Ardenza e perdimiento
- Autore: Raffaele Rizzo
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2014
Ardenza e përdimiento (Il punto Gutenberg, 2014) è una raccolta di poesie di Raffaele Rizzo, artista napoletano impegnato in molteplici arti, dove spiccano la poesia e il teatro, scritte in occasione di una serata al Maschio Angioino, nella quale si celebrava l’evento “Partenope e il suo eros”, dedicato alla poesia in lingua napoletana. La prefazione di Vincenzo Villarosa ci introduce abilmente all’interno di questo movimento poetico creato dall’artista nel quale spiccano immediatamente due contrasti: l’immaginazione contro le certezze e l’ironia contro la realtà, quell’ironia che lo stesso Villarosa definisce “malincomica” quasi a volerne sottolineare la vivacità che però resta irrimediabilmente incastrata in una coscienza e consapevolezza nostalgica.
Il percorso poetico non si compone soltanto di versi squisitamente partenopei e dedicati all’eros e alle forme dell’amore vissuto e consumato ma si espande, cercando volontariamente un incontro paradossale con nuove forme letterarie, appartenenti ad altre culture e tradizioni.
Così leggeremo di poesie che si avvicinano a quelle giapponesi, nella forma e nel contenuto, stilisticamente definite Haiku. Ci sorprenderemo conoscendo i Limerick, ossia componimenti di origine irlandese per poi finire, gustando brevi e coincise Greguerias, altrimenti detti aforismi inventati dal poeta Ramon Gomez de la Serna.
Raffaele Rizzo s’immerge in un contenuto poetico che proviene da altri mondi, da altre storie, che ha altre qualità e dimostra di non esserne spaventato, bensì profondamente attratto a tal punto da rendere omaggio a se stesso e a ciò di cui va celebrando nella sua arte, addomesticando queste nuove forme stilistiche con la lingua napoletana. Ne evidenzia caparbiamente la plasticità e la capacità di adattamento che rende il napoletano un idioma universale.
La poesia sulla quale è doveroso concentrarsi è A përdimiento, nella quale emerge l’aspetto più serio ma al contempo più giocoso dell’animo poetico. Una volontà intrinseca di vivere al di sopra di tutto e tutti quella carnalità tanto vivida e presente contrastandola perennemente con il desiderio di qualcos’altro.
In questi versi si coglie drasticamente l’invito carnale dell’eros nel quale si fondono indistintamente bellezza e tormento, accondiscendenza e perdimiento. L’eros è lotta contro e per il piacere stesso, per abbassarne la soglia o innalzarla alle stelle. Ma è proprio quando le anime dei corpi sono più vicine che esplode silenziosa la malinconia, quel senso di feroce passione e di atroce perdita che coglie, proprio in quella voglia che non passa, la sua maledizione.
“Mo int’a ll’uocchie te passa n’ombra ‘e malinconia.
Ma già se fa chiù allera, sta mana, mman’ ê mmie.”
Ombra e malinconia, trasognanti nelle atmosfere emozionali si fanno rinchiudere, fino a quando il sentimento dell’amore non consola quella mano solitaria e l’accoglie tra le mani dell’amante che protegge e rassicura ciò che l’eros spezza per renderlo costantemente sull’orlo della perdita.
Questa poesia mi ha ricordato Luis Cernuda, poeta spagnolo, vissuto nei primi anni del novecento. Anima incompresa, esprimeva nella sua arte poetica un dissidio interiore ed una forza fatta di passione e di carne che soffriva racchiusa in un’unica parola: desiderio. Per Cernuda il desiderio è cupo, angusto, malinconico. Un desiderio è una domanda che perennemente si ripete, per la quale non esiste una risposta. Il desiderio non trova pace, si avvicenda e si propende verso i corpi degli amanti, è folle ed intimidatorio, rincorre e vuole essere rincorso.
“No decía palabras,acercaba tan sólo un cuerpo interrogante,porque ignoraba que el deseo es una preguntacuya respuesta no existe,una hoja cuya rama no existe,un mundo cuyo cielo no existe. ”
Nei versi di Raffele Rizzo esistono spazi vitali, attimi fisici fatti di bocche, baci, pelle e vene. Le parole veraci s’insinuano tra le curve delle lettere scritte, proiettando immagini leggere ma definite. Corpi chiari che si agganciano come fossero arte visiva che placa il proprio tormento e le proprie emozioni sciogliendosi in versi terreni e carnali, provati ed amati, amanti di quella vita di cui diventano indomiti messaggeri. Dolcezza e freschezza accarezzano le atmosfere di questi incontri senza pudore e graziosamente nascosti come lo sono gli angoli dei corpi sussurrati che riecheggiano e richiamano.
L’incursione poetica si pavoneggia di uno stile rumoroso come lo è la lingua napoletana, che tinteggia versi erotici accompagnandoli costantemente con quel tocco di divertente armonia. Una sinfonia che abbraccia il pensiero del poeta rivolto giorno e notte alla sua amata. Il suo sguardo perduto nella sua bellezza dirompente di femmina che nuda come una Venere, esce dalla doccia e nell’acqua sboccia. Una figlia del mare, emblema del peccato e della stessa madre poetica. Ella è ancor il premio che infuoca eternamente il desiderio dell’uomo che nei suoi sigilli amorosi la canta, instancabile e fedele amante. La venera nella sua essenza di femminilità carnosa: “Sti ccosce tonna e belle”, baciando in modo irriverente la sua bocca rossa.
Tra esperimenti poetici e stilistici, fusione di forme artistiche e linguistiche, la visione di Raffaele Rizzo arriva in un unico e imprescindibile modo agli avventori del suo mondo: in quella lingua che, seppur intrepida e vogliosa di voler sperimentare nuove realtà da domare, rimane sempre la lingua della poesia, la stessa che ama parlare direttamente all’anima degli uomini, la stessa che coglie i significati nascosti delle cose e li riporta nell’unico modo che conosce: l’emozione.
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