Ci ho fatto caso
- Autore: Valentina Preti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2020
Una giovane autrice, Valentina Preti, qui al suo esordio letterario con il racconto della vita, delle gioie, della sofferenza di una generazione a volte dimenticata, quella dei nostri nonni, e della loro grande esperienza, una preziosità trascurata. Ritratti di donne e uomini un tempo giovani, con alle spalle gli orrori della guerra e negli occhi la speranza di una vita migliore. Compostezza, abnegazione, fierezza, tolleranza e duro lavoro sui volti di chi ha saputo rialzarsi dalle macerie di un’epoca devastante e consegnare ai propri figli agiatezza e democrazia. L’autrice, ferrarese ma da qualche anno residente a Bologna, dopo la laurea in Comunicazione pubblica e sociale è entrata nel mondo del lavoro come copywriter e redattrice testi, e si occupa anche di social media, organizzazione eventi e coordinamento ufficio stampa. Ci ho fatto caso è un libro scritto con garbo, sensibilità e passaggi delicati, una piacevolissima e a tratti emozionante lettura, pubblicato lo scorso luglio dalla casa editrice indipendente AUGH Edizioni, che con coraggio e in piena autonomia da alcuni anni cura la narrativa italiana e sperimentale. Un lavoro di vocazione a cui volgere un plauso in tempi così difficili, fuori dalle leggi del mercato e con progetti di generi letterari "che fanno bene a noi cittadini", come scriveva Luciano Bianciardi nel 1957 ne Il lavoro culturale.
Serena non avrebbe mai voluto vedere sua nonna Lucia nel grande pensionato Manfredi, "rifugio per anime stanche che non aveva niente di poetico al suo interno". Un pugno nello stomaco era la sedia vuota intorno al tavolo in cucina, quando si apparecchiava sempre per quattro, e ora lei, novantasei anni, stava seduta con la schiena eretta in una poltrona con i braccioli e con lo sguardo fuori dalla finestra. "Guardava e non vedeva". Aveva riso sempre poco nella sua vita, perché "il patire non rende buoni", e i guai non fanno venire voglia di ridere. La guerra, la fame, un marito alto e fiero tornato dal fronte che era la sua ombra e che non riconosci più. E nel dopoguerra a lavorare "come un trattore", in risaia; dieci ore di lavoro in un campo senza mai lamentarsi, senza mai parlare, a volte attenuando la stanchezza nelle ossa cantando, e la sera a casa a preparare da mangiare. Si faceva il pane la domenica per tutta la settimana, la frutta era quella di stagione e i cappelletti tre volte l’anno nelle feste. La sua parsimonia aveva l’odore della povertà, e forse "di un incattivirsi antico", ma il suo buon odore che sapeva del sapone di Marsiglia con il quale si lavava ogni sera prima di andare a letto era sempre un ricordo indimenticabile per Serena.
“Mi offriva di dormire con lei per riempire uno spazio vuoto al suo fianco, che non era solitudine ma mancanza."
La sente ancora più vicina la sua nonna, come avesse compreso del tutto la donna che era stata, i suoi anni trascorsi a stare da sola, a dire le cose tra sé e sé, e a mandar via i brutti pensieri e i ricordi che le stringevano il cuore. Altre donne erano sedute intorno a lei: Lina, Bice, Elvira, Maria; chi lavorava a maglia, chi sfogliava riviste, chi era nel gioco delle carte, tutte avvolte da un silenzio di nostalgia con stretta al petto la loro vita. Un’occasione per amarle come se fossero di famiglia e per dar voce ai loro racconti.
Bice, disperata, continua a dire che non dovrebbe essere lì in una prigione senza avere rubato; lei che aveva vissuto come una regina, amata e rispettata dal marito, il suo più grande amore. Elvira mandata a lavorare a soli quindici anni, a prendersi cura di bambini più piccoli di lei, in una casa così bella da rimanere senza fiato. Dal balcone vedeva il lago, gli armadi lungo i corridoi erano talmente grandi che ci si poteva dormire dentro, il bagno lo si faceva nell’acqua pulita e i sapori in tavola erano tanti. Lavorava per una donna elegante, mentre la sua mamma era sempre nascosta sotto un grembiule che la vestiva uguale. E poi Maria, appena diciottenne, arrivata a Roma nel 1954 a imparare il mestiere della parrucchiera dal suo paese fermo, senza rumore, dove "la guerra aveva rubato la felicità". Una città che l’affascinò e che tra gente normale e attori del cinema andava incontro alla modernità per lasciare la guerra alle spalle. E la coraggiosa Lina, la comunista, che amava dire che ci sono donne venute al mondo per fare figli e accontentare il marito sotto le lenzuola, e donne che possono scegliere. Un’intera vita dedicata alla politica e alla Casa del Popolo: era stata staffetta dei partigiani, e in sella a una bicicletta aveva attraversato le campagne per andare a portare notizie.
Quanta umanità tra le pagine di questo splendido libro! Un intreccio di storie di donne che per i loro tempi erano considerate più utili in casa a sbrigare faccende domestiche, e rassicurante precluderle all’ordinarietà. Ci ho fatto caso, racconti intensi che evocano la nostra storia, è un libro che avrà fortuna e viaggerà, come fece Il catino di zinco (Marsilio, 1994), esordio di Margaret Mazzantini, nel quale era narrata la vita della nonna Antenora.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ci ho fatto caso
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