Gente di Trieste
- Autore: Pietro Spirito
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Laterza
- Anno di pubblicazione: 2021
La storia di un luogo, di una città è data dagli eventi che la segnano; gli eventi hanno come protagonista la gente; la gente è composta da individui, che divengono personaggi quando le loro azioni hanno l’impronta della singolarità. Azioni che sono imprese così straordinarie da costituire paradigmi dello spirito comune. Ed ecco le figure leggendarie aureolate, non sempre famose, a volte possono anche restare nell’ombra; ciò che conta è quanto siano rappresentative, anche segretamente emblematiche. Archetipi possiamo dire.
È di figure simili, sono diciotto, che si compone il libro Gente di Trieste (Editori Laterza, 2021, pp. 258) di Pietro Spirito, giornalista e scrittore. Egli coniuga la sua propensione di cronista, il gusto per la notizia da scoprire e divulgare, con l’arte dello scrittore, sempre tesa a indagare non soltanto i "come" ma i "perché", il senso riposto delle cose, i moti interiori che spingono e muovono la Storia nel suo farsi. Abbiamo dunque uno specchio della città in cui vive l’autore, che è contemporaneamente finestra aperta in noi stessi. O almeno su alcune parti di noi, di comune umanità. Se così non fosse, la vita particolare di gente più o meno interessante non ci coinvolgerebbe. O meglio, sarebbe unicamente curiosità, uno stimolo superficiale.
Il libro è assolutamente coinvolgente. Nel procedere nella lettura ero consapevole di leggerlo come un tempo leggevo Jack London e più tardi Conrad, i maestri delle grandi avventure. Trieste avventurosa quindi, originale, città atipica, non classificabile né catalogabile, con un’identità etnica mista, questo perché la città era e sarà sempre "una marca di frontiera", come ben evidenzia lo scrittore; crocevia di genti portate alla ricerca, al viaggio fisico e metaforico, alla scommessa su di sé per superarsi, riscattarsi.
Simbolo di tanto fermento, oggi, è la "Barcolana", una delle più grandi gare velistiche mondiali, democratica, chiunque può parteciparvi purché possegga "un guscio e una vela". Si tiene a Trieste tradizionalmente da oltre mezzo secolo nella prima domenica di ottobre. Spirito al riguardo scrive una pagina bellissima che galvanizza tutti gli amanti del mare:
"Il dilettantismo, innanzi tutto, l’idea per cui chiunque abbia un po’ di intraprendenza, un minimo di attitudine, può aspirare a grandi imprese. È, detta con un ossimoro, un lascito dell’antica modernità della città, che diventò nella seconda metà dell’Ottocento la New York d’Europa, dando ricetto ad avventurieri e disperati provenienti da ogni angolo dell’Impero asburgico, persone che solo grazie al loro ingegno, alla loro inventiva, al loro fiuto ebbero la possibilità di diventare ricche e influenti.”
Avventura anche della mente, come quella di Carl Weyprecht che un secolo e mezzo fa sfidò i ghiacci polari dell’Artico ancora inesplorati, progettando da sé la sua nave robusta e in due anni, dal 1872 al 1874, con un equipaggio di gente istriana e triestina tosta, provata da Borea, ha conquistato la Terra dell’imperatore Francesco Giuseppe. Gli esploratori si trovarono faccia a faccia con orsi polari bianchi, conobbero fame, rischio, sfinimento, isolamento, malattie. Ma perché? Per spirito inquieto, perché "se no i xe mati no li volemo". Soprattutto per spirito universale. Infatti Weiprecht lavorò per la creazione dell’Anno polare internazionale, primo embrione della città della scienza che Trieste è ormai diventata. Dal dilettantismo all’impegno per l’eccellenza quindi. Eccellenza nata dalla passione.
Un altro personaggio indimenticabile, e purtroppo dimenticato, è Felice Benuzzi, alpinista: nel 1943, insieme a due compagni ardimentosi, con la collaborazione di molte persone (fabbri, sarti...), tutti prigionieri nel campo militare inglese in Africa, compì la scalata del Monte Kenya per piantare la bandiera italiana sulla cima e lasciarvi un messaggio in bottiglia. Il libro che descrive l’impresa è diventato un best seller.
E gli altri 16 personaggi? Tutti memorabili, compresa una pittrice schiva di nome Alice Zeriali, che ha riempito la sua casa di quadri, per solo amore della bellezza.
Non posso dimenticare Linuccia e Umberto Saba, Italo Svevo e Anita Pittoni...
So di compiere una vera ingiustizia non nominando i restanti, ma il lettore lasciato all’oscuro verrà stimolato alla lettura, in cerca di quel "meraviglioso" che riempie queste pagine.
Pietro Spirito chiama l’anelito triestino verso la scoperta "modernità". È la scoperta di sé. È quanto Saba scrive paragonandosi a Ulisse, il grande cercatore:
"me al largo / sospinge ancora il non domato spirito, / e della vita il doloroso amore".
Ossimoro il "doloroso amore" che più di ogni altro getta luce su questa "gente mata".
In tutto il suo percorso Spirito si rivolge a una gentile interlocutrice, chiamata sulla scena soltanto con le iniziali, E.B., moderno "senhal", nome fittizio per indicare la donna-anima ispiratrice nella poesia provenzale. La sconosciuta "dai begli occhi da baiadera" che fa doni a lui - un taccuino, un piccolo caleidoscopio, simboli del lavoro da scrivano e del gioco dell’immaginazione - richiama alla memoria la musa Clio, l’ispiratrice della Storia. Qui la Storia, che pure a tratti appare, sta però in sottofondo. Credo di comprenderne il perché: perché si tratta di ripetizione, sostanziale coercizione a schemi pare insuperabili, dunque non angustiamoci troppo per le nefandezze che contiene. La "colpa" è in ciascuno, nei nostri abissi interiori. Joyce considerava la Storia come un incubo da cui desiderava svegliarsi; Pietro Spirito in modo lapidario scrive che:
"Le sue vicende evolvono secondo una struttura a frattale, che ripete le sue forme all’infinito, mai uguali e sempre uguali nel tempo.”
Il riscatto allora? L’abbiamo forse dimenticato? Niente affatto. Felice Benuzzi ne parla chiaramente, enucleandolo nel bisogno assoluto di elevazione al di sopra dell’abisso:
"Che forza ci vuole, per trarre il cuore dalla deriva dell’abisso, con cui è congenito, per placarlo, scaldarlo, sollevarlo?”
E Spirito commenta:
“C’è un richiamo oscuro in ognuno di noi, e il rovello di Benuzzi gira intorno alla domanda se la forza positiva del cuore sia pari alla sua forza gemella, di segno negativo, dell’abisso.”
Abisso uguale inconscio, mondo infero. Dante ha compiuto il cammino che spetta a tutti noi. Che questa "gente" tenta giocando, da "dilettante", verso il sublime.
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