1940: la guerra sulle Alpi occidentali
- Autore: Gianni Oliva
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
“L’ora delle decisioni irrevocabili… batte sui cieli della Patria”.
È la guerra, il 10 giugno 1940, ma se l’organizzazione, gli armamenti e i piani operativi del nostro esercito avessero avuto anche la minima coerenza col tono aggressivo di Mussolini dal balcone di via Venezia, avremmo conquistato qualcosa di più di qualche casamatta al confine francese. Di quella pagina della seconda guerra mondiale, atto iniziale per l’Italia, entrata nel conflitto a dieci mesi dall’inizio, il giornalista e saggista storico Gianni Oliva offre una lettura ricca di contenuti di approfondimento in un bel volume, 1940: la guerra sulle Alpi occidentali, pubblicato nel giugno 2020 dalle torinesi Edizioni del Capricorno (168 pagine), con una cura decisamente apprezzabile del dettaglio grafico, una valida impaginazione, tante immagini e cartine nel testo.
Si diceva “se” e i “se” sono stati tanti in quelle due settimane di guerra condotta blandamente. Uno, invece, lo possiamo scartare: se pure la nostra azione contro la Francia fosse stata risoluta, sarebbe stata sempre considerata dai francesi una “pugnalata alle spalle”. Un colpo vile, inferto a un avversario già piegato dalla blitzkrieg delle divisioni corazzate tedesche e degli Stukas, a un paese in difficoltà, invaso dal nemico storico dal Belgio e dalla Mosa, messo in ginocchio in poche settimane, pur potendo schierare alla vigilia uno degli eserciti più numerosi e rispettati al mondo.
Ma Mussolini, sebbene consapevole da tempo della nostra grave impreparazione – gli Alti Comandi stimavano che le tre Armi non sarebbero state pronte prima del 1942 – aveva bisogno di “qualche migliaio di morti” per sedere al tavolo delle trattative da belligerante. Non la ebbe, la pace, perché se i francesi firmarono la resa a Compiegne, gli inglesi tennero duro e il conflitto continuò a divampare. I morti invece non gli fecero difetto, purtroppo: oltre 1200 caduti e dispersi, in un’offensiva che non intendeva “offendere” in profondità. In aggiunta, ben 2150 e più congelati, a giugno, sia pure in montagna, a dimostrazione dell’inadeguatezza dell’equipaggiamento.
Metà delle scarpe fornite alle penne nere erano prive di chiodatura. Alla fine dei combattimenti, la maggior parte delle artiglierie pesanti si trovava ancora nelle retrovie, ad Alessandria e Piacenza, come i forni per la panificazione. Autisti non addestrati erano andati in crisi sulle strade impervie e intasate di traffico.
Il ministro Bottai, attestato in linea tra i richiamati, annotava che non era solo la penuria di grandi mezzi a colpire, ma un’incuria più minuta e desolante, che costringeva a ricorrere a espedienti, ripieghi e bugie. Autentiche frottole, da esercito di Pulcinella: alpini che non potevano stendere reticolati per la mancanza dei paletti, si sentivano rispondere dai superiori: dite lo stesso che li state mettendo.
Mancava un piano: Mussolini e lo Stato Maggiore pretendevano di attaccare la Francia muovendo da uno schieramento difensivo, visti gli ordini espliciti di mantenere quell’assetto. Si voleva fare la guerra, ma solo fino a un certo punto.
Il nemico, invece, la conduceva vera, quasi totale. Se ne accorsero gli abitanti di Torino e Genova, attaccate già la notte tra l’11 e il 12 giugno dai bombardieri inglesi: 17 morti e 45 feriti nel capoluogo piemontese, nessuno in quello ligure, perché le bombe dei Whitley caddero in mare, per un errore di puntamento. Fece più danni, 9 morti e 36 feriti, l’incursione della flotta francese tra Vado, Savona e la città della Lanterna, nelle prime ore del 14, disturbata coraggiosamente ma inutilmente dalla sola vecchia torpediniera Calatafimi, molto più debole degli incrociatori e cacciatorpediniere nemici.
Quando le ostilità cessarono, la notte del 25 giugno, erano caduti più civili italiani che combattenti francesi: 20 morti, 84 feriti il loro bilancio.
Oliva sottolinea che altri spunti sarebbero tanti, al di là dei limiti di fondo dell’impreparazione generale e dell’offensiva da schieramento difensivo. Una prima criticità, l’autorità poco chiara di comando: se il principe Umberto si confermava evanescente alla testa del Gruppo d’Armate e il maresciallo Graziani insisteva nell’aperto conflitto col gen. Soddu, i comandanti divisionali si dimostravano tesi ai successi personali e le interferenze da Roma proseguivano incessanti.
Altra lacuna di fondo, la mancanza di collaborazione tra le Armi. Esercito, Marina e Aviazione conducevano campagne autonome senza preoccuparsi di cooperare, nel timore che il coordinamento potesse comportare la subordinazione dell’una all’altra. Terza criticità, l’abbigliamento dei soldati quanto meno insufficiente. Quarta, l’armamento inadeguato: le artiglierie sarebbero andate bene per la Grande Guerra, ma nel 1940 il progresso tecnologico opponeva ostacoli molto meglio muniti (e tuttavia le corazzature del nostro Forte Chaberton vennero perforate facilmente dai proiettili francesi).
Qualche voce critica si levava, ma restavano più sfoghi che analisi. Achille Starace, già segretario del Partito Nazionale Fascista, lamentava con Ciano le inefficienze riscontrate al fronte: l’attacco sulle Alpi aveva dimostrato la totale impreparazione dell’esercito. Assoluta mancanza di mezzi offensivi, inadeguatezza completa dei comandi. Uomini mandati incontro a una morte inutile, due giorni prima dell’armistizio, con gli stessi sistemi di vent’anni prima.
“Se la guerra in Libia e in Etiopia sarà condotta in egual maniera, l’avvenire ci riserba molte amarezze”.
Oltre che fanatico del Duce, Starace è stato profetico.
1940: la guerra sulle Alpi occidentali
Amazon.it: 12,34 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: 1940: la guerra sulle Alpi occidentali
Lascia il tuo commento