatto agli attenti, un dono che implica destino”. Questa frase di Paul Celan riesce a far emergere il mio concetto di Poesia. La mia poetica, invece, è volubile, variabile, cangiante. È abbastanza legata al mio lato infantile, artificioso e teatrale. La Parola diventa ricerca, sperimentazione, esplorazione. È una fortuna stupirsi ancora.
- Nella tua raccolta affronti anche il tema della giustizia, evocando l’arcano omonimo e riflettendo sulla violenza e sulla società. Pensi che la poesia possa essere un’arma contro l’ingiustizia?
È un discorso abbastanza complesso. Credo che l’Arte possa raccontarla. È in atto una “dis-umanizzazione”. In questo contesto sociale, dell’essere umano è rimasto ben poco. C’è una standardizzazione spaventosa dei modelli socio-culturali ed è difficile discostarsene, poiché ci vengono imposti dal web. La dissociazione tra realtà e virtuale che ha stravolto regole e codici comportamentali ha generato, in molti, derealizzazione e bestialità. Tuttavia, l’Arte ha la capacità di disturbare. Di impressionare. Di sovvertire. E deve farlo, anche quando sembra inutile.
- Nel tuo libro sembra esserci un dialogo tra dimensioni diverse: la realtà, il sogno, la visione onirica. Come costruisci questi passaggi? Ti lasci guidare dall’istinto o c’è un lavoro di cesellatura?
In realtà, io lavoro la Parola. L’istinto la rende musicale. Le lascia l’intimità. Il corpo della Parola, invece, è rappresentazione. È struttura. In quel caso, c’è un lavoro di scavo. Di sottrazione. Di trama.
- Rispetto a "Magenta", la tua prima opera, in cosa senti che la tua scrittura si è evoluta o trasformata?


Link affiliato
Magenta è una silloge che amo anche se - rileggendola - la trovo acerba e, al tempo stesso, tracimante di visioni meravigliose. In Sono stata via cent’anni c’è un’evoluzione, una rigenerazione, una miglioria. Credo che l’uso di figure simboliche mi abbia allontanato leggermente da quel lato barocco che contraddistingue la mia scrittura e - solo in alcuni passaggi - l’abbia resa sobria e frugale.
- Nel testo "Dicono dell’offertorio" parli di migranti e dell’abisso del mare. Quanto l’attualità entra nei tuoi versi e quanto, invece, preferisci lasciare spazio all’astrazione?
Il testo sull’immigrazione nasce da un fatto reale che mi sconcertò. Ad oggi, è raro che io parli di attualità nei miei versi. Preferisco ideare un microcosmo di bellezza nel quale il lettore viva in uno stato di sospensione.
- La tua poesia è spesso definita “sperimentale”, con immagini potenti e combinazioni linguistiche inedite. Ti senti vicina a qualche corrente poetica o segui una ricerca del tutto personale?
No. Si tratta di un mio percorso di ricerca personale. Ovviamente, mi affascina da sempre la lettura di poeti diversissimi tra loro. Da Sylvia Plath a Edoardo Sanguineti. Da Cristina Campo ad Antonia Pozzi. Da Marina Ivanovna Cvetaeva a Rilke.
- Nel finale della raccolta scrivi: “Ti chiedi se la realtà è forse sogno? Ora sul mio volto la Luna Indiana”. Quale messaggio vuoi lasciare al lettore alla fine di questo viaggio poetico?
La Poesia è un “rituale”, una” liturgia”, una “rinascita” per cui lascio sempre al lettore la libertà di interpretare la mia sensibilità poetica.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Laura Serluca, in libreria con “Sono stata via cent’anni”
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Poesia News Libri Ti presento i miei... libri
Lascia il tuo commento