Dieci prugne ai fascisti
- Autore: Elvira Mujcic
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Elliot
- Anno di pubblicazione: 2016
“La dignità risanata lenisce e rende sopportabile le sconfitte passate”.
“Dieci prugne ai fascisti” narra la storia di un ritorno in patria, nella terra di Nana, la nonna ottantasettenne di Lania, voce narrante del libro, che con la sua famiglia aveva lasciato negli anni Novanta la Bosnia per sfuggire all’olocausto delle persecuzioni etniche e venire a vivere in Italia.
Mentre leggevo questo libro di Elvira Mujcic ho ricordato le immagini di quella guerra cruenta che seguivamo ogni giorno in televisione, a due passi da noi. Un genocidio che portò alla morte migliaia di donne, bambini, uomini.
Le città e i villaggi che fino a qualche tempo prima erano abitati da studenti, impiegati, agricoltori, operai, artigiani, con l’arrivo delle milizie divennero campi di battaglia: persone strappate ai loro affetti, portate via sui camion, seviziate, uccise e buttate in fosse comuni. Un orrore senza fine, uno sterminio di massa da non dimenticare.
La storia di quegli anni verrà ridestata dai ricordi del passato di Lania e della sua famiglia, e della nonna Nana, il solido cardine attorno al quale la famiglia si muoveva. Un libro dalla trama originale, ben scritto e con una storia che appassiona ed emoziona il lettore: quella di una donna legata alle proprie origini, testimone di due guerre, di massacri e di fughe, che aveva sognato, amato e saputo invecchiare con serenità, rispettando le idee e i suoi tempi. “Il peggio è passato” pensa Lania, guardando giocare la nazionale di calcio bosniaca in televisione, e ciò vale anche per la sua famiglia. Aveva un rapporto mutevole con loro, a volte era insofferente, altre volte ne avvertiva la nostalgia.
Era partita da Roma, dove aveva lasciato il suo lavoro precario e una storia d’amore finita male, per raggiungere insieme ai suoi fratelli Candido e Zeligo, sua madre e Nana a Teglio, in Veneto. Mai avrebbe immaginato che quel giorno, mentre ci si stava preparando al pranzo, Nana sarebbe morta all’improvviso. Si era addormentata, e il suo viso disteso sembrava aver abbandonato ogni pensiero. Si scoprirà che aveva, anni prima, pianificato e organizzato il suo funerale.
Il suo ultimo desiderio era quello di essere seppellita nel cimitero del suo villaggio, a mille chilometri dall’Italia, nella terra dov’era nata, dove si era sposata e dove la guerra le aveva portato via due figli, senza restituirle i corpi su cui piangere.
Altrove si sarebbe sentita un’estranea.
“La morte mette tutti in riga e, a volte, sistema ognuno al proprio posto”.
Lania ricorda la sua vita, la sua storia che sembra essere uscita da un romanzo: giovane, bella e bionda incontrò il suo grande amore entrando in un negozio di stoffe. Era lì, dietro al bancone, in maniche di camicia, occhi e capelli neri come il carbone. Si sposarono dopo dieci giorni.
“Non ebbero mai paura l’uno dell’altra. In segreto, ognuno aveva i propri timori, ma insieme si annullavano”.
Si separarono senza farne una tragedia quando lei aveva settantasette e lui ottantatrea anni. Il nonno rimase in Bosnia mentre Nana decise di raggiungere la figlia in Italia. Amava ripetere che il suo matrimonio era durato più della Jugoslavia. Era giunto, quella mattina, il momento in cui bisognava fare i conti con la sua morte e con il suo ultimo respiro; non era solo il passato a irrompere nelle stanze della loro casa, ma anche il profondo dolore con il quale si dovevano portare a compimento le sue ultime volontà. Lania e i suoi fratelli affronteranno, così, il lungo tragitto che dal confine triestino li porterà a Lubiana e in autobus fino a Zagabria, procedendo poi verso Sarajevo: un viaggio kafkiano tra incontri singolari, inattesi e imprevisti, imprigionati nella memoria storica di Nana. Un viaggio a ritroso nel tempo, di lei, Nana bambina che, dopo aver raccolto le prugne dall’albero davanti casa in mucchietti da dieci, le distribuiva ai soldati fascisti, affamati e stremati, arrivati nel suo piccolo villaggio.
“Dove era morta la Jugoslavia? Forse non in un luogo solo. Con quello Stato eravamo svaniti anche noi, quel noi composto da ventitré milioni di individui chiamati jugoslavi, cancellati dalle cartine geo-politiche, riallocati all’interno dei confini delle nostre piccole Repubbliche indipendenti, e gli altri, a quel punto nemici, erano sempre di più. Il noi era diventato altro, da fratelli siamo diventati nemici giurati. Noi quattro, la mia famiglia, siamo poi partiti e siamo diventati quattro profughi in terra straniera: bosniaci in Italia, extracomunitari in Europa”.
Elvira Mujcic, giovane scrittrice bosniaca, romana d’adozione, vive e lavora in Italia come interprete e traduttrice. Nata nel 1980 in Serbia, arrivò in Italia con la sua famiglia come profuga negli anni Novanta a seguito della guerra che insanguinò i Balcani. Ha già al suo attivo altri romanzi, tutti ispirati alle sue esperienze personali: Al di là del caos, Sarajevo: la storia di un piccolo tradimento e La lingua di Ana.
Dieci prugne ai fascisti
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