La donna che scrisse Frankenstein
- Autore: Esther Cross
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: La Nuova Frontiera
- Anno di pubblicazione: 2024
Ne ha di storie da raccontare la località balneare di Bournemouth sulla costa inglese dove soggiornò Robert Louis Stevenson, insegnarono Oscar Wilde e Paul Verlaine e J.R.R. Tolkien era solito trascorrere le vacanze. A partire dal cimitero, perché riposa qui la scrittrice inglese Mary Shelley (Londra 1797-1851) che volle portare nella tomba le sue reliquie più care da cui non si separava mai. Ciocche di capelli e il fazzolettino dei tre figli scomparsi anzitempo, quali segni tangibili della loro presenza. È proprio vero che quando ci colpisce da vicino, la morte perde l’impersonalità della statistica: il tasso di mortalità infantile, all’epoca piuttosto elevato, non sarà mai un antidoto al dolore di una madre. Tra le reliquie per l’ultimo viaggio c’era anche il cuore del marito Percy Shelley avvolto tra le pagine di Adonaïs, l’elegia da lui composta per la morte dell’amico Keats.
Su queste immagini potenti si apre il libro La donna che scrisse Frankenstein (La mujer que escribió Frankenstein) della scrittrice argentina Esther Cross, in libreria dall’8 novembre 2024 per La Nuova Frontiera Editore nella traduzione di Serena Bianchi. È la biografia anticonvenzionale di colei che con il romanzo Frankenstein or the modern Prometeus del 1818 ideò una favola terribile, un mito antico e universale.
Nella cultura contemporanea tesa ad allontanare il tabù della morte e il disfacimento fisico, può sembrare macabro e inquietante il culto laico delle reliquie, la dimestichezza con il dolore, la malattia, il lutto, fedeli compagni dell’esistenza della protagonista che emergono con forza in queste belle pagine. Invece rispondono a una temperie storico-culturale e all’indole di Mary, che la penna di Esther Cross tratteggia con profonda sensibilità incrociando storia sociale, psicologia, letteratura, perché a ben vedere il “mostro” – è questa la tesi del libro – era tanto radicato nella civiltà europea del primo Ottocento, quando la giovane Mary Shelley decide dargli forma:
Se alcuni scrittori plasmano il contesto in cui vivono, lei crebbe nell’epoca di Frankenstein.
Londra, che Mary aveva sempre detestato, era la città terribile e contraddittoria della rivoluzione industriale segnata da modernità, miseria, ricerca scientifica. Le autorità chiudevano un occhio di fronte al traffico di corpi trafugati, venduti, esaminati, male necessario per il progresso della medicina (non a caso sono numerosi i punti di contatto tra la pratica della dissezione e Frankenstein). E se i chirurghi interessati a scoprire de visu i misteri dell’anatomia erano relegati in fondo alla scala sociale dal sospetto e dal disprezzo, furoreggiavano i periodici di cronaca nera e gli esperimenti di galvanismo sui cadaveri che tanto colpirono la protagonista.
Non va dimenticato quel mood preromantico nella versione sepolcrale che prediligeva paesaggi funebri, aspetti macabri o malinconici del trapasso. Ricordate i versi foscoliani dei Sepolcri sulla serenità con cui le britanne vergini erano solite frequentare i suburbani avelli, cioè i cimiteri fuori città?
La donna che scrisse Frankenstein di Esther Cross non è solo una biografia agile, avvincente e documentata. È un inno alla vita, nella consapevolezza delle sue brutture e della sua caducità perché viaggiare, conoscere, scrivere, amare, piangere, soffrire, come fece Mary, significa vivere.
Lei e Percy condividevano tutto, a partire dagli interessi alla scrittura: uno era parte integrante della produzione letteraria dell’altra. Insieme al marito, romantica sintesi dei contrari, ribelle, individualista e filantropo, emotivo e pragmatico, mistico e rivoluzionario, viaggiò per l’Europa assecondando un temperamento incline al nomadismo, spesso in compagnia di amici non meno famosi e dalla vita fuori dagli schemi. Soggiornarono in Italia, Svizzera, Germania, Scozia; visitarono i paesi del Nord quasi al confine con quelle lande desolate dove nel romanzo si consuma l’atto finale della caccia al “mostro” in fuga dal consorzio umano che gli è precluso, grande e disperato nella sua solitudine.
La solitudine segnò anche la maturità di Mary, vedova da tempo, oggetto della stessa curiosità morbosa di cui era stata vittima da bambina in quanto figlia di una femminista militante, bersaglio di pettegolezzi, maldicenze, scandali. Trovò conforto nella scrittura che nel frattempo era diventata la sua professione. Ma la biografia dell’adorato Shelley a scriverla non riuscì mai.
La donna che scrisse Frankenstein
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Un libro perfetto per...
Agli amanti delle biografie non romanzate, a chi ama la storia e la letteratura, ai romantici.
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