‘A vita è gn’jocu sèriu
- Autore: Franca Cavallo
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2019
La poesia di Franca Cavallo ha il respiro della parola che con una apertura alare, pur conservando la freschezza della tradizione popolare animata dai valori del buon tempo antico, attraversa modernamente i temi della poetica novecentesca. Nel suo recente volume ‘A vita è gn’jocu sèriu (“La vita è un gioco serio”, Cige edizioni, Modica, 2019), i componimenti, tradotti in lingua, sono scritti nell’umoroso vernacolo della sua città: la bella Modica che diede i natali a Quasimodo, nota per il fascino paesaggistico la cui luminosità indora l’architettura barocca di palazzi e chiese, e già sede di Contea. Il dialetto nutre ogni fibra del suo essere e le dà voce per intessere uno struggente dialogo interiore.
Ecco allora che la poesia si fa scandaglio dell’intimità nelle cui profondità si celano misteri che solo occhi attenti intravedono. Non a caso la lirica d’apertura della silloge è affidata al mistero della poesia che, arrivando all’improvviso, chiede di giocare con parole che possono sanare ferite o rallegrare o scavare nell’anima. Le definisce il componimento Siemu sulu ‘i passàgghiu (“Siamo solo di passaggio”): “Paroli ardenti c’addùmaru ‘ a ciamma" (“Parole ardenti che hanno acceso una fiamma”), “Paroli ca trapàssunu ‘u pinzieru" (“Parole che oltrepassano il pensiero”), “Paroli ‘ncatinati a ‘ucca ‘i l’arma” (“Parole incatenate alla bocca dell’anima”).
Difatti, sono le parole, a dirla con Freud, gli ingredienti del gioco poetico:
“Anche il poeta fa quello che fa il bambino giocando: egli crea un mondo di fantasia, che prende molto sul serio; cioè, carica di forti importi d’affetto, pur distinguendolo nettamente dalla realtà. La lingua tedesca ha preservato l’affinità che sussiste fra gioco infantile e creazione poetica, indicando con la stessa parola i lavori teatrali ("Spiele’’), ossia quelle produzioni poetiche che richiedono un appoggio a oggetti tangibili e sono destinate a venir rappresentate, e i giochi ("Spiele’’)”.
Il percorso intrapreso è il viaggio della mente e del cuore verso la rivisitazione di sentimenti alla stessa stregua del minatore che, inabissandosi nell’ipogeo, dirozza le asperità per individuare il filone aureo. Cammino, dunque, per sentieri impervi accanto a scorci di paesaggi tipicamente nostrani. E la tensione profonda coincide con il desiderio che solo con la poesia religiosa fa scorgere uno spiraglio di luce nell’oscurità. L’anelito acuisce lo sguardo e si distende nel tessuto della temporalità. Non importa se la speranza si possa cogliere o meno nei suoi versi, perché ad avere valore è il modo con cui bisogna situarsi negli eventi: con quell’atteggiamento di dignità che fa consapevolmente accettare il corso delle cose per non disperdere la quotidianità nel totale disincanto.
Molte le poesie che fanno toccare con mano il ritmo della decadenza: per esempio, si manifesta nella vecchiaia (“‘N fuògghiu ri giurnali ‘mpannizzatu”, “Un foglio di giornale stropicciato”); e non è assente il richiamo ai mali del nostro tempo, quale il femminicidio posto in relazione al coraggio dell’essere donna (“Minti l’ali”, “Metti le ali”). La degenerazione dei costumi è un motivo costante e il degrado giunge da un divenire che dall’età dell’oro conduce a quella del piombo (“‘U pararisu, ‘nfiernu addivitau", “Il paradiso è diventato inferno”).
E in tutto questo il panta rei eracliteo sembra generarsi dallo snodarsi del male come storica sofferenza:
“Macari gn’juornu t’arrisbigghi / e sienti la lto vita vacanti e scunciuruta / ni dda valiggia ch’a’ inciutu ‘i nenti. // Macari gn’jorunu, fuorsi… ȃ muta ȃ muta. (“Magari un giorno ti svegli e senti / la tua vita vuota e sconclusionata / in quella valigia che hai riempito del nulla. // Magari, un giorno, forse… in silenzio”).
Basterebbero questi pochi accenni per orientare il lettore sul tipo di esperienza che Franca Cavallo fa cogliere nella sua poesia. Viene fuori l’essere umano con la sua vulnerabilità nella misteriosa tensione tra bene e male e può registrarsi una bivalenza tra il disagio e il bisogno di non soccombere, nonostante l’avanzare del negativo. Franca Cavallo lo respira, il male di vivere, e lo fa rifluire nell’andamento del verso talora recitativo che sarebbe piaciuto a Ignazio Buttitta e talvolta timbrato dall’essenzialità vocale. Armonioso il suo poetare, e per le anafore e per le allitterazioni che lo rendono vivacemente melodico. Con la sua poesia, ricca anche di suggestioni leopardiane, vuole destare in noi la coscienza dell’abisso per l’affermazione di un senso relazionale della vita.
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