Ablativo assoluto
- Autore: Roberto Carifi
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2021
Ciò che caratterizza principalmente il costrutto dell’ablativo assoluto è la sua totale indipendenza dalla proposizione principale, il suo essere “sciolto” dal contesto. Così ci insegnavano i professori impartendoci i primi, essenziali rudimenti della lingua latina.
Ablativo assoluto è il titolo della più recente raccolta di versi di Roberto Carifi (Pistoia 1948), quasi a indicare la volontà del testo di spiegare se stesso essenzialmente attraverso se stesso, in un monologo che trova all’interno della propria espressione le ragioni del suo esistere.
“Settanta celle scavate nel linguaggio, "rovina dichiarata a bassa voce", raccolta concava di "marmata preghiera", i versi si offrono qui salati, scarni, deposti. E percepiamo il clima, a un tempo gelido e rovente, implicato dal taglio della parola, dall’incandescenza del trauma e da una resa lampeggiante alla corporeità della preghiera”.
Così esordisce nella sua dottissima e ammirata postfazione Benedetta Silj, dando della produzione di Carifi un’interpretazione che, a partire dalla concretezza della sofferenza fisica, si innalza verso la rarefatta spiritualità della sua meditazione trascendente.
Roberto Carifi – poeta, critico letterario, traduttore e filosofo – si è accostato alla scrittura attraverso l’insegnamento del concittadino Piero Bigongiari e le esperienze dell’ermetismo fiorentino. Studioso di Rilke e Heidegger, nella maturità ha approfondito l’interesse per la psicanalisi e il buddhismo, in particolare dopo la dolorosa prova della malattia, che dal 2004 lo costringe alla semi-immobilità. Temi fondamentali della sua ricerca letteraria sono il ricordo dell’infanzia (rivissuta soprattutto attraverso il recupero della figura materna e della città natale), la rivelazione epifanica della bellezza, l’utopia di una verità raggiungibile, il raccoglimento silenzioso intorno ai temi della morte e della mancanza.
La madre, abbandonata dal padre quando Roberto aveva tre anni, è il principale referente emotivo all’interno della sfera degli affetti, nel rimpianto e nella pena:
"Guardo le giacche appese ai rami / mamma tu sai la guerra combattuta / come un salice spenzolo da un ponte, la notte sanguina nel tuo sonno / verso sud-nord / non ha importanza”; “Scese per me il tuo tramonto / fatto di pietra, mamma dove sei / in fondo ad un pozzo o nel Nirvana, / oggi mi esercito a morire / i corvi attendono me / o qualche altra cosa”.
La morte della madre si sovrappone a quella temuta del poeta – prostrato dal male, stanco e impaurito – e all’agonia di tutte le creature innocenti che animano terra, cielo, acque:
“Ora vorrei che mi portassi via, / dove c’è luce, / invece ci sono grotte, / cunicoli fangosi / lasciati alla mortalità”; “Nel mio povero letto / patisco le grotte, avvisaglie / del mio trapassare / cratere occhi cavati / presto si ammaleranno, / sarò tramutato in sasso”; “Mare scuro, pesci morti / gabbiano a strapiombo sopra una roccia, / stecchiti sopra il canale, / esistenza di piccoli passi / gli animali in fila / moriranno”.
Sollievo alla sofferenza è offerto dall’esercizio filosofico per raggiungere l’illuminazione interiore, appreso attraverso la pratica del buddhismo. Senza essere dei veri e propri haiku, molte poesie di Carifi riprendono temi e immagini dell’antica poesia sapienziale dell’Oriente, sulle orme dei suoi più noti maestri: Li Po, T’ao Ch’ien, Bashō, Ikkyū. Gli argomenti toccati dal poeta pistoiese sono l’abbandono alla dolcezza delle visioni naturali, l’esigenza etica di spogliazione dai beni materiali, l’esperienza del vuoto, l’imitazione della figura esemplare del monaco viandante, ricco solo della propria saggezza:
“Prega con un pezzo di pane / il santo è ricco / senza avere più niente, / prende la sua ciotola di riso / e va di casa in casa”; “La perfezione della primavera / quando fioriscono i ciliegi / e i flutti somigliano al mare / il monaco prega in un angolo / e piange per le cose del mondo / e sorride per la propria morte / quando le cose del mondo / saranno sparite e anche lui sarà / tutt’uno con i ciliegi”.
Formalmente i versi esprimono il gusto ribadito per la levità, il minimalismo espressivo, l’indifferenza a qualsiasi sperimentalismo linguistico: abbandonandosi invece al conforto carezzevole della ripetizione e alla giustapposizione di immagini per analogia. La parola, allora, assume la gentile vibrazione della preghiera, della litania monastica, dell’armonia celeste di pianeti e stelle.
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