Tirteo viene considerato il poeta nazionale spartano, ma, cercando delle riproposizioni di suoi versi, chi scrive non ha rinvenuto pubblicazioni recenti, bensì solo una raccolta di fine Ottocento ancora riproposta in anastatica: Canti e frammenti di Tirteo curati da Felice Cavallotti (1842-1898).
Originariamente si trattava di un’edizione commemorativa e postuma, poiché Cavallotti morì a Roma il 6 marzo del 1898 ucciso in duello dal Conte Ferruccio Macola (1861-1910), lasciando sgomenta l’opinione pubblica.
Il volumetto si apre per altro con un’ode del curatore a "Enotrio Romano", ossia Giosuè Carducci, che sebbene artisticamente di scarso valore è una testimonianza del clima sociale e culturale della sua epoca, nonché un documento interessante.
Stilisticamente, nella sua traduzione Cavallotti cercò di conciliare la fedeltà ai concetti con quella alla forma, il testo greco è accostato a quello italiano e annotato. Presentando la figura di Tirteo, che egli considerava nativo di Atene, il curatore espone inoltre delle osservazioni che provano uno studio attento, fatto che condusse a suo tempo la pubblicazione a essere impiegata anche nelle lezioni di greco nei licei italiani.
Tirteo non canta solo l’ardore dei guerrieri, insegna il primato del bene della comunità sull’individuo, superando l’eroismo “individualistico” del mondo omerico.
Canta di soldati che combattono in formazione difendendosi l’un l’altro, la falange:
Per gli ordini sparsi, corretevi accanto, / Di sotto agli scudi l’un l’altro a coprir.
La morte in battaglia viene esaltata dal poeta non solo per l’onore del singolo, ma soprattutto come sacrificio per la collettività, segnando un cambiamento indelebile nell’epica.
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