Di me ormai neanche ti ricordi
- Autore: Luiz Ruffato
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: La Nuova Frontiera
- Anno di pubblicazione: 2014
“Sotto il letto matrimoniale, una piccola e dimenticata scatola rettangolare di legno”. All’interno di quella scatola, una madre che aveva perso il figlio primogenito “aveva raccolto i pezzi del suo cuore straziato”.
Ecco giungere dal passato cinquanta lettere che rappresentavano il testamento morale di José Célio, giovane di belle e grandi speranze, che aveva lasciato il suo paese Cataguases, nel Brasile degli anni Settanta, per la grande città.
“C’è una fabbrica di San Paolo, stanno assumendo un sacco di gente, penso proprio di andare a lavorare là”.
Invece
“tornò per restare, sette anni dopo, in una bara che non potemmo neanche aprire, tanto era sfigurato il corpo. Un incidente, tra Vassouras e Paraiba do Sul: dell’auto appena comprata, non restò che un groviglio di ferraglia”.
Non è giusto che un padre seppellisca il proprio figlio, non finiva di mormorare l’anziano genitore mentre sua moglie, inconsolabile, si rinchiuse in se stessa, “non trovando più conforto per il resto dei suoi giorni”. Le ha trovate Luizinho, il figlio minore dei Moreira, dopo la morte della madre e le aveva portate con sé,
“insieme agli occhiali di mia madre e a un’immagine di Santa Rita da Cascia, di cui devota, per poterla ricordare sempre”.
Soltanto verso la fine del 2003 l’uomo aveva sciolto la cordicella che legava le missive redatte con una “calligrafia minuscola e curata” che raccontavano di cose a volte insignificanti e che chiedevano di conoscere le novità. Dopo aver sistemato le lettere in ordine cronologico, il fratello aveva iniziato a leggere.
“San Paolo, 2 febbraio 1971. Cara mamma, caro papà, soltanto oggi, martedì, è che sono riuscito a sedermi e a scrivervi... Manda un abbraccio a tutti da parte di questo tuo figlio a cui mancate tutti”.
L’autore brasiliano Luiz Ruffato, nato nel 1961 a Cataguases nello stato di Minas Gerais, nel romanzo epistolare Di me ormai neanche ti ricordi (laNuovafrontiera, 2014, titolo originale del volume: De mim jà nem se lembra, traduzione dal portoghese di Gian Luigi De Rosa), dedicato a “coloro con i quali un giorno mi riunirò”, racconta attraverso la testimonianza di José Célio, il passato recente della sua terra d’origine.
“Io sono invecchiato, siamo invecchiati tutti tranne tu, che resti con i tuoi 26 anni, e inesorabilmente rivivi nei miei ricordi”.
Le lettere del giovane desterrado, il quale non sa più se appartiene al luogo natio o alla nuova città nella quale cerca migliori condizioni di vita, sono un pretesto per raccontare la parabola personale di un uomo e le lotte operaie. Potente, però irrompe in questo piccolo gioiellino editoriale l’evento più tragico accaduto nella storia del Brasile dalla seconda metà del XX Secolo: il golpe militare del 1° aprile del 1964.
“Lo sai mamma che siamo sotto una dittatura che arresta e uccide i lavoratori che vogliono solo cambiare la situazione ingiusta in cui si trova il Paese”.
Ruffato, considerato il narratore più interessante e originale della letteratura brasiliana contemporanea, prima di diventare scrittore ha fatto svariati mestieri tra i quali l’operaio, il tornitore metallurgico, il giornalista, il libraio e il ristoratore. Personaggio fuori dal coro, l’autore durante l’ultima Fiera del Libro di Francoforte (ospite il Brasile) ha tenuto un coraggioso discorso d’apertura sui paradossi del suo Paese parlando di uno Stato ricco di contraddizioni. Il cosiddetto “paradosso brasiliano” è un insieme di crescita economica e politica affiancata a un alto tasso di violenza, inciviltà e disparità tra classi sociali. Luiz Inácio “Lula” da Silva ex Presidente del Brasile (2003 – 2011) di passaggio in Italia in un’intervista ha recentemente dichiarato che l’ascensore sociale nel suo Paese ha funzionato perché si sono creati in undici anni 21 milioni di posti di lavoro. Riferendosi alle nuove proteste sociali annunciate in Brasile, Lula ha precisato che
“la democrazia non è un patto del silenzio, ma l’evoluzione alla ricerca di cose migliori”.
Anche José Célio cercava cose migliori diviso tra il dovere di guadagnarsi la vita e la nostalgia per i cari lontani.
“... la sensazione che mi resta è che non tornerò mai più. Questo è molto triste perché qui non è casa mia. Ma ormai sento che anche lì non è più casa mia. Ossia, da nessuna parte è casa mia. È questo che fa male dentro”.
Di me ormai neanche ti ricordi
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