Galatea
- Autore: Madeline Miller
- Genere: Fumetti e Graphic Novel
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Sonzogno
- Anno di pubblicazione: 2021
Mitologia e non solo. Un sogno? Realtà? Una donna? Solo una statua? Nei romanzi precedenti, Madelline Miller, l’autrice americana che trae ispirazione dai miti greci, ha raccontato gli amori del giovane Achille (La canzone di Achille), più ragazzo che invincibile eroe e poi la vita e le inquietudini della maga che stregò Ulisse (Circe). Ma come sostiene per prima, Madeline non scrive racconti mitologici, rilegge le storie che l’hanno appassionata. Galatea, il suo nuovo romanzo in Italia da ottobre (Sonzogno, 2021, 80 pagine), si ispira soltanto alla leggenda dello scultore Pigmalione e della bellissima statua femminile, trasformata dalla dea Artemide in una donna in carne e ossa, ancora più bella della figura di marmo levigato.
È un libro, questa versione italiana, ch’è un piccolo capolavoro, tanto come opera narrativa, grazie ai testi della scrittrice bostoniana, che grafica, per la cura riservata dalle Edizioni milanesi al volumetto, non pretenzioso ma prezioso, non prepotente ma pieno di carattere. La traduzione dall’inglese è di Marinella Magri. Le illustrazioni di Barbara Garlaschelli circondano, racchiudono, commentano i testi, in tutte le pagine, anche a tutta pagina.
Madeline Miller è nata a Boston. Laureata in lettere classiche con dottorato, ha insegnato drammaturgia e adattamento di testi antichi a Yale. Il primo romanzo, La canzone di Achille, è uscito in Italia nel 2013. Il secondo, Circe, nel 2019, sempre per Sonzogno.
Barbara Garlaschelli, diplomata in arti visive nell’Istituto Europeo del Design di Milano e illustratrice grafica, è insegnante di incisione e tecniche di stampa nello stesso IED dal 2014 e nella scuola internazionale di Comics dal 2020. Realizza texture, ipertesti digitali e corti di animazione che hanno meritato premi e riconoscimenti.
La Galatea di Miller è nata dalle fantasie del passato, ma quella che si anima nelle pagine non ritiene corretto dirsi “nata” da un marmo lavorato dallo scultore, preferisce “svegliata”.
Il romanzo si apre in una stanza, sul ciglio di una scogliera a picco sul mare. Galatea vi è chiusa da un anno, guardata da un’infermiera poco empatica e curata da un medico più attento alla salute mentale della paziente che a quella fisica. Le dicono che ha le mani gelide, ch’è tanto pallida e le terapie servono a riprendere un po’ di colorito, ma non badano alle sue repliche. Il marito, molto ricco grazie a lei, ha imposto di non dare importanza alle sue bizzarrie, perché “la malattia la porta ad essere estrosa”. Sicché, la casa in cui Galatea è ricoverata sembra una clinica psichiatrica.
Per quanto insensibili, infermiera e medico sono soltanto degli esecutori, il vero carceriere è Pigmalione. La tiene rinchiusa e freddamente accudita in quella prigione algida, per disporre di lei, per godere del suo corpo e del potere stesso di tenerla a totale disposizione, negandole qualsiasi attività a parte appagarlo. Arriva, congeda le inservienti, “andate e non disturbate”. La osserva, tormentato dal di considerare viva una statua ch’è rimasta scultura, nonostante le preghiere di animarla rivolte alla dea. La tocca, la sente calda, ma non può essere, “non sarà mai”.
Si direbbe debba essere ricoverato anche lui: il romanzo mette insieme menti turbate e desideri estremi, mitologia e contemporaneità, passato e presente. Rinnova l’eterno conflitto di genere: la donna oggetto succube, piegata al volere dell’uomo, che sia padre, marito, artefice della sua creazione o tutti questi ruoli insieme. Il maschio-padrone, al quale la moglie-ch’è-stata-una-statua soggiace con sempre maggiore fatica, covando un crescente anelito di libertà.
Hanno generato una figlia, Pafo, una bambina bella e pallida come il marmo, che non soffre il caldo l’estate e non sente freddo d’inverno. Dialoga con la mamma, gioca, hanno una solida intesa. Di aspetto sembrano fragili, ma sono di pietra.
Nell’agonia della brama che la statua della perfezione femminile prenda vita, il marito le tocca l’avambraccio, mentre lei al solito simula una fissità totale, nella posizione in cui l’ha scolpita. L’uomo resta sorpreso, il braccio è caldo, sarà stato un raggio di sole? Gli sfugge che dalla finestra non penetra nulla. Gli sembra d’impazzire, prende a massaggiarle i fianchi e il ventre con vigore, come per saggiare la marmoreità. Lei resta sempre ferma, compiaciuta d’essere capace di restare immobile. Pigmalione è sempre più eccitato e disperato, “o dea, se questo è un sogno, lasciami dormire ancora”, invoca prima che lei apra gli occhi con un sospiro e lui la possieda.
Pazzia? Di Galatea? Del marito? No, è poesia di Madeline Miller e la poesia può non essere plausibile, può alludere soltanto, senza raccontare la verità.
Ma non è una storia di subordinazione della donna all’uomo, anche se così nasce.
Finge d’essere incinta di nuovo. Quante donne lo hanno fatto, per ottenere fedeltà dal proprio uomo? Galatea lo fa per ricevere affetto, che non sia il solo possesso materiale. Una donna non è una cosa, non è una statua di pietra. Chi la cura ricorre ancora una volta al tè, che detesta. Lo somministrano ogni giorno, la fa dormire, seda le sue bizzarre manifestazioni di autonomia, di volontà, di razionalità.
Galatea medita la fuga. La realizza. Raggiunge la casa dove dormono la figlia, che saluta con un bacio sulla fronte e il marito, che si sveglia. Lei corre via, si fa inseguire verso la spiaggia. Sarà libera?
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