Briccole
- Autore: Salvatore Risuglia
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2023
Salvatore Risuglia è medico anestesista, oltre che poeta di qualità; ha ricevuto numerosi premi per le sue raccolte poetiche e apprezzamenti lusinghieri da Diego Valeri e Paolo Ruffilli.
La sua ultima opera Briccole (Samuele Editore, pp.102, 2023), prefazione di Federico Migliorati, è un florilegio di contraddizioni, una continua contrapposizione tra tesi e antitesi, che tengono desto il lettore in attesa di una sintesi: abbiamo un omaggio alla speranza e versi sulla disperanza; anelito di immortalità, vita trascendente la materia (tema fortemente sentito anche data la professione dell’autore, così a contatto con la morte) e necessità di annullamento, dimenticanza, sonno come i morti di Spoon River sulla collina; sensazione di inanità delle parole insufficienti a dire la vita, senza ossa né carne, e la loro riabilitazione, fino all’affermazione che il poeta stesso diventa parola.
Infatti la parola per tradizione è luce e fuoco, verbo creatore, è Io.
Le “briccole” sono strutture marinare, date da due legni uniti (oggi possono essere di acciaio), che spuntano lungo le zone costiere per avvisare i naviganti circa la profondità del fondale. In quella zona non ci si incaglia. Bella metafora realistica, abbiamo l’avviso ai naviganti che siamo, per non vivere prigionieri.
Tutta la poesia di Risuglia, oltre che lirica e spesso rimata, ha una forte coloritura e spessore sostanziale: di uccelli, profumo di pino nero, foglie, germogli di ginestre, osservate mestamente soltanto dalla finestra in tempo di distanziamento e segregazione-lockdown.
Ma il visibile non basta, egli afferma:
cercavo l’infinito / nel finito del mare.
La donna è una presenza profonda e silenziosa. Toccante la lirica alla madre “in memoriam”, una visita di lei, immaginata e sentita accanto, conturbante, che non ritrova più le sue cose e va via insoddisfatta. La perdita è irreparabile.
Il disincanto si fa acuto:
viviamo / tutte vite indifferenti, senza passioni, / vite che non lasciano tracce nel cammino, / vite mute e assenti, mentre l’autunno / da balza a balza incede, rotola, rovina.
Per cui invoca una liberazione dal contingente e dalla lagnusìa, termine siciliano per indicare l’atteggiamento rinunciatario dell’inerzia e dell’ignavia:
mutai allora / in concretezze le parole, le più / belle e immense: speranza, anima, / Dio, amore, destino, libertà, pietà, / fede (che fossero brìccole alla vita!) / e nascosi il mio passato nelle parole / nostalgia e ricordo, finché io stesso / diventai parola.
È forte il sentimento di colpa per non aver amato abbastanza, tanto che il poeta sente di dover resuscitare l’antico mito egiziano della “psicostasia”, secondo la quale la dea della giustizia Maat, di fronte a Osiride, pesa il cuore del trapassato, ponendolo su un piatto della bilancia mentre nell’altro piatto è posta una piuma: se il cuore è leggero quanto la piuma, ossia puro, l’anima godrà dell’immortalità, diversamente un mostro con volto di coccodrillo, chiamato Ammit, la divorerà.
Il senso morale è altissimo.
Dicevo delle contraddizioni. Ebbene, dimenticato il passato e sbarazzatosi della preoccupazione del futuro, l’autore trova la loro sintesi nella pienezza dell’attimo presente, che suscita un riso irrefrenabile, lo stesso riso degli dei eterni. È la vitalità dionisiaca, il “riso della verità” di Zarathustra in Nietzsche, il riso della festa rinascimentale di chi vuol esser lieto sia, a fronte di ogni debolezza:
Un tempo fummo guerrieri indomiti; / avevamo il senso di ogni assillo, / la soluzione giusta ai problemi, / e anche nel più buio dei luoghi / trovammo la luce per andare avanti / verso le ambite mete. Scoprimmo / poi che siamo vulnerabili e pavidi, / allora si cominciò a ridere di lena / e ardore. E quel riso non finiva mai.
Briccole
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