Fiordo profondo
- Autore: Ruth Lillegraven
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2020
Quello che l’editrice Carbonio sta facendo per la narrativa “di genere” è una rivoluzione copernicana. Riguarda in primo luogo il pregiudizio che la vorrebbe incapace di qualità letteraria. Non dico che i thriller, i gialli, i romanzi di sci-fi (apparenti) editati da Carbonio siano anti-commerciali, ma palesemente atipici, lunari, altri e alti rispetto alla media dei libri di consumo, questo sì. Il canone specifico dei romanzi di genere pubblicati da Carbonio è insomma spesso una presunzione, un pretesto per un discorso ulteriore e più stratificato. Si prenda ad esempio il glaciale e recentissimo Fiordo profondo di Ruth Lillegraven (traduzione di Andrea Romanzi).
Contesto nordico e risvolto di copertina annunciante una manciata di delitti potrebbero indurre ad aspettative tipo ennesimo giallo scandivano studiato a tavolino: serial killer in azione e canonico detective che gli sta col fiato sul collo, sullo sfondo di una natura selvaggia. Niente di più lontano da climi e senso autentico di questo romanzo: i fautori del thriller classico rimarranno a bocca asciutta, e proprio di questo dovrebbero ringraziare il cielo della buona letteratura. Fiordo profondo è vigoroso come un romanzo del migliore Stephen King e affilato come un qualsiasi romanzo di Highsmith. E per libera associazione e a proposito di quest’ultima: l’insidiosità di Fiordo profondo sta nel fatto che ti costringe quasi a tenere per il “cattivo” (assumetelo come aggettivo neutro... non posso dire di più), come ai tempi in cui tenevi per il luciferino Tom Ripley.
Per farla breve: nei casi letterari come questo di Ruth Lillegraven si scrive che è un esordio destinato a lasciare il segno, e non ci si sbaglia. Affatto.
E ora qualche rapido cenno alla trama, per quel che si può: ci sono un uomo, una donna e i loro due gemelli. Insieme abitano in un quartiere upper class, a est di Oslo. Lui si chiama Haaward e fa il medico pediatra in un noto centro ospedaliero. Lei è Clara, funzionario in carriera del ministero di Giustizia e, soprattutto, una donna che alla vita sa bene cosa chiedere. Adesso, per esempio, sta per farsi promotrice di una proposta di legge tra le più radicali degli ultimi decenni: obbligherebbe chiunque lavori negli enti pubblici a denunciare casi sospetti di violenza e vessazione minorile tra le mura domestiche: una cancrena sociale che alligna sottotraccia alla facciata tirata a lucido della Norvegia. Destino vuole (?) che proprio a Oslo, e proprio nel nosocomio dove lavora il marito, capiti il primo di una serie di omicidi che attentano dalle fondamenta, non solo lo status quo della città-modello, ma anche del ménage familiare della donna.
Questo è più o meno l’incipit di una storia senza tregua, capace com’è di misurarsi su vasta scala coi rimossi, i traumi, le verità nascoste di un microcosmo trasversale — politico, individuale, familiare — dove niente è come appare. Metteteci anche il valore aggiunto di una natura complice: l’animus imponente e segreto dei fiordi, la cui profondità (non sai mai bene se dieci, cento, mille metri) emblematizza l’oscuro, il segreto, il nascondimento. E il meccanismo narrativo (flash back, cambi di prospettiva, differenti io-narranti) con cui Ruth Lillegraven governa la trama si rivela a sua volta di un’esattezza che lascia quasi sgomenti.
Fiordo profondo
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