Forse non tutti sanno che un grande classico della letteratura, la raccolta di racconti Gente di Dublino di James Joyce, fu rifiutato ben 18 volte da 15 case editrici diverse.
La travagliata storia editoriale ebbe inizio proprio il lontano 6 febbraio 1905, quando il noto editore londinese Grant Richards accettò di pubblicare gli iniziali dodici racconti che componevano la prima versione dei Dubliners.
In quella data Richards inviò un contratto di pubblicazione a Joyce, che si trovava all’estero, a Trieste, a scontare una sorta di esilio autoimposto lavorando come insegnante presso la Berlitz School.
L’autore fu ben felice di firmare la proposta, lieto di vedere finalmente i propri sforzi artistici ripagati. Inviò il contratto firmato all’editore nel marzo successivo, allegando un racconto aggiuntivo da inserire nella raccolta intitolato Two Galliants.
Nonostante l’iter editoriale sembrasse ormai ultimato, l’accordo tra le parti sancito, il contratto stipulato; la trattativa non andò a buon fine. Lo stampatore infatti, che al contrario di Richards lesse anche quell’ultimo racconto, informò l’editore di avere delle remore in quanto era presente una certa “oscenità” negli scritti proposti. All’epoca, lo ricordiamo, il reato di oscenità era perseguibile per la legge inglese e la condanna si ripercuoteva proprio sullo stampatore dell’opera ritenuto colpevole di mancata supervisione. A bloccare le stampe fu, almeno pare, l’uso inappropriato della parola “bloody” (sanguinoso) nel racconto Grace, ma anche alcuni riferimenti inopportuni all’anatomia maschile e femminile.
Per vedere finalmente pubblicata la propria opera James Joyce dovette attendere altri nove anni. Gente di Dublino sarebbe stato stampato nel mese di giugno 1914, alla vigilia del Bloomsday, sempre dall’editore Grant Richards.
Cosa accadde nel frattempo? Ripercorriamo un’avvincente storia editoriale di perseveranza, frustrazione e, soprattutto, resistenza.
Gente di Dublino: una pubblicazione travagliata
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La difficile storia editoriale di Gente di Dublino iniziò proprio quel 6 febbraio 1905, dopo la firma del contratto. Grant Richards fu allarmato dalle remore dimostrate dallo stampatore. Va detto che l’editore londinese soltanto un anno prima aveva rischiato la bancarotta e ora non voleva cacciarsi nei guai pubblicando un illustre sconosciuto. Scrisse quindi a Joyce che i suoi racconti sarebbero stati editi solo a patto che l’autore vi apponesse sostanziali modifiche. Gente di Dublino fu quindi rispedito al mittente e, inutile dirlo, James Joyce storse il naso dinnanzi a quelle rimostranze.
Lo scrittore irlandese, tuttavia, aveva un disperato bisogno di denaro e il sogno di vedere la propria opera pubblicata era più forte di ogni altro: accettò, quindi, di fare le modifiche richieste.
In una lettera in sua difesa James Joyce, guidato da un legittimo impulso di vanità autoriale, spiegava all’editore:
Ho scritto il mio libro con molta cura, nonostante un centinaio di difficoltà. Credo di averlo scritto in conformità con quella che ritengo essere la tradizione classica della mia arte.
Nonostante sentisse, con ogni fibra del proprio corpo e della propria mente, che il suo capolavoro era intoccabile, Joyce decise di scendere a patti con l’editore. Nel mese di luglio inviò a Grant un nuovo manoscritto cui aveva apportato, a malincuore, le modifiche richieste. Vi aveva aggiunto inoltre un nuovo racconto intitolato Piccola nuvola. Nella lettera di accompagnamento si premurava, però, di ribadire che quelle cancellazioni spropositate, a suo parere, avevano danneggiato l’opera.
Gente di Dublino: il conflitto tra scrittore ed editore
Il carteggio tra Joyce e l’editore riflette tutta la frustrazione artistica dello scrittore - che rientra nel perfetto stereotipo del “genio incompreso” - e dall’altro la logica inoppugnabile delle leggi che vincolavano la libertà di espressione e la forza stringente delle logiche di mercato.
Nel finale della lettera Joyce aggiungeva che riteneva di essere giunto a un compromesso e di aver soddisfatto i desideri dell’editore “in modo equo”.
L’ansiosa attesa dello scrittore irlandese tuttavia fu vana. Nel mese di settembre Joyce ricevette la risposta che aveva a lungo agognato. Possiamo immaginare il suo sconforto quando lacerò la busta e finalmente lesse che...Grant Richars rifiutava di pubblicare la raccolta di racconti così modificata.
Benignamente, però, l’editore londinese aggiungeva di essere interessato a pubblicare altri scritti di Joyce: chissà, magari proprio quel romanzo che stava scrivendo che diceva essere autobiografico.
Lo scrittore non la prese affatto bene, anzi. Si mise in cerca di un avvocato con l’intento di fare causa a Richards per violazione del contratto. La mancanza di denaro e gli accorati appelli di familiari e amici tuttavia lo distolsero dall’intento: era una causa persa, rischiava di uscirne con la reputazione a pezzi e senza il becco di un quattrino.
I rifiuti editoriali di James Joyce
Tra il 1907 e il 1908 Joyce continuò a mandare Gente di Dublino a diverse case editrici, collezionando un rifiuto dopo l’altro. Fu un duro colpo per la sua autostima e quelle lettere di rifiuto lo toccavano nel profondo, facendo calare su di lui l’ombra buia del fallimento. Non riusciva più a scrivere perché non credeva in sé stesso.
Nel 1909 l’opera, inaspettatamente, incontrò il favore di una casa editrice irlandese: la Maunsel & Co. Joyce, ringalluzzito dal successo, decise di recarsi di persona a Dublino per firmare il contratto. Il 19 agosto di quell’anno incontrò l’editore, George Roberts, gli strinse la mano e appose trionfalmente la sua firma per la pubblicazione dei Dubliners. Ma ancora una volta era destinato a essere deluso.
Quando, alcuni mesi dopo, Joyce tornò a Dublino per revisionare le bozze in procinto di essere stampate si trovò dinnanzi l’editore mentre impacciato, stritolandosi le mani, gli spiegava che suggeriva di rimandare la stampa dell’opera. Di nuovo si ripresentava un problema ormai noto. George Roberts aveva da obiettare su alcuni passaggi che giudicava “osceni”. Stavolta però le rimostranze riguardavano un paragrafo che avrebbe diffamato re Edoardo VII, recentemente scomparso.
Joyce fu scoraggiato, ma accettò di apportare delle nuove modifiche. La trattativa andò per le lunghe con Roberts che proponeva di rimandare la pubblicazione a “tempo indeterminato”. Ma alla fine si riuscì ad avere una data certa: Gente di Dublino sarebbe stato pubblicato il 20 gennaio 1911.
Le dispute, però, non erano finite: all’ultimo minuto l’autore si rifiutò di eliminare ogni riferimento al re Edoardo contenuto nel racconto Il giorno dell’edera. Roberts rispose lapidario che allora non lo avrebbe pubblicato. Stanco di quella continua trattativa irrisolta, l’editore stabilì di troncare ogni contatto con lo scrittore.
James Joyce, a quel punto, era disperato.
L’appello di Joyce a Re Giorgio V
La disperazione di Joyce era tale che lo scrittore si risolse a scrivere His Majesty in persona. L’autore contrassegnò i passaggi ritenuti infamanti contenuti nel racconto Il giorno dell’edera e li inviò a Re Giorgio V chiedendo se, per caso, ritenesse che offendessero la memoria del padre defunto. A quel punto James Joyce rimetteva la pubblicazione della propria opera nelle mani del Re d’Inghilterra.
La risposta arrivò; ma non dal re. Joyce fu rimproverato dal segretario di sua maestà che gli ricordava che il Re era troppo impegnato per potersi occupare di certe questioni letterarie e, oltretutto, non era corretto che il sovrano si pronunciasse in certi casi.
Lo scrittore, nuovamente deluso, non si diede per vinto. Dopo l’abiura del Re decise di appellarsi alla stampa. Scrisse quindi un articolo in cui raccontava la travagliata storia editoriale di Gente di Dublino.
Lo intitolò emblematicamente A Curious History e lo inviò ai principali quotidiani irlandesi. La buona notizia fu che lo pubblicarono; la cattiva fu che non produsse alcuna reazione.
Sconfitto, Joyce decise di tornare a Dublino e bussare di nuovo alla porta del suo editore. George Roberts a quel punto fu costretto ad affrontarlo, lo definì A Giant Causeway, paragonandolo a un’enorme scogliera situata nell’Irlanda del Nord: la determinazione di Joyce a suo giudizio era più inscalfibile della grande roccia esposta ai venti e alle intemperie.
Lo scrittore era piombato nel suo studio con il cappellino tra le mani e gli occhi strabuzzati; non aveva alcuna intenzione di andarsene da lì senza aver prima ottenuto le spiegazioni che meritava. Roberts capì che non poteva evitare di affrontare “l’elefante nella stanza”: c’era stato un enorme, gigantesco, malinteso che andava risolto - e in fretta.
Gente di Dublino: un libro anti Irlandese
George Roberts spiegò con pacatezza al sempre più inviperito Joyce che il libro poteva essere giudicato “anti Irlandese” o comunque un’opera di propaganda. L’editore disse allo scrittore che la pubblicazione avrebbe causato gravi perdite di denaro alla casa editrice e dunque propose, in extremis, all’autore di eliminare ogni riferimento a luoghi e località irlandesi da un libro che, per l’appunto, si intitolava Gente di Dublino. Roberts aggiunse che richiedeva in allegato anche una lettera di un avvocato che stabiliva che il linguaggio utilizzato non era diffamatorio.
Joyce, giunto ormai allo stremo, accettò. Ma di nuovo le trattative non andarono a buon fine e il libro fu bloccato prima della stampa.
A quel punto James Joyce si dichiarò sconfitto. Rinunciò alla pubblicazione e se ne andò da Dublino, con la precisa intenzione di non tornarvi mai più.
15 giugno 1914: la pubblicazione di Gente di Dublino
Il lieto fine per Gente di Dublino giunse ben nove anni dopo il primo rifiuto, avvenuto nel febbraio 1905. Fu ancora una volta l’editore londinese Grant Richards a contattare Joyce per avere informazioni su “quella sua raccolta di racconti”.
Il nome di James Joyce nel frattempo aveva acquisito un peso crescente nella società letteraria grazie ad alcune pubblicazioni su rivista e a una pubblica lode dell’illustre poeta T.S. Eliot.
Grant Richards aveva insomma capito che ora quel vecchio libro poteva vendere: dopo aver fiutato i quattrini decise di riscrivere all’autore.
L’editore londinese propose quindi a Joyce un secondo contratto, a ben vedere del tutto svantaggioso. Vi era scritto che l’autore non avrebbe ricevuto le quote dei diritti sulle prime 500 copie vendute e avrebbe, inoltre, dovuto acquistare di tasca propria le prime 120 copie. Nonostante le clausole improponibili, Joyce firmò, impegnandosi tra l’altro nuovamente a rivedere le bozze per apportare altre modifiche.
Così, a distanza di quasi un decennio dalla sua prima stesura, Gente di Dublino vide la luce in una tiratura limitatata di 1250 copie il 15 giugno 1914 alla vigilia di quello che anni dopo sarebbe stato onorato in Irlanda come Bloomsday.
Un happy ending insperato, dunque? Macché, niente affatto. Il libro non fu un successo, anzi, vendette appena 499 copie (meno delle cinquecento utili a Joyce per ottenere un guadagno sui diritti). L’editore Grant Richards inoltre rifiutò di pubblicare il romanzo Ritratto di un artista da giovane, giudicandolo un “sicuro insuccesso”.
Intanto il povero Joyce rimaneva a Trieste ad affrontare una difficile situazione economica e crescenti drammi familiari.
La vera consacrazione letteraria di James Joyce sarebbe avvenuta soltanto molti anni più tardi con la pubblicazione dell’Ulisse, il libro cardine del Novecento letterario, considerato il suo capolavoro. Anche quell’opera avrebbe dovuto affrontare una serie impressionante di rifiuti, compresa la stroncatura di una certa Virginia Woolf. Questa, però, è un’altra storia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La travagliata storia editoriale di “Gente di Dublino” di James Joyce
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