C’era una volta Italia ‘90. Brevi favole per notti magiche
- Autore: Non disponibile
- Genere: Sport
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Notti magiche: quanto abbiamo atteso il Mondiale di calcio in Italia e quanto si è consumato in fretta, con tanto rimpianto per i colori azzurri. Ci guardiamo indietro e ci accorgiamo che sono trascorsi trent’anni da quella calda estate italiana. È tempo di ricordi, proposti da una banda di calciofili nostalgici, addetti ai lavori a vario titolo, complici più che autori di C’era una volta Italia ‘90. Brevi favole per notti magiche, un libretto pubblicato dall’Editoriale Jouvence a giugno 2020 (160 pagine), con la prefazione di Giorgio Terruzzi, l’introduzione di Massimo Milella e i disegni di Vito Manolo Roma, illustratore, designer e ricercatore in campo psichedelico.
Raccoglie una cinquantina di storie brevi di protagonisti di quell’avventura sportiva, oltre al tabellino degli incontri e un breve glossario dei termini. Più che storie, favole che cominciano quasi tutte con “C’era una volta” e sono dedicate ognuna a un calciatore o allenatore, con testo in pagina pari e figurina stile Panini disegnata da Roma a tutta dispari a fianco.
Le “fiabe” sono opera di un trio di malati di calcio, accomunati dalla collaborazione al sito-blog “Mausoleo del pallone” www.valderrama.it, che venera la sfera già di cuoio come una divinità con cento e più gambe e piedi. Le mani non c’entrano, perché gli arbitri non potrebbero che fischiare, decretando magari una sacrosanta espulsione. Si può comprendere, così, il loro modo di concepire lo sport più amato dagli italiani e il tono e il contenuto dei loro testi.
Jonatan Peyronel Bonazzi lavora nella redazione della casa editrice Mimesis e scrive per la rivista di pallone Valderrama. Considera il catenaccio un’arte nobile quanto il (troppo spesso) decantato tiki taka.
Damiano Cason insegna alla scuola superiore, è tra i fondatori della rivista Valderrama e pensa che l’unica cosa buona degli eserciti sia la militanza di Alex Del Piero nella Nazionale militare a metà degli anni ’90.
Diego Cavallotti, ricercatore universitario in cinema fotografia e televisione, scrive per Valderrama e sogna ancora Renzo Ulivieri capo dello Stato e Michele Paramatti premier. Per chi non li conoscesse, uno era l’allenatore, l’altro l’inesauribile esterno di difesa di un Bologna che si distinse in Serie A a metà anni ‘90 e tra le cui file, oltre a eroi proletari, militava un certo Roberto Baggio. È quel Divin Codino che prima del Mondiale italiano aveva animato le cronache calcistiche per il contestato e da lui visibilmente mal digerito trasferimento miliardario alla Juventus. Aveva piedi pregiati come la seta e una tecnica sopraffina, con cui creare giocate irripetibili. Suo il gol più bello del Mondiale, al 78’ della terza partita del girone, con la qualificazione al turno successivo già in tasca, avversario la Cecoslovacchia. L’Italia vinceva 1 a 0 quando il ventitreenne vicentino ricevette palla da Giannini sulla sinistra a centrocampo e puntò diritto verso la porta, saltando con eleganza gli avversari che provavano a fermarlo. Senza toccare il pallone, solo con le finte delle gambe, superò anche l’ultimo difensore prima del portiere, che non poté fermare la sua conclusione precisa. Pazzo di felicità, si gettò a terra con le braccia alzate, ricordano i tre.
Recensione del libro
Roberto Baggio. Avevo solo un pensiero
di Stefano Piri
Un altro 10 di quel Mondiale è ovviamente Diego Armando Maradona, che quattro anni prima aveva trascinato l’Argentina al secondo titolo mondiale e che rinnova il miracolo di spingere i blanquiazules alla finale di Roma, al posto dell’Italia padrona di casa, liquidata ai rigori nella semifinale disputata a Napoli, dove il Pibe de oro era considerato una divinità per aver fatto vincere due scudetti al ciuccio con le sue prestazioni da migliore al mondo.
Sebbene in campo ci fossero gli azzurri, il pubblico partenopeo sostenne Maradona. Tuttavia, a disputare quell’incontro nel San Paolo avrebbe dovuto esserci il Brasile, suicidatosi nella sfida con l’Argentina a Torino. Dopo avere dominato la partita e fallito in modo imbarazzante reti già fatte, un contropiede isolato di Caniggia a poco dal Novantesimo regalò la qualificazione alla formazione argentina e forse cambiò il destino della nostra Nazionale e l’esito di Italia ’90.
In maglia azzurra, si distinse in quelle notti magiche un ragazzo palermitano dagli occhi spiritati, approdato dai campionati inferiori, centravanti della Juventus da un anno e ultimo tra i convocati nella selezione di mister Vicini, per una felice intuizione geopolitica dei dirigenti azzurri, visto che tra titolari e riserve c’erano pochissimi calciatori della formazione bianconera che vanta più tifosi in Italia. Quel ragazzo del quartiere popolare CEP di Palermo era Totò Schillaci. Entrò al 75° dell’esordio contro l’Austria e sbloccò la partita con una rete dopo appena 3’, quando la porta avversaria sembrava stregata, inviolabile nonostante i martellanti attacchi di una squadra italiana generosa ma fino ad allora sterile. Fu la prima delle sei reti che consacrarono l’esordiente Schillaci capocannoniere del Mundial.
Tra le oltre cinquanta storie c’è quella di Higuita, portiere della Colombia nato attaccante, che si concedeva scorribande a centrocampo con la palla tra i piedi. Da un suo dribbling sbagliato sulla trequarti nacque la rete del vecchio centravanti del Camerun Roger Milla, che decretò l’eliminazione della nazionale del portiere baffuto e capelluto. A proposito di capelli: nella stessa talentuosa selezione colombiana militava un centrocampista che sfoggiava un bizzarro enorme casco di ricci gialli, Era Carlos Valderrama, il Gullit biondo, una rockstar più che un calciatore.
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