Bacon a Mosca
- Autore: James Birch
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Casa editrice: E/O
- Anno di pubblicazione: 2022
Luminoso, ironico e struggente il volume di James Birch (scritto con Michael Hodges), Bacon a Mosca (edizioni e/o, 2022, traduzione di Tiziana Lo Porto).
Brindiamo che il dolore che dovremo sopportare sia quanto le gocce che resteranno nel bicchiere.
Sono parole tratte da un brindisi tradizionale armeno: prima che il virus del globalismo contagiasse il pianeta, pare che l’augurio andasse forte tra i paesi dell’ex Unione Sovietica. Il motto la dice lunga sullo specifico ontologico e la tempra d’acciaio prerogativa di quelle sterminate latitudini e dei popoli che vi abita(va)no. Un pregiudizio funzionale alla demonizzazione del mondo sovietico ha svilito l’URSS riducendola alle esclusive coordinate delle “file per il pane”, delle “purghe staliniane”, delle “vite degli altri” (nel senso delle vite spiate degli altri), dell’invasione di Varsavia e dell’Ungheria, trascurandone di contro il gigantismo culturale, lo spessore ideale, persino la poetica, intrinseche a una vita quotidiana ostinatamente resistente, finché ha potuto, alle sirene del Capitale.
A pagina 49 del libro c’è un passaggio, tra i tanti, che mi sembra rappresentativo del pragmatismo sognante e pro-attivo al contempo, specifico del popolo russo.
“James” ha dichiarato, “questi sono alcuni dei libri che devi leggere”.
Ho guardato la lista. Guerra e pace, Anna Karerina, L’idiota, Il placido Don, Il Maestro e Margherita, Un eroe dei nostri tempi, I fratelli Karamazov, Delitto e castigo, e così via.
“Non sono letture molto leggere, Elena”.
“La vita non è molto leggera James. In Inghilterra tutto è uno scherzo. In Russia non possiamo ridere sempre. Le cose sono molto difficili qui. Abbiamo imparato a vivere con poco (…) Noi siamo più reali di voi” ha continuato. “A volte non ci sono nemmeno le medicine. Se mi ammalo, so curarmi con le erbe, conosco i metodi tradizionali, so anche pesarmi mettendomi un pezzo di spago intorno alla vita e so fare le uova sode senza tenere il tempo”. Diceva tutto questo con un orgoglio feroce, quasi rabbioso, e io ne ero affascinato e incuriosito.
Prima di sottomettersi agli oligarchi del capitalismo (e conseguentemente condannandosi alla dissoluzione) l’URSS è stata un altro pianeta, alternativo alle coordinate del resto del pianeta consumista.
James Birch è tutt’oggi un assiduo frequentatore di mercati d’arte, saudade russa e alterità: nel suo libro racconta come gli riuscì di allestire una mostra di Francis Bacon nella Mosca delle glasnost e della perestrojka. Quoziente di difficoltà altissimo: da un lato il genio oscuro del surrealista britannico (Bacon), dall’altro la diffidenza e il tour de force burocratico imposto dalla nomenclatura sovietica, estremo retaggio di un mondo moribondo, colpito dalla fame senza più il collante dell’ideale comunista.
“Vogliamo il bacon, non Francis Bacon” scrive un anonimo visitatore nel registro della mostra.
Bacon a Mosca ha un fascino innegabile: non soltanto in quanto dettagliato reportage artistico, ma anche in quanto sguardo onesto fissato su una Russia che non esiste più. Il discorso politico sfiorato senza posizionamenti o pregiudiziali, il linguaggio dell’arte introdotto come il solo capace di ricomporre la dialettica Oriente/Occidente.
James Birch e lo scrittore Michael Hodges riescono, insomma, nella non facile impresa di trasformare un tema specialistico in una storia ad ampio raggio che nella Mosca sorvegliatissima del 1986 assume quasi le dimensioni del thriller (ce la farà il giovane gallerista a spuntarla tra la folla di personaggi sfuggenti, e nel contempo dotati di un fascino tutto loro?), e del campo lungo antropologico.
In questo contesto troviamo comuni guidatori che per una manciata di sigarette ti accompagnano fino in albergo, dacie inaspettatamente abitate da abili gestori del potere, retaggi sessisti di propagandismo culturale, un underground artistico (e non solo) che apre finalmente alla sperimentazione.
La nostra società ha sempre temuto i surrealisti, per la loro grande capacità di penetrare nelle profondità di tutto. Adesso abbiamo smesso di temerli.
Troviamo anche donne di cuori belle ed enigmatiche come Elena (l’interlocutrice del dialogo precedente), che col suo dire e non dire chissà se la racconta proprio tutta.
Alla fine la mostra viene realizzata in assenza di Francis Bacon, affetto da una severa malattia asmatica che gli impedisce di partecipare all’evento.
È il 22 settembre 1988, il Muro di Berlino cadrà poco più di un anno dopo, la Russia sovietica dopo tre anni. Bacon sopravvive a entrambi (il muro e l’URSS) soltanto un anno. L’artista occidentale che grazie alla tenacia di James Birch riesce a perturbare i russi, ponendo senza alcuna malagrazia una simbolica pietra tombale sulla grafica di propaganda benedetta dal partito, muore il 28 aprile del 1992.
Si tratta quasi di un passaggio simbolico, il segno del nuovo artistico che avanza mentre in politica la vasta ombra del globalismo fa indietreggiare il mondo.
Bacon a Mosca
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