Dentro soffia il vento
- Autore: Francesca Diotallevi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2016
Una scrittrice al suo romanzo d’esordio, Francesca Diotallevi, poco più che trentenne, pubblica per Neri Pozza “Dentro soffia il vento” e subito si aggiudica il “Premio Neri Pozza - Fondazione Pini - Circolo dei Lettori”: una bella sorpresa, un bel talento, una notevole capacità di scrittura, un libro originale per l’ambientazione, per i personaggi, per la storia che racconta, presa in parte da una leggenda che viene tuttora ricordata da una lapide posta nel comune di Saint Rhémy, sulle Alpi valdostane, dedicata ad un gruppo di zingari stagnini,
“vinti da un turbine candidissimo di neve omicida”.
Il romanzo è costruito su una serie di voci che si alternano nella narrazione: Agape, Yann, Fiamma, che vivono in una minuscola comunità montana, circondata da boschi fitti e montagne gelide. Don Agape è il nuovo curato, giunto in quel luogo sperduto da Roma, in fuga da una famiglia che come secondogenito lo ha destinato alla Chiesa, magari in Vaticano, con la protezione dello zio Vescovo: il giovane prete invece, alla ricerca di una vera vocazione, ha accettato di affiancare il vecchio parroco don Jacques, arcigno, ostile, padrone assoluto dei suoi pochi fedeli e della domestica Marie. Al suo arrivo don Agape si rende conto della difficoltà del suo compito: al freddo e alla durezza del luogo, si aggiunge quella dei suoi abitanti, conservatori, superstiziosi, chiusi, a tratti violenti, soprattutto nei confronti di una donna, che tutti chiamano la strega, una ragazza dai capelli rossi che vive sola in una casupola nel bosco, ostracizzata dall’intera comunità, che tuttavia si serve delle sue pozioni, delle tisane alle erbe, ai fiori, che lei sa raccogliere e coltivare, come le aveva insegnato sua madre, Vivienne, da poco scomparsa.
Yann, il maggiore dei fratelli Rosset, era stato salvato da lei e da sua madre, quando era caduto in un burrone, e solo per la forza di suo fratello Raphael e per la perizia delle due donne che gli avevano ricucito una gamba squarciata, era sopravvissuto. Ora Raphael, l’unico amico di Fiamma, è morto durante la guerra, nel 1916, e le sue ultime lettere, spedite a Fiamma, non sono mai arrivate nelle mani della ragazza: Yann, geloso del fratello, le ha nascoste sotto il materasso, incapace di affrontare il proprio cuore e i propri sentimenti. Il romanzo ha come centro l’amore nelle sue diverse declinazioni: l’amore per la natura, per la comunità di appartenenza, per i figli, per gli amici, per Dio. Gli uomini, nel piano divino, sono dei semplici “dettagli”, come dirà una esasperata Fiamma a don Agape convinto di poterla ammettere nella comunità che gli è stata affidata ma incapace, da solo, di affrontare i veri nodi che gli impediscono di raggiungere una piena vocazione. L’amore, dunque, sarà il motore che alla fine riuscirà a mettere insieme diversità, inimicizie, pregiudizi, superstizioni, e a vincere anche la stessa potenza distruttrice della natura, che su quelle montagne si abbatte sugli uomini inermi con inusitata violenza. Bellissima la figura di Fiamma, una ragazza coraggiosa, libera, diversa, pronta a pagare altissimi prezzi pur di conservare le uniche cose belle della sua vita poverissima: l’affetto per Raphael, l’amore per la madre, il rispetto per la natura, l’amore segreto per Yann, l’attrazione per i libri, la cultura, il sapere, che l’anziano maestro Lucien le ha instillato fin da piccola.
Un libro pieno di poesia, di sentimenti profondi e sinceri, di conflitti radicali, raccontati in una lingua raffinata, evocativa, metaforica, dove ogni singola parola, ogni termine è appropriato per descrivere con i colori, gli odori, i profumi, le sensazioni fisiche provocate da un clima avverso, un ambiente lontano nel tempo e fuori dai consueti scenari letterari, ma non per questo meno affascinante.
“Fiamma era esile, spigolosa, la pelle di un innaturale pallore e i capelli, per contrasto, di un rosso tanto vivido da lasciare supporre che fossero davvero fatti di fuoco. Ma forse, era soltanto il riflesso delle braci morenti a conferire quelle sfumature prepotenti. Le mani avevano dita lunghe ed esili, che si muovevano veloci, prelevando fiori secchi da un vaso e mescolandoli a polveri e bacche. Nell’aria, intorno a noi, si era diffuso un intenso profumo di menta.”
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