Bestie
- Autore: Dizz Tate
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2023
Bestie di Dizz Tate (Neri Pozza, 2023, trad. di Annalisa Di Liddo) è un romanzo folgorante, corale e sperimentale, di cui forse si è parlato troppo poco. Inizia come il migliore dei thriller americani, con la scomparsa improvvisa di una ragazzina di buona famiglia; ma ben presto ci immerge in una narrazione di tutt’altro genere, labirintica e ipnotica, il cui scopo non è tanto il venire a capo del mistero ma dischiuderne molti altri, forse ancor più insondabili.
La narrazione è plurale - e si apre a un esperimento narrativo molto interessante - il punto di vista è quello di un gruppo di sei ragazzine adolescenti che, come spesso accade a quell’età, formano un’unità compatta, indivisibile, capace di muoversi in simbiosi come un unico corpo e una sola mente pensante.
Questo insolito narratore onnisciente e multiforme, che parla attraverso il “noi”, sente tutto e vede tutto quanto accade nella cittadina di Falls Landing, in Florida, sulla quale piove un sole cocente che annebbia i contorni del mondo. Un luogo come tanti nella provincia americana, sperduto e desolato, dove l’unico punto di ritrovo sembra essere un grande centro commerciale nel quale trascorrere i pomeriggi e i weekend, magari nella speranza di vincere un concorso per “giovani talenti”, chiamato non a caso “Star Search”, che ti premia con un bel biglietto aereo per fuggire via e finalmente volare lontano.
La segreta speranza delle ragazze, immerse in un sentimento di noia e insoddisfazione continua per cui “ogni felicità conteneva in sé il suo stesso sfacelo”, è proprio riposta in “Star Search”. Lo era anche quella di Sammy Liu-Lou, la ragazza scomparsa.
La domanda “Dov’è?” apre la storia, come uno squarcio, ma l’abilità dell’autrice risiede proprio nella capacità di non darci una vera risposta. Non è il destino di Sammy, la figlia del predicatore di Falls Landing, il fulcro di Bestie, non è quella la trama del romanzo di Tate, benché il principio della storia possa trarre in inganno il lettore.
Leggiamo avidamente mossi dal desiderio di scoprire che fine abbia fatto Sammy, ma ben presto, quasi senza rendercene conto, ci ritroviamo immersi in un’altra storia, anzi in altre storie, paludose come l’acqua del lago che rappresenta il vero mistero o, forse sarebbe meglio dire, la metafora del mistero. La domanda martellante “Dov’è? Dov’è?” già a metà libro si conclude con un’affermazione perentoria che poi sfuma nell’irrisolto:
Noi sappiamo dov’è, ovvio. Noi sappiamo sempre dov’è Sammy.
Dopo questa inattesa cesura si aprono una serie di capitoli conturbanti, narrati ciascuno dal punto di vista in prima persona di una delle ragazze del gruppo: Hazel, Lea, Britney, Isabel, Jody e Christian. Ciascun capitolo è a sé stante e si spezza all’improvviso come un respiro, narrando un destino incompiuto. Ora non hanno più tredici anni, ma ognuna di loro conserva dentro di sé il bozzolo della ragazzina che è stata con il proprio bagaglio di paure, insicurezze, inquietudini e i vuoti d’amore incolmabili che derivano dall’essere state poco amate o amate troppo. Sono adulte spezzate, adulte imperfette.
In alcune storie il soprannaturale sembra prendere il sopravvento in una sorta di realismo magico, mostrandoci l’abilità narrativa di Dizz Tate nel creare atmosfere in bilico tra sogno e realtà, oniriche e al contempo tangibili: non sappiamo più distinguere il confine tra realtà e visione, almeno finché un colpo di scena trasforma l’incubo in un volto nitido e paralizzante. Parallelamente si svolge la storia del passato - le ricerche di Sammy - che sembrano giungere a un punto morto, malgrado il cerchio dei sospettati si faccia più stringente dopo alcune rivelazioni legate a Star Search e al mondo, decisamente poco dorato e luminoso, che circonda il reality. Tutti appaiono sospetti e al contempo nessuno lo è: la scrittura di Dizz Tate si muove sul filo di questa ambiguità costante, incede in equilibrio precario, a tratti scivoloso, facendo sprofondare il lettore nelle proprie voragini di significato.
Il meccanismo del reality è attrattivo per le ragazzine, devastate dalla noia della vita di provincia, poiché fa leva, a ben vedere, su un desiderio molto umano: il sogno di essere qualcuno, di sentirsi speciali, di essere visti, adulati, di emergere, per un istante, dalla ripetizione usurata, dalla palude della propria esistenza. A una lettura più attenta ci rendiamo conto che l’autrice non ci sta raccontando un mistero né tantomeno la storia di una ragazzina scomparsa; ci sta narrando dei sentimenti, che sono fatti della materia torbida e vischiosa di cui sono fatte le cose umane. Paura, rabbia, tristezza sono le vere matrici narrative di Bestie, a partire dal titolo: è la parola con cui le madri chiamano le figlie quando vogliono rimproverarle “siete delle bestie” dicono loro, in un tono molto poco materno. Forse siamo stati tutti “bestie” nell’adolescenza, esseri a metà tra il bambino e l’adulto, un groviglio di pensieri e di malesseri, acerbi come un frutto nato fuori stagione, sostanzialmente impreparati a vivere, ma con la voglia di urlare al mondo la nostra esistenza, di ribellarci a tutti, persino a Dio.
La scrittura di Dizz Tate traduce questa tensione e la rende viva attraverso un thriller psichedelico che, a tratti, sfuma nel noir. L’inquietudine delle ragazze si riflette nell’ambiente ostile e inospitale che le circonda: un’America putrida e languente, fatta di caos e di disordine, di cestini della spazzatura traboccanti di rifiuti e plastica che si cuoce al sole emanando un odore nauseante. Questo è il territorio oscuro dove si muovono le protagoniste, a piedi nudi, incuranti di lasciare tracce poiché, in fondo, non hanno proprie niente da nascondere.
È una storia di innocenza insidiata, come lo sono in fondo tutte le storie adolescenziali poiché l’abbandono della terra dell’infanzia non è mai indolore. Il vero segreto - il mistero che sta racchiuso nel cuore del libro - sono le ipocrisie, i vizi e le sottili e silenziose meschinità praticate dagli adulti.
La progressiva presa di coscienza delle ragazze, strappate per sempre al paradiso perduto dell’infanzia, culmina infine in un grido di rivolta:
Certe volte il mondo merita di bruciare.
La rabbia del finale - ben espressa attraverso la metafora del fuoco - traduce il sentimento stesso che governa l’adolescenza.
No, non ci vengono date risposte, ogni certezza è destinata a sprofondare nell’acqua melmosa del lago. Dizz Tate ipnotizza il lettore con una scrittura magnetica, dalle sfumature noir, che ci narra le contraddizioni dell’adolescenza e le lacerazioni insanabili che ci portiamo dietro, come una mancanza e un vuoto impossibile da colmare o una ferita aperta, anche in età adulta.
Bestie
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