All’ombra dei fiori di jacaranda
- Autore: Rosalba Perrotta
- Casa editrice: Salani
- Anno di pubblicazione: 2013
“Ero stata fortunata. Orfana a sei anni. Zoppa. Affidata a una zia assente e a una domestica bisbetica”.
Nella sonnolenta Sicilia degli anni Cinquanta/Sessanta che lentamente cercava di avviarsi verso il progresso sociale e la modernizzazione economica, la piccola Arabella scopriva con curiosità e interesse critico il nuovo mondo che la circondava. Sola a sei anni dopo l’incidente stradale nel quale erano morti i genitori e dove era rimasta menomata a una gamba, Arabella era capitata per caso nella villa della zia paterna Colomba, donna eccentrica “vedova, ricca e giramondo” un’autentica “Colomba viaggiatrice”. Mentre la zia girava il mondo, la magione situata ai piedi dell’Etna con vista sul mare da un lato e sul vulcano dall’altro, era custodita dalla factotum e custode continentale Caterina, profuga istriana dalla “faccia di oliva pallida” insieme a Ignazio, il giardiniere – chauffeur. Nella casa di Colomba Santavenera dei baroni di Poggiolicuti “la Santa Venera... Santa, si fa per dire!”, che aveva in giardino una pianta di jacaranda “piumosa e sventolante con i suoi fiori viola” regnava l’ordine, la cucina era “linda e fredda come un obitorio” ospitava un dipinto di Braque Natura morta con pesci. Le tante stanze chiuse che aspettavano pazienti il ritorno della padrona, ricchissima vedova di Ciccio Lanzafame ex manovale di bell’aspetto diventato miliardario grazie all’eredità di uno zio d’America (Francis Lanzafame, Re del tonno in scatola), si aprivano solo per le pulizie effettuate a turno con cadenza regolare. Ogni tanto arrivavano le cartoline della zia Colomba (“Colomba è colomba di nome ma non di fatto”) da Venezia con vista sul Canal Grande, dall’Egitto con il panorama delle Piramidi o dal Monte Bianco con le stelle alpine. Nella grande villa Arabella si sentiva sola e dimenticata, la sua stanza era il suo rifugio, per fortuna la piccola aveva fatto amicizia con la coetanea vicina di casa e compagna di scuola Annalisa, “amica amorevole e ribelle”. In occasione della festività di San Silvestro, il 31 dicembre 1950, la zia Colomba che amava imperversare come “un fulmine di guerra”, era tornata a casa. Durante la notte mentre Arabella dormiva, la villa aveva vissuto un’altra vita, dalla quale la bambina era stata esclusa, un’esistenza parallela dominata dalla verve della zia Colomba che amava dire “disssgusting” quando qualcosa la sconvolgeva particolarmente e che era definita in modo sprezzante dalla signora Lucrezia (nonna di Annalisa) “una sciòllera strafallària”. Ma ad Arabella la zia Colomba sembrava una regina, del resto l’eccentrica baronessa (“mio nonno di professione faceva il barone...”) come tutte le colombe aveva le penne impermeabili e come le pennute sue simili se ne volava lontano quando qualcosa disturbava la sua serenità.
“Quando la zia ripartiva come al solito nella villa la luce si spegneva e i pesci nel quadro di Braque riacquistavano la loro aria depressa”.
Nel 1956 anche per l’adolescente era giunto il momento di spiccare il volo, giacché come le aveva spiegato la zia Colomba “vedi Rirì, al giorno d’oggi bisogna lavorare”, mai avere vincoli “non ti sposare mai, Rirì”. Al collegio femminile Les Hirondelles la direttrice Madame Vivienne Ledrout, figlia di un industriale francese della birra, nella sua opera di insegnamento s’ispirava all’Emile di Jean Jacques Rousseau e agli ultimi esperimenti in fatto di educazione libertaria e creativa. Nel collegio s’incoraggiava la libera espressione delle giovani dell’alta società perché Madame Vivienne voleva creare coscienze capaci di mettere in discussione la società e di cambiarla.
”Fino a sei anni avevo avuto una madre e un padre speciali, e poi avevo incontrato Annalisa e Madame Ledrout. E mi trovavo in un collegio che apriva gli occhi alla cultura e al mondo. Sì, potevo considerarmi fortunata”.
L’autrice, che ha insegnato Sociologia presso la Facoltà di Scienze Politiche di Catania e ha pubblicato due romanzi e una raccolta di racconti, è siciliana come la sua protagonista, ha gli occhi azzurri, è figlia di un barone e anche lei possiede un albero di jacaranda in giardino. Con ironia, sagacia e sottile umorismo la penna di Rosalba Pirrotta ci parla di una Sicilia non solo stereotipata ma complessa e ricca di stimoli provenienti dall’eredità di diverse dominazioni straniere. Un’isola non più solamente chiusa alle novità del continente, ma una terra che vede nascere donne come Colomba o Arabella che forgiano da sole il loro percorso di vita. Zia e nipote non si adeguano allo status quo e forti delle loro rispettive personalità inseguono e trovano un nuovo modus vivendi. Arabella fugge dal mondo dei sogni cloud cuckoo land e da un ambiente dalla mentalità provinciale che la soffoca e nel quale non si riconosce, zia Colomba come la nipote viaggia perché il viaggio è metamorfosi e conoscenza.
“Rirì, voglio solo emozioni piacevoli, serenità e joie de vivre”.
Indimenticabile il ritratto che l’autrice fa di una donna anticonformista, anticipatrice e antesignana che evita gli eccessi cercando una sana ragionevolezza coltivando il gusto per le cose belle, la pace nei rapporti e una benevolenza diffusa e non impegnativa nei confronti del prossimo. Se la madre di Arabella prima di morire aveva insegnato alla propria bambina il gusto per la libertà, Madame Ledrout aveva impartito alla sua allieva il piacere di coltivare la mente, zia Colomba aveva insegnato alla sua nipotina “il valore dello svolazzamento” perché “sempre libera degg’io”. All’ombra dei fiori blu viola di jacaranda sotto i cui rami si può godere una piacevole frescura si completa l’educazione sentimentale e di vita di Arabella giovane in fiore nata negli anni Quaranta diventata donna nei primi anni Sessanta quando il cambiamento si sentiva nell’aria e il mondo era percorso da un brivido che gli scrollava di dosso un bel po’ di vecchiume.
“Ti ho aiutata a formarti una mente aperta, Rirì, ti ho insegnato il gusto per l’arte e la curiosità per la cultura”.
All'ombra dei fiori di jacaranda
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